Il medico notturno e il coraggio che ci vuole a vedere una quindicenne di 30 chili che muore

di Giovanni Palombo

Pubblicato il 2019-08-28

Una volta una donna mi scaricò dicendo che non avevo le palle, che preferiva un uomo alla Rambo, più incline all’uso dei bicipiti che a quello della materia grigia. Sul principio ne rimasi toccato ma, poi, iniziai ad elaborare il mio pensiero, ad articolare, con logica ferrea, perché io sono come sono e, soprattutto, perché non …

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Una volta una donna mi scaricò dicendo che non avevo le palle, che preferiva un uomo alla Rambo, più incline all’uso dei bicipiti che a quello della materia grigia. Sul principio ne rimasi toccato ma, poi, iniziai ad elaborare il mio pensiero, ad articolare, con logica ferrea, perché io sono come sono e, soprattutto, perché non sarò mai un testosteronico macho di periferia, tutto tatuaggi e smargiassate. Secondo voi, cari lettori, quanto coraggio ci vuole per fare il lavoro che facciamo noi medici della notte? Quanto fegato serve per vincere le mille paure che ci attendono lì fuori ad ogni angolo? Quanto grande è la responsabilità di cui ognuno di noi si deve caricare nel momento in cui prende decisioni che mettono in gioco la vita o la morte di un altro essere umano, potendo contare solo su ciò che sa e sul poco che ha nella borsa? Quando sento parlare (a vanvera) circa i criteri di selezione dei medici, degli studi durissimi e lunghissimi, delle barriere alle varie ammissioni, dei test infiniti a cui ognuno di noi è sottoposto, dentro di me si rafforza la convinzione che la medicina si può imparare sui libri, ma essere medico è un altro discorso. È un talento innato, una vocazione che prescinde da ogni raziocinio, una naturale inclinazione che ti porta a mettere l’ altro essere umano davanti ai tuoi stessi bisogni. Ti senti responsabile oltre ogni tua competenza, sei emotivamente coinvolto in ognuna delle storie che vivi: ogni paziente che si affida a te diventa parte di te, della tua anima. Vi racconterò la storia di Andrea, a cui va la mia più grande stima e gratitudine.

Venticinque anni appena, è un giovanissimo medico, catapultato dalla bambagia dei reparti universitari, nel bel mezzo di un territorio montano dove lui è IL MEDICO, responsabile di una intera comunità che a lui si affida e che ha ben poche altre possibilità di scelta. Andrea difende il confine, è il guardiano della frontiera e lo fa con il cuore e con un coraggio tale da abbattere le mille ansie che lo pervadono. Lo fa in perfetta solitudine. Le sue paure sono le nostre paure, sono gli incubi che atterriscono noi tutti che facciamo questo lavoro: il perenne sentirsi soli e inadeguati. Nel mio gruppo di lavoro ci sono colleghi che hanno curriculum da capogiro, specializzazioni su specializzazioni (chirurghi, anestesisti, internisti, cardiologi, oncologi etc etc) eppure ad ognuno di noi serve un coraggio da leoni per affrontare le insidie della notte, per arrivare a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Non conta quanto pelo hai sullo stomaco, non conta quanto sei esperto, non contano gli anni di servizio: la paura è la stessa, per tutti. Un terrore, una ansia che si manifesta con gli occhi del bambino divorato dalla febbre o dall’ anziano che trascina la sua vita in un campo minato di infinite patologie. Lì fuori ognuno di noi sa che c’e’ il mostro ad attenderlo ma, tutti, uomini e donne, stringiamo il bavero e ci tuffiamo verso l’ignoto. L’ altra sera ad Andrea è toccato il battesimo del fuoco: il suo mostro si è materializzato sotto le spoglie di una ragazzina adolescente, devastata da una anoressia nervosa che l’aveva portata a pesare meno di 30 kg a quindici anni. Una malattia terribile, che nasce quasi come un gioco e che poi diventa un demonio incontrollabile.

medico notturno spasmo laringeo

Un disturbo che ha radici profondissime nella psiche e che sembra avere origine nei modelli e negli stereotipi di una società malata di narcisismo e protagonismo. Il corpo che diventa prigione, il cibo che è vissuto non come necessità ma come un veleno di cui liberarsi al più presto e con ogni mezzo. L’altra notte si sono trovati due ragazzi separati da pochi anni d’età e da due ruoli diametralmente diversi. Ad Andrea il destino ha concesso di impegnare tutto se stesso, tutto ciò che è come essere umano e come medico, per tentare di salvare la ragazza. Egli ha fatto di tutto, ha cercato aiuto sollecitando tutti i colleghi che, da ogni parte d’Italia, in tempo reale, ne hanno guidato le scelte cliniche e lo hanno sostenuto in un susseguirsi di momenti drammatici. Il nostro eroe (altro termine adatto a descrivere questo giovane uomo non so trovarlo) ha dapprima esposto il caso che aveva dinanzi con estrema precisione e competenza e poi ha eseguito una serie di manovre che andavano ben oltre le sue possibilità e i mezzi risicatissimi che aveva a disposizione. Ha affrontato il mostro a mani nude e non si è tirato indietro, ha affogato la paura con tutto il cuore che aveva. Già ad una prima lettura dei dati della paziente, molti di noi avevano intuito che la partita era ormai chiusa, che alla ragazzina non restavano molte speranze…anzi che ogni tentativo era più frutto della disperazione che del raziocinio, ma nessuno ha mollato, nessuno ha stretto le spalle ed è passato oltre. Andrea ha dimostrato di possedere doti rarissime: umiltà e fede incrollabile.

Quando, finalmente, è giunta l’unità di soccorso, ben più attrezzata delle poche cose di cui disponeva il giovane collega, il medico di bordo, più smaliziato ed abituato a certe situazioni, lo ha preso da parte e gli ha detto: “morirà, ma non sarà per colpa tua”. Provate a chiudere gli occhi e a vestire per un momento i gelidi panni del nostro Andrea, calatevi nei sentimenti e nelle emozioni di un uomo che ha speso ogni sua energia invano e che ora tocca con mano la terribile esperienza di perdere un paziente, di veder spegnere una giovane vita malgrado ogni suo sforzo. Non è bastato tutto quello che ha studiato, tutto quello che ha imparato, le lunghe giornate nei reparti, le lezioni noiose ed interminabili, i tirocini in ambulatorio e le altre molteplici cose fatte per potersi sentire pronto, adeguato, adatto. Nulla di questo è stato sufficiente, l’onda nera della morte ha lambito i suoi piedi e gli ha strappato la vita di cui era responsabile. Ora, ditemi, quanto coraggio ha avuto Andrea, quanto grosse sono state le sue palle? Ecco, se potessi scegliere che uomo essere, Andrea sarebbe il mio mito, non un Rambo qualsiasi. Un ragazzo che, forte della sua professionalità e della sua umanità è stato esempio per noi tutti.

I colleghi , che seguivano le vicende su facebook, lo hanno consolato e rincuorato, facendolo sentire parte di una squadra che, pur perdendo tante battaglie, non abbandona mai il campo. La sua solitudine, per un momento, è diventata la nostra: ognuno di noi ha preso un pezzo della sconfitta di Andrea e se lo è caricato sulle spalle nel fraterno tentativo di alleviare la pena di quel giovane.
Sappiamo bene che non sarà sufficiente, siamo consapevoli che certi macigni restano nel cuore e fanno male a lungo, ma abbiamo fede che il nostro amato ragazzone difenderà la sua gente con un cuore e un coraggio ancora più grandi. Scusatemi se stasera non scrivo battute in romanesco o faccio lo spiritoso per strapparvi un sorriso. Questa storia è un esempio di chi siamo, di cosa vogliamo essere, del perchè siamo legatissimi a questo nostro lavoro e del perchè di Rambo non ce ne frega niente. “Ora del decesso: 22, 41”

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