Il medico notturno e la sposa che muore e corre a prendersi tutti i suoi baci

di Giovanni Palombo

Pubblicato il 2019-08-20

Sono arrivato alla spianata sotto al santuario, è completamente vuota: un pratone immenso in cui, nelle domeniche e nelle feste religiose, le auto si stipano l’una sull’altra, tanto è l’amore dei Romani per la loro Madonna. Al Divino Amore, in questa serata dolce d’agosto, ci siamo io e gli alberi accarezzati da una brezza leggera leggera. A dir …

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Sono arrivato alla spianata sotto al santuario, è completamente vuota: un pratone immenso in cui, nelle domeniche e nelle feste religiose, le auto si stipano l’una sull’altra, tanto è l’amore dei Romani per la loro Madonna. Al Divino Amore, in questa serata dolce d’agosto, ci siamo io e gli alberi accarezzati da una brezza leggera leggera. A dir la verità c’è pure Lui, il mio passeggero d’elezione, il Padreterno che, come vi ho detto, amo scarrozzarmi nei meandri della mia vita. Me lo immagino come un signore che assomiglia ad Aldo Fabrizi (un attore comico morto un po’ di tempo fa , cuore e anima indolente di questa sua amatissima città) e, come l’artista, il mio Padreterno se ne sta sornione, osserva tutto il tempo e poi spara due frasi che non sai se ti sta prendendo in giro o se dice cose pesanti.

“Regazzi’, è da molto che non te se vedeva qua, eh? So’ contento che ce sei venuto. T’aritrovo qui ogni volta che il cuore tuo batte forte o quando te perdi come un gattino, evve’?”. Eccolo, come al solito, ha ragione da vendere. Questa spianata non è un luogo fisico, per me è un posto dell’ anima, è l’ospedale , rifugio e consolazione del mio spirito. Quando le cose non vanno io vengo qui, mi siedo sotto un albero e medito, prego, ascolto il vento e mi nutro del silenzio. “Non te l’ aspettavi oggi eh? Ti ho colto alla sprovvista?”. Eh sì, alla sprovvista proprio. Negli ultimi tempi il signore dall’aria da bonaccione mi ha assestato un paio di legnate che, scansate! Aggratis me le ha date: due tortorate sulla capoccia per ricordarmi chi so’ io e chi è Lui. E Lui è il boss, je piace de commanna’! Prima me sfascia la vita, dalla sera alla mattina mi tramortisce, mi azzera e poi, mi mostra la via. Un giocherellone proprio! Ora vi racconto.

Ero in servizio, la solita giornata uguale a tante altre, niente de che, e sono passato da una visita all’ altra immerso nella routine, più scoglionato che contento. Ad esser sincero , non avrei dovuto neanche lavorare oggi, ma è un periodo che a casa meno ci sto e meglio mi sento e allora preferisco stordirmi con il lavoro che diventa una specie di droga: mi assorbe e cancella, ovatta, le mie pene. È arrivata la chiamata per una paziente anziana, terminale a causa di un cancro che l’ha divorata e ora era in agonia, prossima alla morte. Mi scocciava la situazione, consapevole dell’inutilità della mia visita e del nulla che avrei potuto fare, sono salito in macchina e sono andato, controvoglia. Ve l’ ho detto, noi medici siamo fatti così, combattiamo tutte le battaglie anche quando siamo consapevoli di perdere: ognuno di noi ha le sue sconfitte tatuate nell’ anima, ognuno di noi porta nella borsa un fardello di anime che appesantisce le nostre esistenze.

notte ferragosto roma

Nella casa trovo la situazione che mi aspettavo, la paziente morente sul letto e i familiari intorno. C’è chi piange e chi si da un po’ più di tono: le solite cose. “Dotto’, mamma ha dolore!”. Eccolo, il dolore, sintomo ultimo delle umane afflizioni. Il medico pretende di misurarlo, di codificarlo, di classificarlo (esiste persino una scala che va da 1 a 10 e serve a identificare quanto sia forte). Cazzate. Non lo sappiamo cos’è, conosciamo il dolore dei muscoli, degli organi, dei sistemi del nostro corpo ma quello dell’anima no, non si riesce a misurare, nessuno è mai riuscito a chiuderlo in un algoritmo. Battaglia persa, pure questa. La figlia mi porge un faldone di fogli, referti, analisi, terapie come se da tutta quella cartaccia potesse venir fuori una soluzione che non c’è.
Li prendo e li sfoglio più per buona creanza che per una vera necessità clinica: lo capirebbe pure un ciocco di legno che non c’è più nulla da fare. Il medico palliativista (quello che accompagna alla morte questi pazienti cercando di rendere meno aspra la morte) ha fatto egregiamente il suo dovere, ha impostato una terapia perfetta, da manuale. I protocolli, però, sono protocolli e la variabilità umana è infinita. “Mamma ha chiesto de morì a casa, dotto'”.

La capisco, anche io ho detto ai miei figli che, quando sarà, vorrei morire tra le mie cose, nell’intimità e nel calore delle mura domestiche, con gli occhi dei miei che mi guardano e con la mia musica. Estranei no, non ne voglio. Io lì sono un estraneo, sono un pinco pallino qualunque condotto per mano dal destino al capezzale di questa donna. La visito: le spalle, il cuore, la pressione. Compio la mia parte del rito, in silenzio, annoto alcune cose ma so già che sono del tutto inutili. Forma senza sostanza. La donna ha dei bagliori di lucidità e poi sprofonda nel coma indotto dai farmaci. Potrei provare a fare qualcosa, devo fare qualcosa. “Ora le diamo un po’ di diuretico nella flebo così respirerà meglio, la aiutiamo, le daremo qualche altra ora”. Recito una specie di litania. La donna è ora sveglia, mi ha sentito, mi guarda e mi trasmette inquietudine e rifiuto. Mi afferra la mano e fa cenno di no con il capo. Sussurra qualcosa ma non la capisco, i nostri sguardi si toccano e lei ha un’aria disperata. Accosto l’orecchio alla sua bocca. “Antonio, voglio Antonio!” Penso sia qualcuno dei presenti, mi rivolgo e dico: “Chiamate Antonio, la mamma lo vuole”. La figlia esplode in un pianto dirotto e mi fa cenno di seguirla.

medico notturno spasmo laringeo

Mi prende da parte e racconta. Antonio è il marito, il padre di loro tutti, è quel signore che abbraccia mamma Adelina in quella foto sul como’. Una foto sbiadita in bianco e nero, mangiata dal tempo nei colori ma non nella sostanza potente dell’ unione tra due innamorati. Adelina ha un bel pancione e Antonio la cinge e sorride. È una foto piena di sogni, di speranze, di cose da fare. È la road map della vita di due giovani che si sono giurati amore eterno davanti al mio principale, al Signore buffo e dispettoso che mi scarrozzo. Antonio è uscito una mattina per andare a lavorare e non è piu’ tornato a casa: dopo quattro curve è stato falciato da un camion. Tutto questo accadeva più di cinquanta anni prima. Adelina voleva tornare dal suo Antonio il più presto possibile, non era più disposta ad aspettare un solo minuto. Aveva vissuto la sua vita nell’ attesa di quel ricongiungimento, di quei baci che non aveva ricevuto, di quelle carezze che erano un suo diritto. La sposina, ora novantenne, aveva indossato di nuovo l’abito bianco, ghirlande di fiori adornavano il capo e leggera e sorridente si avviava tra le braccia dell’ amato. Ah, la potenza dell’amore!

Quale algoritmo potrebbe mai contenere una forza così immensa? Come può l’essere umano pensare di misurare l’attesa di un bacio? Morfina. La vedo scivolare via, le tengo la mano, ne conto i respiri che si fanno sempre più piccoli. Muore e corre a prendersi tutti i suoi baci. Sono contento anche se mi sento piccolo, inutile, ridicolo dinanzi a tanta magnificenza a tanta grandezza dei sentimenti. Prendo la mia borsa e salgo in macchina ma il cuore mi scoppia, le lacrime mi escono da sole, irrefrenabili. Questo Signore buffo me ne ha fatta un’altra delle sue, mi ha mostrato che il tenero amore di due giovani vince su tutto, che il bisogno l’uno dell’altra è il balsamo per ogni angoscia. Freno il pianto, accendo il motore e metto su la mia musica. Ora, mentre sono in questo prato e provo a raccattare i miei cocci, dall’ auto aperta si diffonde la musica della Tosca, “i dolci baci e le languide carezze”, trionfo di un disperato amore. Magnifico!

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