Il medico notturno e il bacio di Habiba

di Giovanni Palombo

Pubblicato il 2019-08-19

“Habi’, me lo puoi portare su un caffè, per favore?”. “Hai cenato dotto’?” “No, ma non ne ho voglia, porta solo il caffè, grazie”. “Ma è tardi per il caffè, poi non dormi!”. “Non importa, tanto devo stare sveglio”. “Ma se non ceni non ce la farai a stare sveglio…” Ma guarda te, questa viene …

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“Habi’, me lo puoi portare su un caffè, per favore?”. “Hai cenato dotto’?”

“No, ma non ne ho voglia, porta solo il caffè, grazie”. “Ma è tardi per il caffè, poi non dormi!”. “Non importa, tanto devo stare sveglio”. “Ma se non ceni non ce la farai a stare sveglio…”
Ma guarda te, questa viene dall’ Africa nera a farmi da balia e pare mi’ nonna che risolveva i problemi del mondo con una doppia o tripla porzione di qualunque cosa. Le avrebbero dovuto dare il Nobel per la risoluzione di tutti i problemi del mondo (sì con la doppia porzione se risolve, se risolve).  “Va bene Habiba, porta quello che ti pare, m’arrendo!”. Intanto che l’aspetto mi metto a riordinare la mia borsa medica, è un piccolo rito come quando uno si deve lanciare con il paracadute e controlla tutti gli agganci, tutti i materiali. Lo devi fare bene, con attenzione e se fai il superficiale rischi che poi il paracadute non si apre. Il mio rischio è di non avere quello che mi serve e dal mio essere disattento può nascere un disastro. (Speriamo non accada mai!). Apro la borsa, c’è un casino, rappresentazione microscopica del caos cosmico. A me piace definirlo “disordine organizzato” è un po’ come la mia vita, fiala più fiala meno. Inizio a tirar fuori le cose e le allineo sulla scrivania, controllo le scadenze dei farmaci, le batterie dei vari aggeggi che mi porto dietro, faccio tutto con pazienza e minuzia (le penne, quelle me le scordo regolarmente al punto che ne ho una scatola in macchina). Stasera il rito è strano, quelle piccole cose sembrano i pezzettini della mia vita appena andata in frantumi.

medico notturno spasmo laringeo

Li tiro fuori e li sistemo, magari fosse così semplice anche con la realtà che mi circonda, magari si potessero cancellare gli errori e le dimenticanze depennando una lista. Nella vita, nei rapporti, nell’amore non funziona così, tocca improvvisare ed io sono un pessimo giocatore d’azzardo. Guascone, strafottente, impunito, lo sono sicuramente ed è la parte di me che si vede all’esterno, la corazza che mi difende dalla brutalità del mondo. Le sofferenze, i pensieri, i dolori, le delusioni le tengo ben nascoste in luoghi profondissimi ed inaccessibili della mia anima: sono le mie fragilità, i miei punti deboli. La vita mi ha regalato tante gioie e altrettanti dolori, è l’equilibrio cosmico dell’esistenza, è la realizzazione che non esiste rosa senza spine. Ed io ho coltivato per tutta la vita una rosa sola, con tutta la passione, con tutto il cuore, con tutto l’amore che ho potuto, con tutta l’attenzione che avevo. Non è bastato. La notte aiuta a pensare, nei momenti di calma tra una colica e una polmonite, cerco di legare i frammenti della mia vita con il nastro adesivo. Non reggerà, lo so e ne soffro disperatamente. Mi sono rotto le palle, spalanco la borsa e ci ributto tutto dentro “a cascata, a cascata” come dice un cuoco napoletano su youtube! Mi piace cucinare, so cucinare…magari una sera di queste,che dite, se li famo du’ spaghi?

Bussano alla porta, è arrivata la Mamy di via col vento, Habiba che sbuca dalla porta con un vassoio pieno della qualunque. “Habi’, alla faccia dello spuntino, quante persone ci devono cenare con tutta sta roba?”. “Io e te, perché non ti va?”. E sorride raggiante, riempie quella stanzetta con la luce infinita del suo sorriso. “Ma non hai da lavorare giù al bar?”. “Ho finito, stasera chiudemo prima, c’è la Roma che gioca una partita importante e il principale s’è dato”. Ahhh, beh, davanti alla Roma, alzo le mani: dinanzi al pallone tutto il resto sparisce è come una sniffata de cocaina collettiva. Ricordo una volta una mia paziente, neo nonna che portava in giro il pargoletto a farlo vedere alle amiche, mi accosto alla carrozzina e faccio i complimenti di rito e poi le chiedo: “Come si chiama sto gioiellino?” E la nonna: “Francesco, si chiama Francesco!”. “Bel nome, come il Papa”. Mi guarda severa: “Ma quale Papa, dotto’! Se chiama Francesco come er Capitano!”. E che vuoi rispondere? Zitto e mosca e pedalare. “Quindi stasera sei libera, torni da tua figlia?”

“Dopo, dotto’, dopo. Mo’ nun me va proprio de rinchiudeme dentro casa, la bimba già dorme e mi’ madre recita i versetti del Corano. Famme respira’ dotto’, famme respira’!”. “Per carità, respira quanto ti pare. Ma non ce l’hai un uomo, un fidanzato, al bar ti fanno il filo pure i sampietrini per quanto sei bella?”. “Devo sta attenta dotto’, c’ho ‘na figlia piccola e so’ africana. Se me metto a tresca’ ci metto un attimo a passa’ per zoccola! Dotto’ ma te la ricordi Aisha, mi fija?”. E me la ricordo sì, quegli occhietti vispi chi se li scorda. Qualche anno prima, in una notte di tregenda nella quale il Padreterno stava facendo le prove per il sequel del diluvio universale, sentimmo le urla di una donna che a momenti buttava giù la porta e chiedeva aiuto per la bambina. Mi prese per il bavero e mi urlò in faccia: “La bambina ha le convulsioni, ha la febbre alta, è epilettica, aiutami!”. Le volevo dire che non sono mica un pediatra e che l’ultimo bambino che ho visitato è stato mio figlio dieci anni prima, ma non ho avuto il coraggio, proprio no. Neanche il giaccone mi fece mettere, mi bagnai come un pulcino, pazienza. L’amore della madre per i figli non si discute, non ammette repliche e io, in qualche modo mi sarei arrangiato. La feci salire in macchina, mi indicava la strada parlando mezzo italiano e mezzo africano (credo), arrivammo in un baleno.

notte ferragosto roma

La bimba aveva 40 di febbre e aveva già avuto una convulsione leggera e le usciva schiuma dalla bocca. Stetti lì quasi tutta la notte e la situazione tornò sotto controllo e ringrazio ancora la mia amica pediatra che con santa pazienza mi supportò e sopportò per tutta la notte. Eh sì, di notte non ci sono solo le telefonate d’amore degli amanti ma pure quelli dei medici che si arrangiano come possono, che fanno rete, che cercano risposte che non hanno. Non è per niente strano passare la notte chiedendo consigli al mio amico urologo delle Molinette di Torino o all’anestesista del Niguarda o al cardiologo di Bergamo. Siamo amici nella vita e compagni d’armi nella guerra contro la malattia. Ognuno porta la sua competenza, mette il suo sapere al servizio degli altri
Voi non lo sapete, ma noi medici di Guardia abbiamo un gruppo su Facebook che è pieno di domande in cerca di risposte, ognuno di noi dice la sua, porta la sua esperienza per confortare il collega, per rassicurare il giovane medico che vede le cose per la prima volta. Una famiglia di gente che, probabilmente, non si conoscerà mai nella vita reale ma va bene così. La notte unisce, c’è poco da fare, è stata la notte ad intrecciare la mia vita con quella di Habiba. “Il kebab ti piace o vuoi il cous cou ? Certo non è il cous cous che faccio a casa, quello non te lo sei mai voluto veni’ a magna’!”

“Habi’ io so’ omo da porchetta e birrozza,  ste cose vostre le do’ alle papere come Checco Zalone!”. Ride e mi percula. “Ma il caffè , non l’hai portato?”. “No dotto’, quello ce lo andiamo a prendere giù al bar che almeno è caldo come piace a te, ho le chiavi!”. Andiamo allora, dai. Entriamo in ascensore e istintivamente la cingo alla vita, un gesto d’affetto, di vicinanza. Si volta, sorride: è bellissima. “Ma che ce stai a provà dotto’?”. “Un’ altra sera Habi’, un’altra sera poesse che ce provo. Stasera no, c’ho piu’ pensieri che capelli in testa, lassa perde”. “Mi prende la mano e serra di piu’ il braccio intorno alla sua vita, si accosta e mi schiocca un bacio sulla guancia. “Dotto’, mica me farai diventà vecchia?”

foto copertina via instagram

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