Il medico notturno e le difficoltà di fare le lastre all’anima

di Giovanni Palombo

Pubblicato il 2019-08-15

“Ecchela là!” Neanche il tempo di posare la borsa e già trilla il telefono, è come se un occhio invisibile mi guardasse dall’ infinito e si divertisse a rompermi i coglioni. Non ho nemmeno acceso la macchinetta del caffè e per me è come una droga, serve a connettermi alla vita che ho intorno: no caffè, no …

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“Ecchela là!”

Neanche il tempo di posare la borsa e già trilla il telefono, è come se un occhio invisibile mi guardasse dall’ infinito e si divertisse a rompermi i coglioni. Non ho nemmeno acceso la macchinetta del caffè e per me è come una droga, serve a connettermi alla vita che ho intorno: no caffè, no pensieri di senso compiuto. È semplice. Prendo la chiamata. La voce dall’ altra parte la conosco da anni, ormai siamo diventati amici, ci facciamo gli auguri, ci sosteniamo a vicenda quando capitano quelle notti che sembrano il fronte russo, con chiamate ininterrotte e un diluvio di richieste. È la voce di una donna che mi chiama dalla Centrale Operativa, è il mio dio, lei ordina e io eseguo. Non ci siamo mai visti, non so che faccia abbia ma la sua voce è calda, sensuale, mi arrapa pure quando mi manda a vedere una cazzata alle tre di notte. Ad occhio avrà’ meno di 40 anni, magari sarà pure bona: resterà il mistero della mia vita.

In fondo non voglio conoscerla, mi piace immaginarla e ogni volta le posso dare la forma che voglio: le sciolgo i capelli, le guardo le cosce, disegno i contorni del viso con un filo di trucco. È la mia bambola e forse lei lo sa, anzi, sono sicuro che lo sappia. Esistono tante forme di comunicazione tra gli esseri umani, oltre la parola, e lei le usa tutte con me. Non la vedo quando parliamo al telefono, eppure dal tono, dalle pause, dalle vocali trascinate intuisco se è felice o triste, se è scoglionata o è una giornata baciata dal sole. Una carezza, una volta ho immaginato di darle una carezza. Una di quelle che si danno solo nei film, un gesto lento, dolce, che serve a misurare la reciproca appartenenza di due innamorati. Anche lei percepisce i miei stati d’animo, ne sono sicuro e riusciamo a trovare una sintonia magnifica nei pochi attimi di una telefonata. Ho pensato di farle delle domande, chiederle se è sposata , se ha figli, se cerca un trombamico. Sono rimasti pensieri, in realtà non voglio conoscerla, voglio che resti il mio piccolo mito, la mia fatina dei denti, una roba così.

Annoto la chiamata con diligenza e puntiglio. Scrivo chiaro, in bella grafia ( lo so che state facendo le smorfie pensando ai geroglifici che scriviamo noi medici). In effetti ho notato che la composizione delle lettere, la scelta dello stampatello o del corsivo, rispecchiano i miei stati d’animo, la mia emotività, l’ ansia, la gioia, il dolore. In due righe c’è un mondo di fragilità e di preoccupazioni, è l’anima che fluisce all’ esterno e l’inchiostro diventa un surrogato del sangue. Gesti banali, ripetuti, meccanici ma che , invece, raccontano tutto di noi come fossero delle radiografie. Avete mai pensato a fare una lastra all’anima? Io si, spesso. Non vedrei coste né ossa rotte, magari potrei osservare milioni di altri cocci sparsi a casaccio o punti di luce meravigliosa, fitte trame di pensieri annodati come i fili di un tappeto persiano. Mi piacciono i tappeti orientali, mi piace usarli per farci sopra l’amore. Sfiorando quei nodi fittissimi , penso alle mani di lontanissime donne arabe, alle loro usanze alle spezie, alle loro danze sensuali con il ventre scoperto.

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Dio, che meraviglia! E nella mia anima cosa vedrei ? Se avessi tra le mani l’ immagine di me, come sono adesso, che cosa salterebbe fuori? Uhm, cocci, detriti, buio. Non è un bel momento per me, per la mia vita, ma questa è un’altra storia (e voi siete un po’ impiccioni). La mia voce guida finisce di scandire le ultime cifre del telefono e chiude la comunicazione. Già mi manca. Si tratta di una constatazione di decesso, niente di che , niente di troppo impegnativo. I morti non si lamentano, non vanno di fretta, non ti mettono ansia. Quando arrivi la vita è andata via , la partita è chiusa. Tutto quello che sai, tutto quello che hai imparato è inutile. Tutta la potenza dello scibile umano non serve a una beata minchia. È il momento della fede (per chi ce l’ha), delle lacrime, dei sospiri liberatori, degli addii, dei riti millenari, delle usanze etniche. Il momento di congiunzione tra la vita e la morte è un attimo che affascina l’uomo fin dalla notte dei tempi, è un fatto. Negli anni ho imparato a guardare i morti ben oltre “l’ispezione della salma”. L’esame del corpo è routine asettica, sterile, formale. Io, invece, guardo la stanza, gli arredi le cose sul comodino, le fotografie, la presenza di simboli religiosi. Poi mi soffermo sull’ espressione del viso, sui lineamenti, sul colorito della pelle.

Alcuni volti sono contratti ed esprimono dolore è come se volessero comunicarti che c’e’ qualcosa di irrisolto, che non era ancora il momento giusto per andarsene. In altri casi, vince l’ espressione di serenità, i ltratti sono distesi e il volto comunica uno strano senso di pace. Quand’ è così, il corpo appare di piu’ come un guscio vuoto, come il relitto di una nave dalla quale i naufraghi sono scappati via. Resta il simulacro che tra poco inizierà a decomporsi e a cancellare definitivamente chi siamo, chi siamo stati, le nostre azioni in vita, gli amori, i pianti. Prendo la mia borsa e vado.  Entro in una casa semplice ma dignitosa e curata con una pulizia maniacale (eh sì, in effetti ormai l’occhio è allenato e in certe case vi consiglierei di non appoggiarvi nemmeno alle pareti . La defunta giace, già composta , nel suo lettino alla presenza dei due figli e di una badante. Mi raccontano che la sera prima ha cenato ed è andata a dormire e stamattina l’hanno trovata morta. Che culo! (penso tra me) Ci sono mille modi per morire e questo è il migliore di tutti : senza la sofferenza, senza lo strazio, senza la perdita di dignità, senza l’accanimento.

Quando penso a questo tipo di morte, immagino qualcosa come un interruttore della luce, un “ on- off “ che non ammette repliche. Una bella morte, sicuramente. Tutti dovremmo avere il diritto di morire in questo modo (eh, Dio?). Inizio a compilare le mie scartoffie (la burocrazia uccide piu’ della guerra). Per morire , in Italia , ti servono almeno 3 certificati e ti devono vedere 2 medici ( roba da pazzi ). Se, poi, sei così rompiscatole che vuoi farti cremare o decidi di farti un giretto da salma…..eh, allora la situazione si complica parecchio!! Scrivo i dati della signora : nome, cognome anno di nascita…Anno di nascita…Anno di nascita?? Ma dai, leggi meglio. Hai sbagliato a fare i conti, usa la calcolatrice. Lo vedi cosa succede senza caffè? Cazzo! L’età è giusta : 108 anni (il mio record personale in questo campo specifico) e quando l’ ho raccontato al mio collega africano, un omone nero alto due metri e fissato col suprematismo sessuale del mandingo (ma questa è ancora un’altra storia), mi ha detto: “all’INPS, quando arriverà il certificato di morte, brinderanno!” Che stronzo !

Però, in fondo, ha ragione lui ormai le nostre periferie sono popolate da un esercito sterminato di vecchi, di pensionati che abbisognano di servizi ed assistenza in misura sempre maggiore e assorbono risorse a non finire. Arrivo quasi alla fine del certificato e chiedo le generalità di uno dei presenti per riportarlo come testimone. Apriti cielo!! Anche l’altro figlio pretende di essere inserito nel certificato : “Dotto’ me ce deve da scrive pure a me , senno’ questo ( il fratello ndr) me se frega casa!”. Nemmeno il tempo di dire “va bene”, che tra i due si scatena il finimondo!
Volano certi pizzoni che manco i missili Scud di Saddam Hussein! Mi impongo (sono grande , grosso e pure rozzo da morire, se voglio) sedo la rissa convincendoli che il mio certificato non vale nulla per l’eredità. Con la madre ancora “calda” questi già si menano? Che umanità de mmmerda! Torno in macchina e aspetto la mia voce amica…

Ciao.

foto copertina da qui

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