Per Elisa: quando il medico notturno non può fare niente se non pronunciare una parola terribile

di Giovanni Palombo

Pubblicato il 2019-08-23

“Noooo, nooo, no!!!” Urlava nella stanza tenendo il pugno alzato e il braccio teso verso di me. Quel braccio serviva a distanziarsi, a proteggersi da una verità devastante che non voleva sentire, che rifiutava di ascoltare. Non appena avevo pronunciato quella parola, il mio caro amico di una vita, era saltato indietro, era stato percorso da una …

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“Noooo, nooo, no!!!”

Urlava nella stanza tenendo il pugno alzato e il braccio teso verso di me. Quel braccio serviva a distanziarsi, a proteggersi da una verità devastante che non voleva sentire, che rifiutava di ascoltare. Non appena avevo pronunciato quella parola, il mio caro amico di una vita, era saltato indietro, era stato percorso da una energia pari a quella di un fulmine e cercava di resistere, di non soccombere. Pensate una sola parola che effetto può fare. Non permetteva a nessuno di toccarlo, neanche alla moglie che, atterrita anche lei, cercava di condividere con lui il dolore, ma Maurizio fuggiva, la scacciava, la allontanava come se temesse che il contatto con Maria potesse risvegliarlo e trascinarlo via da quella isola in cui si era nascosto. Il distacco completo dal mondo e dalla realtà era l’unico modo per assorbire il colpo. Tremendo. Continuava ad indietreggiare e il suo corpo vacillava sotto il peso enorme della mia parola. Si era messo spalle al muro, chiuso in un angolo come fanno i bambini quando giocano a nascondino. “Tu, tu non devi…tu non devi dire, tu non puoi dire, se non sei sicuro. Non puoi!” Lo osservavo in silenzio, tenendo i fogli delle analisi tra le mani, ero rimasto immobile nella stanza con il timore che ogni altro mio movimento avrebbe contribuito ad amplificare lo tsunami che, mio malgrado, avevo scatenato.

Maria, lo raggiunse nell’ angolo e lo abbracciò mentre entrambi si sciolsero in un pianto amarissimo. A Maurizio cedettero le ginocchia e, in quella posizione nascose la testa nel ventre della moglie. Maria è una ragazza minuta, moretta con gli occhi vispi, un fascio di nervi, una donna con una volontà di acciaio, sempre a fianco del marito, sempre riferimento e sostegno della sua famigliola. Sposa e madre modello, si sarebbe potuto dire. Pallidissima in viso, teneva le mani tra i capelli del marito e lo consolava nello stesso modo in cui la mamma consola il figlio che si è fatto la bua. Accarezzava Maurizio e tentava di nascondere le lacrime che rigavano il suo viso che d’improvviso pareva invecchiato di dieci anni. Una sola parola aveva creato tutto questo disastro! Una parola che loro stessi avevano già fatto risuonare nel chiuso delle loro menti, un segreto indicibile che ognuno di loro due pensava di tenere nascosto all’altro. Avevano due lauree in materie scientifiche, uno farmacista e l’altra biologa, avevano capito che tutto quello che stava accadendo non era normale, non poteva essere normale. Avevano elaborato i loro pensieri, tratto le loro conclusioni evitando, però, di condividerli tra loro in un disperato, quanto inutile, gesto di protezione reciproca. La parola era balenata nelle loro teste ma non avevano avuto il coraggio di pronunciarla come se, sentirla risuonare nell’ aria, avesse potuto avere il potere di evocarla e di renderla reale. I due speravano di compiere una specie di esorcismo: non la pronunciavano nella speranza di ucciderla.

L’avevo sillabata io per loro, avevo fatto toccare il polo positivo con il negativo e avevo causato l’esplosione, inevitabile. In fondo loro erano pronti, sapevano di essere pronti a quella verità, ma temevano l’uno per l’altra. Maurizio mi aveva chiamato quella sera , aveva un’aria preoccupata e il tono della voce era cupo: “Giova’, puoi venire a darmi una guardata ad Elisa? Ha la febbre alta, non riusciamo ad abbassarla e il pediatra non c’è”. Figuriamoci, Elisa l’avevo vista nascere, crescere, i primi passi, la scuola, l’amore smisurato per la lettura. I tratti del viso dolcissimi, gli occhi pervasi da una luce vivissima, un sorriso magnifico che ti avvolgeva come una coperta nelle giornate più fredde. Elisa, ormai era arrivata a frequentare le scuole medie ed in lei era sbocciata una passione fortissima per i libri, per la lettura. Ne amava l’odore, il colore, la fragranza: amore vero. Fu la prima visita della serata, suonai il campanello e la porta si aprì lentamente, come triste presagio di quello che mi attendeva. Non c’era la piccola Elisa a saltarmi in braccio e a schioccarmi un bel bacio sulla guancia. Una mancanza insopportabile. Mi fece entrare Maurizio, avvolto in un’aria stanca, affaticata, triste. Maria fece capolino da una stanza nel corridoio, mi accolse con un sorriso di cortesia, svogliato, di circostanza, freddo. “Elisa dov’è? Nella borsa ho un altro strumento da mostrarle!”

La piccola, quando aveva a tiro la mia borsa, era solita pescarci dentro come si fa al luna park ed era attratta dagli oggetti che non conosceva. La magia dell’ otoscopio, le luci intermittenti del saturimetro, erano strumenti fantastici che mettevano in moto la sua fantasia senza limiti. Li accendeva, li spegneva, li agitava in giro per la stanza trasformandoli in armi, in fantastiche bacchette magiche. Poi tornava da me, si accomodava sulle mie ginocchia e iniziava il suo interrogatorio fatto di perché, di come, a cosa serve e via così. Mi piaceva il suo profumo di bambina, la freschezza dei capelli tenuti da un cerchietto colorato. “Sei ingrassata eh ? Dall’ultima volta sei diventata più pesante, hai mangiato troppi gelati o troppe patatine?” Lei si imbronciava, voleva diventare ballerina classica e sapeva di dover restare magrolina ma poi io le davo un bacio sulla testa e le dicevo che era sempre perfetta per le scarpette da ballo e sarebbe sicuramente diventata la prima ballerina della Scala. Entrai nella sua stanza di bimbetta e mi accolsero colori tenui, oggetti della scuola, i pupazzi, i poster e i suoi libri. I volumi erano stipati ed allineati in due scaffali ai lati del suo lettino, copertine colorate, titoli adatti ad una bambina e sembravano che la vegliassero come angeli custodi. La piccola era madida di sudore, il corpicino sprofondava nel materasso quasi a rischio di sparire ed essere attratta in una dimensione parallela. La febbre era altissima.

“Non si visitano i parenti!” aveva tuonato il prof ai tempi dell’ università. Secondo il maestro il medico che visita una familiare perde lucidità, è sopraffatto dalle emozioni, perde di oggettività, tende al compromesso, alla mezza misura e diventa un pericolo per se stesso e per il paziente. Tecnicamente Elisa non era una mia parente ma, comunque, apparteneva al mio vissuto, l’avevo vista crescere: il cuore mi batteva forte. Feci la visita in silenzio e con minuzia e i miei conti non quadravano, non quadravano per niente. “Maurizio, ma il pediatra?” “Giova’, l’ha vista tre giorni fa, quando è iniziata la febbre e le ha dato degli esami da fare. Ho ritirato le risposte oggi pomeriggio, ancora non le ha viste, gliele mando per email, vuoi leggerle tu, te le prendo?” Feci cenno di sì con il capo, temevo che i miei pensieri e i miei sospetti coincidessero con quelli del collega. Uscii dalla stanza di Elisa, mi sedetti al tavolo in salone e Maurizio mi porse la cartellina delle analisi. Tremava. Le ho lette e rilette: c’era la conferma di quello che sia io che il pediatra temevamo. Avevo un nodo alla gola. Compito del medico è comunicare ma non è facile, non lo è per nulla. Aveva ragione il professore: niente parenti!

Nessuno ti insegna a dare certe notizie, devi arrangiarti da solo, devi imparare ad assorbire il dolore, la paura, devi saper dire il peggio senza togliere la speranza. Compassione, ecco, il medico deve mantenere viva la speranza ed essere compassionevole. “Mauri’, le cose non vanno bene, Elisa è grave, gravissima”. Mi tolse i fogli dalle mani, avrebbe voluto incenerirli, disintegrarli nel tentativo di poter cancellare la malattia della figlia. Era sbiancato in viso e balbettò: “Che ha?” “Leucemia, Mauri’. È leucemia”. La parola era stata pronunciata, l’esplosione era avvenuta in quella stanza. Maria aveva lasciato cadere a terra uno straccio che teneva tra le mani e Maurizio aveva fatto il balzo indietro per allontanarsi da me, da quella notizia terribile e aveva iniziato a brandire il suo braccio in un tentativo estremo di difesa. Elisa è morta dopo qualche settimana consumata da una malattia fulminante. L’abbiamo pianta tutti: i genitori, i parenti, gli amici, la scuola. Tutti. Dio lascia che accadano delle cose terribili e che ci sembrano incomprensibili, recide fiori bellissimi senza motivo apparente, affligge con il dolore più intenso chi sembra non meritarlo.

In questi casi mi sento come S.Agostino al cospetto del bimbo che stava sulla spiaggia e che con una conchiglia pretendeva di svuotare il mare travasandolo nella sua buchetta. S.Agostino aveva capito che la mente umana è la buchetta del bambino e il mare è il volere di Dio, il disegno universale delle cose. Non ci è dato comprendere il perché di certi dolori, li possiamo solo accettare con un estremo atto di FEDE. Cercate su internet “Dona un libro per Elisa“, capirete tante cose. Comprenderete perchè persino Papa Francesco sia andato a vedere i libri di Elisa e perché da tutto il mondo persone sconosciute donino libri con una dedica ad Elisa. Toccherete con mano cosa sia la condivisione del dolore e capirete come mi senta io a raccontarvi questa storia. Un bacio.

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