Il medico notturno e la ragazza del drago che balla nuda nella nebbia

di Giovanni Palombo

Pubblicato il 2019-08-17

“Eccola, eccola, l’avemo trovata!! Venite dotto’, venite!” Ci sono incontri nella vita che non programmi, ti cadono addosso e basta, ci vai a sbattere e ti fai i bozzi. Capita nel lavoro, nell’amore, insomma nelle cose di ogni giorno, a tradimento. Sono le cinque del mattino e fa freddissimo, c’è una nebbia che sembra Milano e noi …

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“Eccola, eccola, l’avemo trovata!! Venite dotto’, venite!”

Ci sono incontri nella vita che non programmi, ti cadono addosso e basta, ci vai a sbattere e ti fai i bozzi. Capita nel lavoro, nell’amore, insomma nelle cose di ogni giorno, a tradimento. Sono le cinque del mattino e fa freddissimo, c’è una nebbia che sembra Milano e noi non siamo abituati, io non sono abituato, me la sento dentro e non mi piace. La nebbia mi mette tristezza, mi deprime perché nasconde, occulta tutto: i pensieri, le parole, le persone, i dolori, le ansie. Non so come fanno a conviverci lassù al nord, in Padania, io morirei di depressione, vivo nel sole, nella luce . Vado a batterie solari, praticamente. Mi carico di giorno e mi scarico di notte , sono una specie di pannello solare umano. Però stamattina sta nebbia mi regala un incontro straordinario. “Eccomi, arrivo, ‘ndo’ stà? ”

L’infermiere mi indica una sagoma nella nebbia, avvolta, protetta, nascosta in un angolo segreto dell’ universo. È una ragazza con problemi psichici, il padre non se l’è più ritrovata in casa ed ha allertato mezzo mondo. Ci ho parlato poco prima e mi ha spiegato a grandi linee la situazione: tremenda. Sono arrivato prima di tutti, ho appoggiato la mia borsa sul cofano della macchina ed ho respirato profondamente, ho fatto entrare quella nebbia dentro di me come a volerne conoscere il sapore, l’odore. È una sensazione metallica e niente altro, non mi piace proprio! La ragazza è in una specie di giardino, ci sono piante di rose (scusatemi ma io non distinguo i fiori finti da quelli di plastica, quindi prendete per buono che siano rose e chiudiamola qui). Il corpo esile, mentre mi avvicino piano piano, si definisce e si rivela: è completamente nuda in quel freddo glaciale. Bellissima da togliere il fiato.

Un fisico asciutto, slanciato, marmoreo e talmente bella da apparire stonata in questo posto di cemento e ferro, grigio come la nebbia di stamattina. I capelli corvini sono sciolti sulle spalle, ha dei fiorellini incastonati sulla fronte e un drago tatuato sul costato. Il drago è vivo, si muove ad ogni suo respiro e mi sembra una creatura mitologica posta a guardia della sua regina. Sono arrivato a pochi passi da lei, piano, leggero (si fa per dire), con circospezione. Lei è di spalle, non si volta ma, improvvisamente allarga le braccia, le spalanca come a voler abbracciare qualcosa, qualcuno. Muove piccoli passi che seguono il ritmo di una musica che io non posso sentire, che sta solo nella sua testa. Tanta è la nobiltà della sua figura e del suo movimento che pare non toccare terra, i fili d’erba bagnata non si piegano sotto i suoi passi ma sembrano sostenerla.

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“Miriam, Miriam!” La chiamo sussurrando, non voglio allarmarla, voglio entrare nel suo mondo piano piano, come un ladro. In fondo sono qui per rapirla e lei, forse, lo sa. Non si volta, non risponde ma fa un piccolo gesto d’invito con la mano quasi ad invitarmi a prenderla. Sembra una dama medioevale pronta al ballo nel castello. Le sfioro la mano: sarò il tuo principe del ballo , non temere. Sono arrivati anche i Carabinieri, rumorosi, ingombranti, affannati. Con un cenno li fermo, state lontani, non vi avvicinate o lei sparisce come fanno le fate del bosco. I due militari mostrano imbarazzo, si ammutoliscono e si tolgono il cappello diventando, anche loro spettatori di quella scena surreale. Le afferro la mano con la stessa delicatezza che ha un ballerino che deve guidare la danza e la invito a seguirmi. La devo portare dentro, qui è troppo freddo, veramente troppo. “Miriam, cosa fai, balli?”

Annuisce con un movimento minimo della testa ma sufficiente a scoprire un collo perfetto, alabastro puro che si illumina alla luce del mattino. Sono davanti a lei, e sono rapito dalle sue labbra vermiglie e dagli occhi di un profondissimo blu: è la trasfigurazione di una dea, di una madonna. La sua nudità non è volgare e non suscita ideazioni sconce. Ho provato la stessa ammirazione dinanzi alla scultura di Amore e Psiche, nell’ attesa di quel bacio tra amanti che non avrà mai né inizio né una fine. L’infermiere, previdente, ha preso un lenzuolo nell’ ambulanza per proteggerla dal freddo e dagli sguardi osceni e, senza parlare me lo porge. “Posso ballare anch’io con te ?” Mi risponde con un si appena percettibile ma sufficiente a scaldarmi il cuore. “Però una dama deve vestirsi per ballare, posso regalarti un abito?” Sorride e con un movimento rapido alza le braccia al cielo, come fanno i bambini quando la mamma li deve vestire. L’avvolgiamo in un lenzuolo azzurro che si sposa benissimo al resto: ora sembra una antica matrona romana. “Va meglio? Ti piace?”

Lei si guarda e fa una piroetta, come le bambine dinanzi allo specchio quando fanno le fanatiche. Si illumina con un sorriso radioso e mostra denti bianchissimi, perfetti. Se non fosse per il contesto, potremmo essere sul set di un film, tranquillamente. Nel raccontarvi quei momenti ne rivivo in pieno la tragicità e il pathos. Sarò pure coriaceo, legnoso, distaccato, ci avrò pure fatto il callo ma Miriam me la porterò dentro per sempre. “Cosa ci fai qui, perchè sei venuta in questo giardino?” Appoggia la testa sulla mia spalla e dice: “Sono venuta a mangiare”. “E cosa mangi qui, non c’è nulla? “Mangio la terra, mi piace tutto quello che è natura, ho paura delle cose costruite dall’ uomo”. “Vieni con me, fammi capire meglio, spiegami”. Così facendo, trovato il giusto canale di comunicazione con il mondo dentro la sua mente, lei parla ed io la trascino in casa senza che se ne accorga. Ora è al caldo e al sicuro, un primo risultato l’ abbiamo ottenuto. “Devo coprirti meglio e accompagnarti da un mio amico in ospedale, anche lui mangia la terra e vuole conoscerti!”

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“Davvero?” “Sì Miriam, davvero”. L’avvolgo in un giaccone pesante e le infilo un paio di ciabattine, è pronta. Quando le dico che scenderemo giù e saliremo sull’ ambulanza, lei ha una reazione di terrore ed esplode in un pianto irrefrenabile. “L’ ambulanza no, non ci posso salire!”.  “Perchè no, Miriam?”.”È di ferro, è costruita dall’ uomo trasformando la natura, inquina. Lo capisci, vero?”. “Sì, lo capisco. La nostra ambulanza, però è di legno, è verniciata come quelle di ferro ma è di legno e gli infermieri la spingono. Hai visto quanto sono grandi e grossi questi ragazzi? E se serve ci sono pure i Carabinieri che ci daranno una mano a spingere, dai andiamo”. Sembra convinta ma nel passare dinanzi ad uno specchio nel corridoio di casa , si blocca e si guarda fissa. Guarda il suo volto riflesso nella specchiera e l’espressione serena cambia come pervasa da una inquietudine. “Adesso che c’è Miriam, come posso aiutarti?”

“Dammi una penna, dammi una penna!” Il tono della sua voce è cambiato è deciso è feroce. “Cosa ci devi fare con la penna?”. “Guarda, guarda anche tu nello specchio, non vedi cose bruttissime, come fai a non vederle?”. “Miriam, l’unica cosa brutta nello specchio sono io e ci sono pure abituato, mi faccio la barba tutte le mattine ma non riesco proprio a migliorarmi”. “La penna me la dai o no? Altrimenti vado in cucina e trovo qualcosa per cavarmi gli occhi!” Cazzo, stava andando tutto bene e ora si vuole cavare gli occhi. Gli infermieri , alle sue spalle mi mostrano le cinghie di contenzione, faccio cenno di no, tra una chiacchiera e l’ altra sono riuscito a darle un sedativo, aspettiamo che faccia il suo lavoro. Non la voglio legare, non deve subire altri traumi, è una creatura meravigliosa ma di estrema fragilità. “La penna l’ ho dimenticata in ambulanza, scendiamo giù a prenderla e poi torniamo a cavarci gli occhi, ti va bene così ?”.  “Così va bene, ma non scendiamo con l’ ascensore perchè è di ferro, ok?”. “Certo, anche a me fa schifo l’ascensore, non solo è di ferro ma puzza pure. Andiamo, dai!”

Riusciamo a farla salire in ambulanza e a portarla dallo psichiatra, il padre si è accasciato in un angolo dell’ androne del palazzo e piange disperato. Miriam, l’unica figlia, luce dei suoi occhi, era una ragazza che studiava ingegneria ambientale, bella e bravissima. Una ragazza tostissima un po’ fissata con la dieta vegetariana prima e vegana poi. Il suo amore per la terra era diventato nel tempo una ossessione. Due anni prima, a seguito della morte tragica della madre, Miriam si era chiusa nel suo mondo e la sua mente aveva fatto tilt. Quando ricordo questo episodio, la mia mente corre dai miei figli, corre a quei legami fortissimi che esistono tra loro e i genitori e dei quali, spesso, non abbiamo la piena consapevolezza. Nelle altre cose che vi ho raccontato mi è scappata qualche battuta ma oggi no, segno che la tristezza di Miriam me la porto ancora dentro. Il medico è abituato, non gli fa né caldo né freddo, sono di ghiaccio…sono tutte fesserie, capito?
Un abbraccio.

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