Il medico notturno che rischia di esplodere prima del terremoto

di Giovanni Palombo

Pubblicato il 2019-08-25

I bombardieri fendevano la notte mantenendo perfettamente la formazione di volo, l’obiettivo era stato ormai raggiunto , i motori rombavano al massimo. Si aprono i portelli, il carico di bombe è pronto per essere sganciato, gli edifici sottostanti tremano per le vibrazioni potenti… “Karis, Karis, svegliati, svegliati per la miseria! Stai facendo tremare i vetri …

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I bombardieri fendevano la notte mantenendo perfettamente la formazione di volo, l’obiettivo era stato ormai raggiunto , i motori rombavano al massimo. Si aprono i portelli, il carico di bombe è pronto per essere sganciato, gli edifici sottostanti tremano per le vibrazioni potenti… “Karis, Karis, svegliati, svegliati per la miseria! Stai facendo tremare i vetri della postazione, russi come una trivella petrolifera!” Il greco, ex giocatore di basket appesantito dagli anni e dalle schifezze che ingurgitava a ritmo continuo, si era spiaggiato sul lettino (il termine non è casuale ma l’ho scelto con cura per rendere l’idea esatta di come si era messo a dormire il mio collega) e, dopo poco, aveva dato inizio allo sbarco in Normandia. A dirla tutta, anche io sono un asso in materia di russamento, roba che il Barone Rosso, al confronto, avrebbe la “P” di principiante disegnata sulla carlinga e quando il caso metteva di turno insieme me e KAris, agli equipaggi del 118, che dormivano nelle stanze accanto, non restava che scappare nelle ambulanze per sfuggire agli assalti degli assi del cielo. “Karis, ti sei svegliato?”

“Ma vaffanculo va, stavo sognando le ballerine brasiliane!” “E giusto in sogno te le puoi fare quelle…su!” L’omone si era ripreso dal sonno profondo nel quale era caduto ma i suoi pensieri non carburavano bene, non erano allineati e stabili. Sembrava un bambino di 60 anni che non gradiva affatto d esser stato interrotto nella sua fase rem. Era sempre indaffarato nelle sue strane cose, passava da una passione all’ altra in modo incomprensibile. Una notte, in cui ero io a bombardare una qualche landa desolata, mi svegliai al risuonare di versi disumani, animaleschi, gutturali scontri di consonanti come mai ne avevo sentiti. Feci capoccella dalla mia stanza e lo trovai seduto al computer intento ad emettere quei barriti micidiali. “Cazzo stai facendo, Karis?” “Sto imparando l’ebraico”. Rispose placido, come fosse la cosa più naturale del mondo mettersi al pc alle quattro di notte e ripetere la pronuncia delle parole seguendo un video su youtube. “L’ ebraico, ma che ci devi fare con l’ ebraico?” “Mi sono fidanzato con una ebrea e voglio convertirmi!”

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“Lascia perdere, quelli te fanno la punta al pistolino! Scegliti una religione più smart, stamme a senti’!” Ridevo, ero mezzo rincoglionito ma ridevo di gusto. “All’Islam ci hai mai pensato? La sai la storia delle vergini eccetera eccetera?” Con un gesto della mano mi mandò a quel paese e tornai a dormire. “Karis, ci hanno chiamato, c’è trambusto in una palazzina, devo andare di corsa ed è lontano. Hai capito, sei sveglio?” Fece cenno di sì con il capo e disse qualcosa in greco che, ovviamente non capii. A me il greco ha fatto sempre piuttosto senso, sarà che ai tempi del liceo traducevo pagine e pagine e alla fine non si capiva chi avesse fatto cosa e se quegli spartani stessero schierati in aperta campagna per una battaglia o per una scampagnata domenicale. In genere sceglievo l’ opzione battaglia, altrimenti che spartani sarebbero stati? Lo sanno tutti: gli spartani passano da una guerra all’altra senza soluzione di continuità, è un fatto. Insomma, bastava la parola “ROCCI” (il mitico vocabolario in uso ai liceali dei miei tempi) per procurarmi una reazione orticarioide fulminante! Questo omone il greco lo parlava addirittura, cose da pazzi!

In macchina avevo messo un vecchio album dei Dire Straits, una roba rock “Romeo & Juliet” con una chitarra fighissima e il destino stava per giocarmi uno dei suoi scherzi monelli. Arrivato sul posto trovai il caos: decine di persone in strada, in ciabatte, con i pigiamoni a righe o con gli orsetti , avvolti in coperte, genitori con i bambini in braccio che dormivano. Una scena di guerra. Mi venne incontro il responsabile dei Vigili del Fuoco: “Dottore, dobbiamo guadagnare tempo, ci vada a parlare lei ma prenda tempo che stiamo staccando il gas nella zona e stiamo evacuando le persone!” “Eh?” Mi stropicciai gli occhi per rendermi conto se fossi sveglio o era ancora un sogno. “Ma che succede, che è tutto sto casino?” Il pompiere mi disse che una ragazza si era barricata in casa, dopo aver spintonato fuori la madre e la sorella e minacciava di far saltare l’appartamento con il gas. Per farla breve, dopo pochi minuti mi trovavo nel cestello di una gru dei pompieri, issato a una decina di metri dal suolo davanti alla finestra della mia Giulietta.

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La scena era proprio quella: in una notte d’agosto mi toccava fare la serenata alla mia amata. Mancava solo la chitarra. “Signora, signora Luana, si affacci la prego!” Imploravo con voce morbida come fanno gli amanti. La donna mi vide e aprì la finestra. “Signorina, prego, io sono signorina!” Ero così vicino al davanzale che avrei potuto provare a saltar dentro ma lei, svelta, richiuse la finestra e fui investito da una zaffata potente di gas. Il vigile che avevo accanto e che manovrava quell’ aggeggio sospeso nel vuoto, comunicò ai compagni che l’appartamento era pieno di gas e che dovevano far allontanare le persone, non potevano stare lì sotto. “Signorina, mi scusi, signorina!” E iniziai a blandirla come fanno i seduttori. Niente, non ci fu verso, per quasi due ore provai ogni possibile aggancio, non c’erano punti di contatto tra me e lei, zero totale. Continuava ad aprire e chiudere la finestra e la sua diffidenza nei miei confronti restava solida, immutata. Ero sconsolato. Solitamente riesco ad entrare nei ragionamenti di questi malati, riesco a distrarli dai loro propositi con una raffinata quanto innata capacità di comunicazione, ma quella sera la sconfitta era totale.

Il pompiere mi diceva che non potevano tagliare la porta blindata dell’ appartamento per provare ad entrare perché avrebbero causato scintille e “Sai che botto che famo dotto’!” Era stato assolutamente convincente. Ero Romeo sospeso a dieci metri d’ altezza con Giulietta che faceva la ritrosa e un pubblico di sfollati che aspettavano l’epilogo del dramma. Teatro puro, il teatro della vita! Ormai ero pronto alla resa, avevo sparato tutte le mie cartucce senza alcun effetto. “Signorina, signorina!”, implorai ancora. “Ma le pare possibile che io, alle soglie dei miei 50 anni, debba stare sospeso per aria per parlare con lei e con tutta sta gente che sta a sentire i fatti nostri?” Luana aprì la finestra e annuì con la testa. “Scusami dottore, non ci ho pensato proprio. Scenda da questo coso, le apro la porta e parliamo meglio!” Era fatta, Signore ti ringrazio. Scesi dalla gru e andai alla porta dell’ appartamento. La povera Luana aprì ed i pompieri si tuffarono dentro a valanga.

Sembravano gatti impazziti: chi apriva le finestre, chi teneva ferma la signorina, chi chiudeva i rubinetti del gas (che era già stato staccato in tutto l’isolato). Avevo finito, quella notte non avevo fatto il medico ma ero stato il personaggio di una vicenda teatrale. Tornai alla postazione ma non avevo nessuna voglia di entrare, faceva caldo e i bombardieri stavano ancora volando, sicuramente. Restai in macchina, aprii il tettino, distesi il sedile e mi godevo le stelle. C’era pace e silenzio, la mia adrenalina calava piano piano. Ad un tratto la vettura fu scossa ripetutamente, sollevata, sballottata. “Mi stanno fregando le gomme?” Scesi di corsa per accertarmi se qualche mano malandrina stesse operando ignara della mia presenza a bordo. Non c’era nessuno, naturalmente. Fui investito da una folata di vento caldo e percepii una specie di boato , un ovattato rimbombo che veniva dalla notte profonda, scendeva dalle montagne e invadeva la pianura. Iniziarono a risuonare contemporaneamente decine e decine di sirene di antifurto delle case: era il terremoto. Amatrice già piangeva i suoi morti.

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