Medico notturno, cubista e cocaina, za za!

di Giovanni Palombo

Pubblicato il 2019-08-26

“Buonasera dottore, io sono Tatiana”. “Ehhh, si vede signorina, si vede che è Tatiana!” Eh, lo confesso, quando mi avevano passato questa visita domiciliare per una sospetta “tromboflebite arto inferiore sinistro, caldo e dolente”, avevo imprecato contro il collega della Centrale Operativa che si era lanciato in una diagnosi così precisa con il solo ausilio …

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“Buonasera dottore, io sono Tatiana”. “Ehhh, si vede signorina, si vede che è Tatiana!”

Eh, lo confesso, quando mi avevano passato questa visita domiciliare per una sospetta “tromboflebite arto inferiore sinistro, caldo e dolente”, avevo imprecato contro il collega della Centrale Operativa che si era lanciato in una diagnosi così precisa con il solo ausilio del telefono. In effetti capita piuttosto di frequente che, in questa specie di gioco del telefono, simile a quello che giocavamo da bambini, la parola iniziale sia “anello” e a me, che sono l’ ultimo della fila, arrivi “cavallo”. Però stasera, la parola esatta era cavalla (in senso buono, dai), una purosangue russa con uno stacco di coscia da rianimazione. Era “issima” in tutto e la seguivo come Ulisse seguiva Circe, completamente ammaliato da forme perfette. Percorreva il corridoio dinanzi a me con i capelli sciolti e vestita solo di una canottierina che le faceva da miniabito. Ero perso, completamente perso, nella fragranza del suo profumo. Si può dire che me la respirassi a pieni polmoni. Pensavo: “Mannaggia, se lo avessi saputo, mi sarei messo la camicia buona e non questa maglietta da bancarella, però almeno non puzzo, ho fatto la doccia prima di iniziare il mio turno, sono pure sbarbato di fresco!” Tatiana, si distende sul divano e mi allunga il piede dolente. La pelle bianchissima, gli occhi chiarissimi e la perfezione di tutto il resto erano un inno alla femmina. “Dove le fa male signorina?” E lei mi indica l’ alluce. C’era un leggerissimo rossore e un segno di pressione, di sfregamento che offendevano insopportabilmente la perfezione di tutto il resto. Quel rossore era un vero insulto, diciamocelo francamente! “Cosa le è successo al piedino?” “Io ballato tutta la notte dottore, sono una cubista e per la notte di Halloween ho ballato tutta la notte con quegli stivali”. Pure la voce era sensuale, androgina, accattivante.

Mi indicò gli stivali incriminati , erano riposti in un angolo: un tacco altissimo, arrivavano a mezza coscia, neri lucidi. Fu istintivo immaginarla mentre ballava sul cubo così abbigliata. Un infarto, ora mi viene un infarto! Il mio collega mi aveva mandato a visitare una cubista affetta da “stivalite”, sentii di doverlo ringraziare, ma solo dopo aver consigliato alla tigre siberiana una curetta di baci e massaggi per quei piedini da fatina. Aria, aria, è meglio che esca subito perchè se Tatiana mi offre un bicchiere di palinka, sarò costretto a raccontarle di quando io facevo il cubista…Le lasciai il mio numero, non sia mai ci fosse stato un peggioramento clinico. In macchina me la ridevo, contento del piacevolissimo incontro e già pregustavo gli sguardi di invidia dei colleghi quando avrei raccontato della bella russa. La guerra è guerra! Continuai i miei giri e le mie visite, ero di buon umore, pervaso da una specie di felicità infantile fino a che arrivò una nuova chiamata dalla Centrale Operativa. Monotona come un elettrocardiogramma piatto: Tatiana aveva occupato militarmente ogni mia fantasia. “Dottore, abbiamo una urgenza. Uomo, 38 anni, riferisce dolore toracico, dispnea e formicolìo al braccio sinistro. Rifiuta categoricamente l’ intervento del 118! Abbiamo provato a convincerlo ma non c’è stato verso. Le lascio i contatti, provi lei”. Quello che aveva descritto l operatrice era il quadro esatto di un infarto ed era incomprensibile il rifiuto dell’ intervento dell’ ambulanza, più attrezzata e più veloce di quanto avrei potuto essere io. Mi avviai di gran carriera e contattai il numero telefonico che mi era stato dato. “Pronto, sono il medico di guardia, che succede?”

medico notturno spasmo laringeo

“L’ amico mio je fa male er petto e rantola, je faccio senti’ dotto’?” “Sì, fammi sentire”. Dalla cornetta fuoriusciva un rumore aspro, affannato, di chi fa sempre più fatica a riempire i polmoni. “Sta a schiuma’ l’amico tuo?” “Sì dotto’, fa la bava!” “Ci serve l’ambulanza subito o muore lì!” “No, dotto’ l’ ambulanza no, già l’ho detto a quelli de prima, nun se po’!” In questi casi mi accorgo che il mio modo di parlare si sintonizza automaticamente con il livello del mio interlocutore. Forse un riflesso inconscio che mi porta a cercare di farmi capire bene da chi sta dall’altra parte, non saprei trovare altra spiegazione. “Ue’ Ciccio, se tardamo n’artro po’ l’ amico tuo ce stira sicuro, non ce scherzamo! Da quanto tempo è che fa sti versi?” “Dotto’, da poco è da poco, da dopo che se semo fatti lo stupefacente” Le statistiche mediche ormai sono chiare ed univoche: l’ infarto, sotto i 40 anni ,nell’ uomo è dovuto spessissimo ad assunzione di cocaina.  “Avete pippato la coca?” “No, era crack”. “Ve sete pippati er crack allora?” “Dotto’ er crack nun se pippa, se fuma!” “Ah beh, grazie per la lezione ma mo’ levate de mezzo che devo organizzà per salvare la pelle all’amico tuo!” “Dotto’, nun portà le guardie che io faccio la vedetta e me rovini!” In alcune zone di Roma, quelle dove lo spaccio funziona h24 , sotto gli androni dei palazzi ci sono dei ragazzi che fanno le vedette. Controllano il flusso dei clienti, osservano i movimenti delle auto, avvisano in caso di retate della polizia. Se ne stanno tutta la notte, con un braciere acceso in inverno, e così guadagnano la pagnotta. La situazione era delicata, per me e per lui anche perchè avevo intuito che non mi aveva detto tutta la verità.

Se mi fossi presentato lì con gli agenti a sirene spiegate, io sarei diventato ipso facto un infame mentre il ragazzo, che era stata causa di quel disturbo sulla piazza di spaccio, se la sarebbe vista brutta brutta. Allertai il 118 chiedendo l’invio di un mezzo ma chiarendo che negli ultimi chilometri dovevano procedere in silenzio, senza sirene. Contestualmente chiamai l’amico maresciallo di zona, gli spiegai la situazione e, visto che mi stavo andando ad infilare in una casa con degli strafattoni, avrei gradito una presenza discreta dei suoi militari lì intorno. Salimmo insieme con gli infermieri e trovammo la porta aperta con il solo malato steso su un divano e lo portammo via di corsa. Nell’appartamento c’erano segni di un festino con molte persone: piste di cocaina ancora intatte, strumenti per il fumo, mutandine e biancheria intima sparsa ovunque insieme a una quantità industriale di alcoolici. Una festa alla grande, direi! L’ambulanza era già andata via ed io, che ero rimasto indietro, stavo per chiudere la porta quando dalla rampa delle scale una vocina mi fece: “Psss, dottore, pssss non chiuda la porta, per favore!” “Chi è, chi sei?” Dalle scale scese una ragazza molto bella, un vero fiore di borgata cresciuto sul cemento (come dice la canzone). “Devo recuperare le mie cose, non posso tornare a casa vestita da zoccola!” “Va bene ma sbrigati”. Vidi entrare nell’ appartamento una specie di pornodiva che camminava, non senza incertezze, su tacchi vertiginosi e dopo poco ne uscì una ragazzina acqua e sapone. Avrà avuto sedici anni o poco più. “A belli capelli, stai lontano de casa?” “Si dotto’, ma nun fa niente, m’arrangio!” “Te ce porto io a casa ma tu prometti che non ti infili più in questi casini?” “Ma a me m’ hanno dato cento euro pe’ veni’ a ballà, mica lo sapevo che era una cosa così!” “Statte zitta va, che a me da esse cojonato alle tre de notte da una pischella nun me va proprio!” “Scusa dottò scusa, c’hai ragione! ”

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