Il medico notturno, il profugo cardiochirurgo e il leone morente

di Giovanni Palombo

Pubblicato il 2019-08-18

“Abuh, ma tutte te le guardi, belle e brutte te vanno bene tutte?” Il mio collega si perde dietro a qualunque gonnella, nessuna esclusa, commenterebbe pure pora nonna se passasse nei paraggi. È fatto così da sempre, appartiene alla categoria degli uomini seguaci del  “bastacherespira”. Ride, ride…Ma che te ridi con st’aria da sorcio che ha trovato …

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“Abuh, ma tutte te le guardi, belle e brutte te vanno bene tutte?”

Il mio collega si perde dietro a qualunque gonnella, nessuna esclusa, commenterebbe pure pora nonna se passasse nei paraggi. È fatto così da sempre, appartiene alla categoria degli uomini seguaci del  “bastacherespira”. Ride, ride…Ma che te ridi con st’aria da sorcio che ha trovato il formaggio? “Io so’ iraniano!” mi dice. “E perché, in Iran stanno tutti con l’ormonella pure a 60 anni come stai tu, famme capi’?” Ride ancora. “Stacce te con Khomeini: maschi de qua e femmine dellà. Dall’asilo, maschi de qua e femmine dellà. Nello sport maschi de qua e femmine dellà!” (scrivo rendendo sul foglio esattamente il suono percepito dalle mie orecchie, in barba a qualsiasi convenzione grammaticale, a qualsiasi regola imposta). “Ma perchè siete scappati dall’Iran, si stava proprio così male?” Ormai mi ha fatto incuriosire, è sempre riservato, si fa i fatti suoi in silenzio e sparisce: un sorcio, ve l’ho detto! “Semo scappati per la minigonna!” Arieccolo! “Ma quale minigonna Abuh, me stai a cojona’?”

“No, è vero. Mia sorella… lo sai che ho una sorella che fa l’anestesista a Parma?” “No Abuh, di te so solo che non magni er porco e che quando fai il Ramadan e stiamo di turno insieme la notte, a ‘na certa sparisci e te fai tutti i kebabbari della zona”. Ride, squittisce , un suono da cartone animato che non so come descrivervelo.  “Insomma, mia sorella voleva vestire all’ occidentale, se voleva mette la minigonna e due volte in Iran l’ hanno pure pistata de botte!”. “Li posso capire, se è brutta come te, hanno fatto bene!” Rapido come un sorcio mette mano al portafoglio e tira fuori due foto della sorella e me le mostra. È molto bella, davvero: la pelle ambrata, gli occhi neri profondissimi evocano le fiamme del deserto, i lineamenti sono delicatissimi. Insomma è bella bella. Nell’altra foto è a figura intera e porta pure la minigonna e un un paio di cosce come quelle che ha , sarebbe stato davvero un crimine contro l’umanità rinchiuderle in un sacco per cadaveri come fanno al paese suo. “Ma da quanti anni stai in Italia?” Gli domando. “Ehhh, sono venuto a 20 anni, come profugo, ho studiato qui in Italia all’università. La prima donna l’ho toccata qui da voi! ”

“Quindi ce sei venuto a fregà istruzione, lavoro e pure le donne? Se lo sa Salvini so’ cazzi tuoi!” Ride ancora. “Te stavo a racconta’ che io in Iran una donna non sapevo manco come era fatta, niente, zero proprio! La prima volta che ho fatto l’amore qui in Italia, lei c’aveva le mestruazioni e io non sapevo cos’erano, ignoravo completamente la cosa e quando me so’ alzato dal letto ed ho visto tutto quel sangue, mi sono spaventato e ho pensato che l’ avevo ammazzata!” Ora rido io, di gusto. Sto muslim de borgata è simpatico, ha uno humor tutto suo ma mi piace. Ormai ha preso il via e inizia a raccontarmi tutta la sua vita, gli impicci, i sacrifici, gli amori, i figli. È un fiume in piena, aspettava, forse, un gesto che gli permettesse di saltare fuori dalla sua tana di sorcio. Infila una pennetta nel computer e mi fa vedere il curriculum. “Cardiochirurgo, sei cardiochirurgo?” Lo guardo sbigottito e lui annuisce e mi snocciola tutto il suo percorso di formazione: scuole di altissimo livello, professori che hanno fatto la storia della cardiochirurgia italiana, cose da pazzi . “E che ci stai a fare qui ? Il tuo posto è in ospedale, ad un tavolo operatorio, qui sei sprecato!”

notte ferragosto roma

Stringendo le spalle mi fulmina:  “Eh, ma qui in Italia, se non hai un calcio in culo, se non hai le raccomandazioni, non ti ci fanno arrivare”. Anvedi sto beduino (in senso affettuoso), ha reso pienamente , in due parole, la tragedia del nostro paese che spinge tanti giovani a scappare via. Lui e la sorella sono scappati dall’Iran per la minigonna mentre i nostri giovani scappano dall’ Italia perché il sistema baronale gli toglie l’ossigeno, le speranze, i sogni. I nostri ragazzi sono come delle Ferrari parcheggiate in garage o che, al massimo, sono costrette a viaggiare nella vita alla velocità di un pandino. Trilla il telefono, tocca a noi. Annoto sul registro due visite, Abuh le legge e sceglie la prima: donna, 30 anni, crisi di ansia. “Questa visita buona, questa magari vuole pure scopa’!” Arieccolo il Rocco Siffredi del deserto, è più forte di lui, non si frena! Prendo la seconda visita: un anziano allettato che ha un malore non ben identificato. È la classica visita che serve a lenire le coscienze dei figli che stanno a panza all’aria al mare e pretendono che tu vada a dare una controllatina al vecchietto parcheggiato con la badante. Vado.

Un altro aspetto, per me affascinante, di questo lavoro è che ad ogni visita corrisponde un tiro di dadi . Il valzer delle casualità ti spara dentro le vite altrui e non si sa mai cosa troverai. È una specie di appuntamento al buio. Mi apre la porta una badante filippina (visto che avevo ragione?), parla un buon italiano e mi fa accomodare in salotto. Sono, come vi ho già detto, un curioso, guardo le foto, i quadri, gli oggetti presenti nelle case perché mi raccontano molto del paziente che ho dinanzi, la sua vita, la sua storia, frammenti di esistenza. In una teca di cristallo c’è un basco rosso da paracadutista e un pugnale da Ardito. Il nonnetto è stato un parà della Folgore. Continuo a sbirciare e in un altro angolo trovo una serie di foto che rimandano alla battaglia di El Alamein. Porca miseria, vuoi vedere che il vecchietto è uno di quei ragazzi che scrissero una tra le pagine più eroiche della nostra storia militare? Torna la badante ed io gli indico la foto del Sacrario e lei annuisce. Cari miei, sto per incontrare un leone, un leone morente ma sconfitto solo dal tempo e dalle malattie.

Ma un leone resta un leone per sempre. Nell’ entrare nella sua camera lo appello: “Comandante, mancò la fortuna, non il valore!” L’anziano soldato si rianima e si illumina, una frase ha fatto più effetto di una flebo! Mi indica una pergamena appesa al muro, la leggo. Sono le motivazioni della sua medaglia al Valore: ha fatto saltare 4 carri armati inglesi armato solo di pugnale e granate. È davvero un leone. Mentre lo visito mi racconta, è un fiume in piena, nei suoi occhi si intravedono i bagliori delle cannonate, la sabbia, le urla, il valore assoluto e la devozione alla patria di un pugno di ventenni che hanno sfidato l’impossibile a petto nudo armati solo del loro coraggio. Ha ancora le schegge in giro per il corpo, le presenterà al Padreterno come i chiodi della Croce, sono testimonianza assoluta di fedeltà, di abnegazione, di coraggio. Il ruggito di quei leoni ancora echeggia tra le sabbie morte del deserto. Lo abbraccio, sono soldato anche io in fondo, combatto la mia battaglia quotidiana contro il male a mani nude e non cedo di un passo, costi quel che costi. So che non lo rivedrò mai più ma quei brevi momenti hanno ridato vita agli eroi e questo mi basta. Esco contento, oggi è stato un buon tiro di dadi.

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