Il medico notturno che salva la dottoressa dalla rapina

di Giovanni Palombo

Pubblicato il 2019-08-24

“Dai che mi sto fumando sotto, saliamo su a farci due tiri!” Sti fumatori maledetti: viziosi, nevrotici, sempre in astinenza. Sono le due di notte e questa ha bisogno di fumare come un tossico ha bisogno della dose. Non vuole andare da sola sul tetto (unico posto dove non rischiamo di far attivare l’impianto antincendio), ha …

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“Dai che mi sto fumando sotto, saliamo su a farci due tiri!”

Sti fumatori maledetti: viziosi, nevrotici, sempre in astinenza. Sono le due di notte e questa ha bisogno di fumare come un tossico ha bisogno della dose. Non vuole andare da sola sul tetto (unico posto dove non rischiamo di far attivare l’impianto antincendio), ha paura e vuole compagnia! “Ammezzo il sigaro e vengo!” Come fai a farle capire che il mio sigaro è un vizio vero, che ha i suoi tempi, i suoi riti, i suoi piaceri che iniziano ben prima di accenderlo. Lo tiri fuori dalla scatola, lo scegli tra gli altri sigari, lo giri tra le dita valutando la consistenza delle foglie del tabacco: né troppo morbide (segno di scarso invecchiamento) né troppo rigide (segno che l’umidità è andata via e non tornerà mai più). Lo circondi con la lama del taglia sigaro, calcoli il punto esatto dove dividerlo, senti l’acciaio che lo trapassa dividendolo in due metà che, da un unicum che erano, da quel momento avranno due destini diversi.

E’ come le storie d’amore che finiscono: le foglie dapprima sono intrecciate strettissime tra loro, condividono l’aria, l’acqua , la luce, la vita e poi, d’improvviso una fredda lama, un evento estraneo ed avverso, le divide, le separa, schiantando irrimediabilmente quel sogno di unità. E’ successa la stessa cosa anche alla mia vita, in un modo o nell’altro. “Eccomi, Cateri’, saliamo su!” Caterina è un medico è una collega ma è anche moglie, madre , amante (forse, non lo so per certo, non mi faccio i fatti degli altri), bella è indubbiamente bella. I suoi capelli rossicci, le efelidi sul viso, gli occhi chiari le danno un’aria da eterna fatina degli elfi del bosco. Sarebbe un personaggio perfetto per una storia di antiche dame e cavalieri. Una donna per la cui mano, uomini prodi e valorosi s’affrontano a singolar tenzone. Puzza di fumo, sempre. La sigaretta è il suo alter ego, le cicche nel suo posacenere non si contano e quando entro nella sua auto per accompagnarla a fare un intervento, è come entrare in una acciaieria fumosa della vecchia Germania dell’ Est. Ormai ci sono abituato.

notte ferragosto roma

Nella nostra squadra di medici le donne, negli anni, sono aumentate di numero come naturale conseguenza del loro incremento numerico in tutte le facoltà scientifiche. Bene così, loro la chiamano emancipazione, indipendenza etc etc…Io le vedo fare mille cose insieme, riempire i moduli della Asl mentre comprano i detersivi su Amazon, insomma fanno cose che a me servirebbero tre vite per farne la metà. Sono fortissime e determinate, mi piacciono. Nel mio piccolo, se non si fosse ancora capito, sono un estimatore senza riserve dell’universo rosa. Le donne mi mettono allegria, mi danno energia, stimolano i miei sensi con la sola loro presenza. Caterina ha scelto, come me, un lavoro complicato e pericoloso ma lo svolge con decisione e passione. Su questo terrazzo, tra nuvole di fumo, guardiamo i palazzi che si stagliano davanti a noi e che , tra mille luci accese, ci raccontano milioni di storie, di amori, di sofferenze, di routine quotidiana.

Qui sopra ci sentiamo come il manipolo di guerrieri della notte che hanno giurato di difendere la grande barriera dagli assalti dei barbari. Lei ha già finito la sua sigaretta, l’ha divorata come avesse una fame bulimica nei polmoni e già protesta per il freddo. “Vai Cateri’, vai che per il mio sigaro ci vuole ancora tempo e me lo voglio godere!” Apre la porta e sparisce nell’ascensore. Dopo pochi minuti la vedo uscire dall’edificio, sale in macchina e mette in moto. Avrà sicuramente ricevuto una chiamata. Scendo anch’io e torno alle mie scartoffie, alla mia routine. Non passa molto che arriva una chiamata anche per me, devo uscire per una visita. Prendo la borsa e faccio gli stessi passi di Caterina. In macchina metto su la mia musica e imposto la via sul navigatore: è lontano, porca miseria! Faccio la mia visita, rassicuro l’ anziana che aveva una crisi ipertensiva e torno alla postazione: routine, banale routine. Caterina non è ancora rientrata, forse sarà stata una cosa complicata o forse è più distante di quella che è capitata a me.

Appena sono in postazione controllo il registro dove aveva annotato la chiamata e non è né lontano né complicata. La cerco sul cellulare, non risponde: strano! Miss perfettina ci vive in simbiosi con il suo telefono, forse starà ancora visitando, mi richiamerà dopo. Uno strano senso di inquietudine si faceva largo nei miei pensieri, quella stessa sensazione di pericolo che hai la notte quando aspetti con ansia che un figlio torni dalla discoteca. Decido di chiamare casa del paziente, sicuramente qualcuno mi risponderà. Compongo il numero con nervosismo e, appena dico che sono il medico di guardia, dall’ altro capo del filo il paziente mi investe con una filippica, una valanga di parole per protestare sul ritardo della visita e sul suo mal di pancia. Vorrei mandarlo a quel paese ma non posso, le chiamate sono registrate e non mi va di subire un provvedimento disciplinare per colpa di sto cretino. Risalgo in macchina e faccio la strada che ha fatto Caterina. Forse un guasto alla macchina, forse ha bucato , forse…forse…

Vado piano e continuo a chiamarla ininterrottamente sul cellulare. Sono agitato, tutto questo non è normale. Ad un tratto riconosco la sua macchina, è accostata alla meno peggio in una via laterale. Mi avvicino e vedo che è seduta dentro e sembra che pianga. “Cateri’, Cateri’ , stai male, che t’è successo?” Apre la portiera e mi getta le braccia al collo singhiozzando. Ha la camicetta con tutti i bottoni saltati, Cristo santo! La faccio salire sulla mia macchina, cerco di confortarla e di sapere che cosa le sia accaduto. La copro con la mia giacca e le stringo la mano. “E’ finita Caterina, è finita. Ora sei al sicuro, respira e tranquillizzati, ti prego!” L’ abbraccio ancora e lei inizia a raccontare. Subito dopo aver ricevuto la chiamata è salita in auto e si è avviata ma al primo semaforo rosso, un uomo ha aperto la portiera posteriore dell’auto e si è infilato dentro. Le ha messo un coltello alla gola, l’ha costretta a guidare fino ad una strada isolata e l’ha fatta fermare dietro ad un furgone dal quale sono usciti altri due uomini.

medico notturno habiba

Avevano pianificato tutto nel dettaglio, sti bastardi. Le avevano strappato la camicetta per impaurirla di più facendole credere che fossero intenzionati a portarla nel furgone e violentarla. Fortunatamente si erano limitati a rapinarla di tutto ma non c’era stata violenza carnale. “Ti porto in ospedale?” Fa cenno di no con la testa, non vuole rispondere alle domande di estranei è scossa ma lucida. Avviso i Carabinieri e quando arriviamo alla nostra postazione sono già lì ad aspettarci. Caterina racconta l’accaduto e fornisce dettagli sul furgone e parte del numero di targa. “Li beccano Cateri’, li beccano sti delinquenti, sei stata bravissima! Ti prendo qualcosa di forte, lo vuoi un cicchetto?” Non risponde, è tramortita, annichilita e si è chiusa in una specie di mutismo. Decido io per lei. Quando non sai che fare, fai la prima cosa che ti passa per la testa è inevitabile. “Pronto, Habiba, mi puoi portare qualcosa di forte su in ufficio?”. “Dotto’, ma so’ le quattro, il bar è chiuso da una vita, sto a casa a dormi’!” “Scusami stella mia, scusami. Quando stai per strada si perde la cognizione del tempo e sembra sempre mezzogiorno. Dormi, Habiba e scusami ancora”. “Ma che è successo dotto’? Tu non sei tipo da liquore, che t’è successo?” “Niente Habiba, non mi è successo niente, domani ti racconto, stai serena”.

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