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Il fantastico cerchiobottismo di Paragone su Luigi Di Maio

Giovanni Drogo 30/10/2019

Vi ricordate Gianluigi Paragone? Quello che non voleva l’accordo con il PD (voluto da Di Maio), che si asteneva sulla fiducia al Conte Bis e che diceva che il Capo Politico “non è superman” e che non aveva fatto un buon lavoro al MISE? Non ci crederete mai ma oggi quel Gianluigi Paragone spiega che nessuno sarebbe in grado di fare quello che fa Di Maio, che risponde sempre a tutti al telefono ed è sempre molto gentile. La sconfitta in Umbria? Nemmeno quella è colpa sua

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Il senatore del MoVimento 5 Stelle Gianluigi Paragone in un colloquio Federico Capurso pubblicato su La Stampa prende le difese di Luigi Di Maio dopo l’ennesima batosta elettorale del M5S. Paragone prima dice che «è inutile perdere altre energie a mettere in discussione la sua leadership. Sono mesi che ne discutiamo» e poi tesse le lodi del Capo Politico: «Luigi è sempre presente, quando lo chiami risponde e ti ascolta. Non c’è nessuno che farebbe quello che fa lui qui dentro».

Perché Paragone oggi difende Di Maio?

Insomma per Paragone se il MoVimento continua a perdere (in Sardegna, in Abruzzo, in Basilicata, in Piemonte, alle Europee, in Umbria) non è colpa di Di Maio. Anzi, il Capo e ministro degli Esteri secondo il senatore pentastellato «è stressato da un’eccessiva quantità di input esterni, come quelli di Beppe Grillo» ma anche dalle rivendicazioni che arrivano dai pentastellati considerati “di sinistra”. Strano che tra gli input esterni il senatore dimentichi di citare i suoi. Paragone ha continuato a difendere Di Maio anche questa mattina ad Omnibus. Quando qualcuno gli ha fatto notare che la poltrona che occupa ora alla Farnesina è di puro potere e non di merito Paragone ha replicato dicendo che «è molto più poltronaro Conte:  quali sono i meriti con cui arriva a fare il presidente del consiglio? Nessuno».

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Fonte: La Stampa del 30/10/2019

Ci sarebbe il piccolo dettaglio che Conte era nella squadra di governo presentata dal M5S prima delle Politiche del 2018 (esattamente come lui è stato candidato all’uninominale per scelta di Di Maio). E che non risulta che Paragone abbia mai messo in discussione i meriti di Conte quando c’era da votare la fiducia al Conte 1 (cosa che ha fatto) al contrario di quello che è successo quando si è trattato di votare la fiducia al Conte 2 (dove invece si è astenuto dopo aver detto che avrebbe votato contro). Certo, Conte non è stato eletto, ma nemmeno Paragone sarebbe al Senato se non fosse stato salvato dal paracadute del proporzionale (visto che all’uninominale è stato trombato). Chissà magari oggi Paragone difende Di Maio perché spera ancora di essere nominato alla presidenza della Commissione d’Inchiesta sulle banche.

Quando Paragone attaccava Luigi Di Maio

L’aspetto più particolare della questione però è un altro. Perché a maggio, subito dopo la batosta delle Europee, Paragone la pensava in maniera diametralmente opposta sul Capo Politico. In un’intervista al Corriere della Sera di Di Maio diceva «a 32 anni non puoi fare il capo della prima forza del Paese, il vicepremier, il ministro dello Sviluppo economico e il ministro del Lavoro». Ma non solo, secondo Paragone «come vicepremier ha perso la sfida» e che al MISE «il Nord lo ha bocciato». L’unica cosa su cui il senatore del M5S non si sentiva di rimproverare a Di Maio era quanto fatto al ministero del Lavoro. «Ho fatto la campagna elettorale esaltando ciò che Luigi ha varato come ministro del Lavoro» avrebbe scritto poi su Facebook per precisare che la sua non era una critica a 360 gradi.

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Fonte: il Corriere della Sera del 28/05/2019

E chissà se Paragone aveva in mente le 158 crisi aziendali che Di Maio non ha risolto al Ministero oppure la pessima gestione della vertenza Whirlpool. Ed è incredibile che oggi, che tutti sanno che Di Maio su Whirlpool ha mentito a lavoratori, sindacati ed elettori, Paragone prenda le difese del Capo Politico. Sarebbe da chiedergli se ritiene ancora che quello fatto al Ministero del Lavoro sia stato un buon lavoro, anche alla luce del fallimento del Reddito di Cittadinanza, che non ha creato un solo posto di lavoro.

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Ma l’ex conduttore de La Gabbia è fatto così, prima attacca Di Maio dicendo che «serve un ministro a tempo pieno», poi rilascia un’intervista dove dice che ormai il Capo non conta più nulla e alla fine dichiara conclusa la stagione della riflessione sulla leadership. Non perché ci sia stata una riflessione o si sia giunti ad una conclusione ma perché lui ha cambiato idea su Di Maio. Anzi Paragone teme che tutto questo discutere circa il Capo Politico possa alla fine danneggiare il M5S perché gli elettori rischiano di non capirci più nulla. Ma Paragone, che a parole è così vicino al popolo e alla base, non si accorge che non è che si coinvolgono gli attivisti (e gli elettori). Anzi vista da fuori la situazione è oltremodo curiosa: abbiamo un senatore – che secondo il regolamento del M5S dovrebbe essere già espulso – che continua a dire tutto e il contrario di tutto sul M5S e pretende di decidere quando e come aprire o chiudere un processo a Di Maio.

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Com’è che meno di cinque mesi fa Di Maio aveva fallito come Capo Politico e oggi invece bisogna lasciarlo stare? Cosa è successo in mezzo? Di sicuro non l’alleanza con il PD, che Paragone ha sempre avversato. E così oggi a Omnibus Paragone scopre le virtù di essere anti-sistema (dopo aver sostenuto la Lega per 14 mesi) e con un raro capolavoro di non-logica dichiara: «un partito così giovane non ha l’intelaiatura per essere né il partito di opposizione né di governo, è  una forza di narrazione». Siamo davvero oltre le più delicate acrobazie del post-ideologico pentastellato. «Se non sei sistema devi combattere il sistema» sentenzia Paragone e quando la giornalista Silvia Sciorilli Borrelli Politico.eu gli ricorda che una forza di maggioranza che dal 2018 esprime il Presidente del Consiglio «non può combattere il sistema» il nostro risponde «questo lo pensi tu». E non è qui un omaggio al questo lo dice lei di castelliana memoria. Paragone ha in mente un’altra cosa, assai più “antica” politicamente. La farsa della Lega di Bossi che era contemporaneamente “di lotta e di governo” e che stava «dentro il governo col pugno ma fuori con i piedi». Ovvero votava tutto quello che diceva Berlusconi ma senza farlo troppo vedere. E Paragone, che è stato direttore de La Padania questo lo sa bene. Come saprà che all’epoca la Lega si aggirava attorno al 4%.

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