Tutte le promesse (non mantenute) di Luigi Di Maio

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-07-26

Questo è il governo dei pugnetti alzati, quello di Di Maio che festeggia l’abolizione della povertà e quello di Toninelli in Aula alla Camera. Ma se guardiamo a tutto quello che Di Maio ha promesso di fare e non ha fatto questo in realtà è il governo delle pugnette

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Un anno di governo gialloverde, un anno di Contratto di Governo ma soprattutto un anno di grandi annunci. Il migliore? La povertà abolita per decreto da Luigi Di Maio, con tanto di foto dal balcone di Palazzo Chigi davanti ad una delegazione di deputati e senatori del M5S in festa. Inutile dire che la povertà in Italia, sia quella assoluta che quella relativa, c’è ancora. Ma il MoVimento 5 Stelle non ha smesso di spararle grosse. Perché questo Governo del Cambiamento, così come viene venduto dalla propaganda, è il governo degli annunci.

ILVA, TAP, TAV e Gig Economy, i migliori grandi insuccessi di Di Maio

Tutto parte da lontano, da quell’annuncio che Di Maio fece dal palco di Piazza del Popolo il 2 marzo 2018: «tagliamo 30 miliardi di sprechi e privilegi e li rimettiamo in aiuti verso aiuti alle famiglie che fanno figli, a chi perde il lavoro e ai pensionati». Quei trenta miliardi non sono mai stati trovati, e sì che ora farebbero comodo perché consentirebbero di coprire le clausole di salvaguardia sull’IVA. A giugno 2018 arrivò il primo dei grandi successi del bisministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico: il decreto Dignità. Di Maio promise che così avrebbe risolto il problema dei rider. Un anno dopo i lavoratori della gig economy non hanno visto migliorare la propria condizione lavorativa. La trattativa con le aziende della food delivery si è fermata subito e per i fattorini il decreto Dignità è rimasto nel cassetto al Ministero.

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L’abolizione della povertà, propaganda su tela, 2018

Ad agosto è stato il turno dei primi annunci sull’Ilva. La prima grande sceneggiata del ministro dello Sviluppo Economico che convoca una conferenza stampa per spiegare quello che definì il delitto perfetto dell’assegnazione dell’acciaieria a ArcelorMittal: «secondo noi c’è stato eccesso di potere e l’atto è illegittimo» aggiungendo che «per l’annullamento deve esserci illegittimità dell’atto». Finirà con Di Maio che ratifica l’accordo già firmato dal suo predecessore Calenda. Il primo grande tradimento delle promesse elettorali avviene proprio in una città, Taranto, dove il M5S aveva fatto il pieno di consensi. Ma per la Puglia il M5S aveva già pronta una nuova delusione: non ci sarà nessuno stop al TAP. I 5 Stelle si sono “accorti” che l’atto era già stato ratificato dal Parlamento durante la scorsa legislatura. Arriviamo ai giorni nostri. Alla TAV che nessuno nel MoVimento avrebbe voluto fare e che invece si farà perché il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a nome del Governo, ha dato il via libera all’opera. Fermarla costerebbe troppe energie, ha detto Di Maio a Torino qualche settimana fa. Di certo è meno “dispendioso” fare annunci e promesse.

Un piccolo caso di studio: le balle di Di Maio sull’Air Force Renzi

Ma non è solo sulle grandi vittorie che si misura la grandezza di un politico. Prendiamo ad esempio la ridicola vicenda del cosiddetto “Air Force Renzi“. A luglio 2018 Di Maio e Toninelli andarono in visita nell’hangar nel quale era parcheggiato il Boeing di Ethiad annunciando che finalmente lo Stato se ne sarebbe sbarazzato. I due avevano anche quantificato i risparmi dell’operazione: «Diciotto milioni all’anno risparmiati, come tre nuovi treni per il trasporto pendolare o due nuove scuole per i nostri figli. Ecco cosa potremo fare da oggi al 2024 grazie al taglio di questo enorme spreco». Venne addirittura mostrato il “documento” con il quale “salutiamo l’Air Force Renzi”. Ebbene, a settembre quell’areo era ancora a carico nostro. E anche oggi, luglio 2019, Di Maio e Toninelli non sono riusciti a venire a capo della questione. E il Boeing giace lì: inutilizzato. Qual è lo spreco peggiore? Pagarlo (anzi farlo pagare ad Alitalia) e non usarlo?

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Rimanendo in ambito di trasporto aereo c’è la vicenda Alitalia. Il Governo la vuole salvare, e per farlo farebbero comodi i soldi di Atlantia, il gruppo di proprietà dei Benetton cui il Governo del Cambiamento aveva dichiarato guerra dopo il crollo del Ponte Morandi. Era l’agosto del 2018 e Toninelli tuonava dicendo che avrebbe tolto le concessioni ad Autostrade per l’Italia. È passato quasi un anno e non è cambiato nulla. Anzi all’interno della discussione sull’Autonomia Differenziata del Veneto è comparsa la richiesta di Zaia di far diventare la Regione (e non lo Stato) il concedente dei tratti autostradali regionali.

I grandi successi del ministro del Lavoro: Reddito di Cittadinanza fatto a metà e crisi aziendali ignorate

Cosa può rivendicare Di Maio? Nemmeno l’assurda storia delle arance che volano in Cina, sbandierata per settimane come un grandissimo successo. E mentre noi vendiamo Citrus sinensis ai cinesi Macron vende a Pechino aerei per 30 miliardi di euro. Ma ci sarà qualche promessa che Di Maio è riuscito a mantenere. Certo: il Reddito di Cittadinanza. Peccato che sia arrivato a metà. Perché da marzo gli aventi diritto percepiscono il RdC senza alcun obbligo. Il motivo? I navigator (che dovevano essere diecimila, poi seimila e alla fine sono poco meno di duemila) devono ancora prendere servizio.

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E senza i navigator (e la riforma dei centri per l’impiego) i disoccupati non vengono impiegati in lavori socialmente utili, non seguono corsi di formazione, non ricevono offerte di lavoro. Qualcuno potrebbe anche chiedersi cosa fanno i percettori del Reddito di Cittadinanza oltre a percepire il sussidio.Un’altra grande promessa non mantenuta da parte del M5S. In mezzo ci sono questioni meno mastodontiche ma senza dubbio rilevanti. Le centinaia di crisi aziendali che il MISE non affronta, la storia della Pernigotti che doveva rimanere italiana (ma si sono dimenticati che non c’era la legge).

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Oppure i casi MercatoneUno e  Whirpool che dopo l’annuncio dell’addio allo stabilimento di Napoli prima trova il governo “spiazzato” (ma si è scoperto poi che era il MISE era stato informato) e pronto a dare battaglia. E poi finisce con Di Maio, quello che pretendeva indietro i soldi, che tira fuori altri 17 milioni di euro. Luigi Di Maio è da un anno al governo, e per carità non è da solo, ma la cifra del Governo del Cambiamento si conferma essere una sola. Quella di annunciare provvedimenti, grandi soluzioni e poi dimenticarsi che agli annunci, alle promesse, alle parole vanno fatti seguire atti e azioni concrete. Qualcuno potrebbe chiedersi se davvero stanno governando il Paese o solo amministrando il consenso. In entrambi i casi per il M5S la situazione non è affatto buona. E questa volta non basterà un “record” su Rousseau a salvare la leadership del vicepremier.

Leggi sull’argomento: Cosa succede se una TAV irrestistibile incontra un Toninelli inamovibile

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