Il barbatrucco di Di Maio su ILVA

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-09-10

Per tre mesi il ministro dello Sviluppo Economico ha alimentato le speranze dei tarantini sulla chiusura dell’Ilva. Ma il parere “secretato” dell’Avvocatura dimostra che Di Maio non avrebbe mai potuto annullare la gara e che non c’è stato alcun “delitto perfetto”

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Il ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha deciso di non procedere all’annullamento della gara per l’Ilva e ha fatto pubblicare sul sito del MISE il famoso parere dell’Avvocatura di Stato che aveva deciso di tenere segreto. Poco più di quindici giorni fa Di Maio, presentando la relazione (ma tenendola segreta) aveva dichiarato che «su Ilva è stato commesso un delitto perfetto. Dal parere dell’avvocatura capirete che c’è pochissimo di regolare in questa gara».

Quando Di Maio diceva che la gara era illegittima

Durante la conferenza stampa che rimarrà famosa perché Di Maio disse «secondo noi c’è stato eccesso di potere e l’atto è illegittimo» aggiungendo che «per l’annullamento deve esserci illegittimità dell’atto». Dal momento che l’atto non è stato annullato ne consegue che il provvedimento di aggiudicazione della gara ad Arcelor-Mittal non era illegittimo. Dalla lettura del parere dell’Avvocatura emerge come il ministro abbia di fatto manipolato il contenuto del parere al solo scopo di fare un po’ di propaganda sulla pelle dei cittadini di Taranto e degli operai dell’acciaieria. Anzi, Di Maio ha mentito quando diceva che secondo l’Avvocatura c’era stato “un eccesso di potere” e che quindi si doveva procedere all’annullamento.

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L’Avvocatura invece ha risposto a Di Maio dicendo che l’annullamento si poteva fare solo in presenza di un «interesse pubblico concreto ed attuale, particolarmente corroborato». Quindi il cosiddetto “delitto perfetto del PD” che il governo e il MoVimento 5 Stelle hanno utilizzato come scusa per non aver rispettato le promesse fatte in campagna elettorale (quando diceva che l’Ilva sarebbe stata chiusa) non esiste. Perché per l’Avvocatura per procedere all’annullamento non era sufficiente il fatto che ci fossero alcun profili di illegittimità ma era necessario che fosse evidente e preminente l’interesse pubblico. Questo Di Maio lo sapeva quando ha parlato di “delitto perfetto” e ha continuato a prospettare l’eventualità di un annullamento. Annullamento che poteva essere tranquillamente disposto dal Ministero di cui il vicepremier è titolare.

Cosa ha detto l’Avvocatura dello Stato sull’Ilva

Nel concreto, e come era facilmente immaginabile, il parere richiesto da Di Maio non si discosta da quello richiesto qualche mese fa dal suo predecessore, l’ex ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Scrive l’Avvocartura che «la mancata valutazione della nuova offerta in rilancio formulata da Acciai Italia può assumere rilievo di quell’eccesso di potere che sarebbe uno dei due presupposti per annullare la gara» ma manca (o meglio deve essere individuato) l’altro presupposto: l’interesse pubblico. Dal momento che si è tenuto conto dell’interesse pubblico non c’è stato eccesso di potere. L’Avvocatura poi definisce “sconsigliabile e assai complesso” il procedimento di riapertura dei termini della gara che secondo Di Maio avrebbe consentito ad altri aspiranti acquirenti di entrare nella partita e quindi di poter stimolare la concorrenza con offerte “migliorative”.

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Inoltre l’Avvocatura rileva come AcciaItalia, ovvero la cordata guidata Cassa Depositi e Prestiti che gareggiava con ArcelorMittal non ha ritenuto assumere alcuna iniziativa processuale (non ritenendosi quindi “danneggiata” dalla procedura) e che nel frattempo “risulterebbe addirittura cancellata dal Registro delle Imprese a seguito della procedura di messa in liquidazione”. Di Maio invece riteneva che la fase dei rilanci avrebbe consentito di migliorare l’offerta. Ma come era possibile farlo se il concorrente non esisteva più?

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Più che in una battaglia per salvare l’Ilva (o Taranto) Di Maio in questi mesi si è impegnato in una lotta contro il precedente governo e contro l’ex ministro Calenda. Da questa lotta però non sono scaturiti decisivi miglioramenti dell’offerta da parte di Arcelor Mittal. Ovvero, si può anche immaginare che il Capo Politico del M5S abbia voluto “bluffare” a fin di bene per spingere l’acquirente (che sarebbe in ogni caso entrato in possesso degli impianti il 15 settembre prossimo) a fare una controproposta “migliore”. Ma il confronto tra quanto ottenuto da Calenda e quanto ottenuto da Di Maio non lascia spazio a dubbi. Le due proposte sono – fatto salvo qualche contentino – sostanzialmente identiche.

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I Commissari – prosegue l’Avvocatura – hanno spiegato perché non hanno esaminato l’offerta di rilancio di AcciaItalia, che presentava profili di irregolarità. Su Twitter Calenda è passato al contrattacco, accusando Di Maio di aver distorto durante la famosa conferenza stampa il parere dell’Avvocatura e chiedendo le dimissioni del ministro. Di Maio ha ribattuto dicendo che «C’è stato un “eccesso di potere” ma a termini di legge l’illegittimità dell’atto non è sufficiente per annullarlo». La storia del “delitto perfetto” è tutta in quel “a termini di legge”. Che però significa che la legge è stata rispettata. Nei fatti l’Avvocatura ha confermato il parere dato a suo tempo a Calenda che legittimava la procedura di gara e l’acquisizione dell’Ilva da parte di Arcelor Mittal. Di fronte a questo giudizio anche la narrazione del MoVimento ha dovuto cedere il passo alla realtà e accettare il fatto compiuto.

Leggi sull’argomento: E ora il M5S balla la tarantella sul TAP

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