L’inflazione è fuori controllo, chi pagherà il conto?

di Alessandro Cascavilla

Pubblicato il 2022-06-06

Negli ultimi mesi stiamo tornando a vedere tassi di inflazione significativamente più elevati del normale. Le prospettive macroeconomiche non sono quindi tra le migliori: ecco perché

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 inflazione in aumento cosa succede
foto IPP/imagostock

A partire dai Millennials abbiamo avuto il privilegio di vivere in un’economia in cui, per prendere le proprie decisioni finanziarie, non era necessario preoccuparsi dell’inflazione.

L’inflazione negli ultimi 20 anni:

Questo è stato possibile perché, a seguito del rispetto di criteri di convergenza per accedere nell’area euro, a partire dagli anni ‘90, diversi Paesi hanno dovuto abbandonare la propria sovranità monetaria per un obiettivo più importante (almeno in regime di cambi fissi e con flessibilità dei capitali, vedi Trilemma di Mundell): la stabilità economica.

A partire dagli anni 2000 quindi le banche centrali hanno cominciato a preoccuparsi di mantenere l’inflazione al di sotto di un certo limite, “vicino ma sotto al 2%”.

Successivamente, a seguito della crisi finanziaria 2007, che ha causato forti squilibri nei conti pubblici dei Paesi Europei, in particolare degli ormai noti paesi PIIGS, c’è stata in Europa la crisi dei debiti sovrani. Alcuni Paesi erano a rischio default sul debito pubblico, tra cui anche l’Italia, e per questo la BCE ha dovuto “non convenzionalmente” cambiare politica monetaria: nascono strumenti come Quantitative Easing e LTROs, delle politiche che servono a finanziare settore pubblico, privato e bancario tramite acquisto di titoli, per mantenere “inattaccabile” la moneta unica. Il senso era: non può fallire un solo paese dell’unione monetaria. O falliscono tutti o nessuno. Ed è chiaro che, per far fallire un’unione monetaria di 19 Paesi (20 con la Croazia, dal 1 gennaio 2023), ce ne vuole.
Queste misure hanno contribuito a tenere il tasso di interesse a zero negli ultimi 10 anni, alleggerendo la pressione sui conti pubblici dei paesi in difficoltà. Nel frattempo, molti economisti si sono interrogati sulla sostenibilità di questo tipo di intervento delle banche centrali, arrivando a conclusioni spesso divergenti.

Cosa sta succedendo?

Negli ultimi mesi, però, stiamo tornando a vedere tassi di inflazione significativamente più elevati del normale: i prezzi al consumo in Italia a maggio 2022, rispetto a maggio 2021, sono aumentati del 6,9%. Tantissimo. In Europa la situazione non è meglio, anzi: nella zona Euro nello stesso periodo i prezzi sono aumentati dell’8,1%. Nonostante ad aprile si sia verificato un relativo calo nell’inflazione in Italia (dal 6,5% al 6,2%), principalmente dovuto alle misure di contenimento del prezzo del gasolio da parte del Governo, l’inflazione di base (escludendo energia e alimentari) è più bassa ma in crescita, dal +2,4% di aprile a +3,3% di maggio. Ora, se questa tendenza dovesse continuare, ci sarebbero diversi problemi:
– L’inflazione di base fa aumentare i prezzi alla produzione, che si traduce in una tassa implicita traslata sui consumatori finali, che consumando di meno faranno crescere meno l’economia.
– L’aumento dell’inflazione rende i prezzi poco prevedibili, e questo genera incertezza. Non a caso lo spread Btp-Bund, una misura di rischio e incertezza, è tornato sopra i 200 punti base. L’incertezza riduce gli investimenti, e questo rallenta l’economia.

Ecco che l’aumento dei prezzi può portare a una stagnazione economica: da qui proviene il peggiore dei mondi possibili in economia, la “stagflazione” (stagnazione + inflazione).

Il ruolo delle Banche Centrali:

In tutto questo, le Banche Centrali giocano un ruolo fondamentale, per due ragioni:
1) Possono influenzare il costo del denaro tramite il tasso di interesse.
2) Possono – e devono – ancorare le aspettative di inflazione per garantire un tasso di interesse reale positivo nel medio/lungo periodo.

Indipendentemente dalla causa principale che ha scatenato l’inflazione, la sua dinamica nel tempo dipende essenzialmente da aspettative di lavoratori, imprese e investitori. La storia degli anni 70 ci insegna che queste sono di fatto controllabili dall’azione delle banche centrali, che dovrebbero indicare chiaramente le proprie mosse di politica monetaria future – tecnicamente si parla di forward guidance-. In questo caso la FED ha già cominciato a ridurre l’offerta di moneta aumentando i tassi di interesse, mentre la BCE è ancora indietro rispetto all’aumento del costo del denaro (questo spiega, in parte, il forte deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro negli ultimi mesi).
È importante ricordare che non è necessario un aumento immediato dei tassi, quanto una chiara comunicazione sulla strategia che la Banca Centrale intende applicare in futuro.

Il punto è che un aumento dei tassi in Europa contribuirebbe a frenare ancora di più l’economia, almeno in due modi:
1) Se il denaro costa di più è relativamente più costoso prendere in prestito per investire e consumare, e questo riduce consumi e investimenti.
2) I conti pubblici comincerebbero a pesare di più, e lo Stato (soprattutto in paesi fortemente indebitati come l’Italia) avrebbe poco spazio di manovra per supportare i cittadini dall’erosione del proprio potere d’acquisto. Questo implica meno reddito disponibile, che ancora una volta si traduce in meno crescita economica.

Le prospettive macroeconomiche non sono quindi tra le migliori. Da un lato un aumento dei tassi, che sembra essere necessario, potrebbe comportare ancora più problemi ai ceti medio/bassi. Dall’altro un forte sostegno dello Stato alla domanda dei cittadini, che sembra essere altrettanto moralmente corretto, potrebbe accelerare ancora di più l’aumento dei prezzi. Una cosa è certa: qualcuno il conto lo dovrà pagare. Non ci resta che trovare la soluzione meno dannosa, per tutti.

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