La figura da cioccolataio di Di Maio che dà la colpa “ai governi precedenti” per Pernigotti

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-02-08

Il bisministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico ci racconta l’ennesimo successo del governo del Cambiamento mentre se ne lava le mani della sorte dei lavoratori Pernigotti. Per Di Maio è tutta colpa dei governi precedenti. Ma gli operai non hanno gradito la fuitina a Parigi di Di Maio

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Dopo tre giorni finalmente il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico ritrova la parola e il coraggio e affronta il caso Pernigotti. La vertenza non si è conclusa come Di Maio aveva promesso a più riprese in questi mesi. Il marchio Pernigotti resta in mano al gruppo turco Toskoz che nonostante le minacce del vicepremier – che era arrivato a dire di voler far sapere al mondo che Pernigotti produce conto terzi – non ha ceduto di un millimetro su quel punto. Una decisione che continua ad essere il maggiore ostacolo per un salvataggio dello stabilimento di Novi Ligure perché per i potenziali investitori la cessione del marchio è un elemento irrinunciabile.

Per Luigi Di Maio è tutta colpa dei governi precedenti (ovviamente)

A peggiorare le cose c’è il fatto che mentre al Ministero andava in scena l’incontro tra sindacati e la proprietà turca per la definizione dell’accordo sulla cassa integrazione Di Maio era altrove. Dove? In Francia, a parlare con uno dei tanti “leader” dei Gilet Gialli. Non da ministro per carità, ma da Capo Politico del MoVimento (come se si potesse essere l’uno o l’altro e non tutti e due assieme).

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Tornato nel Bel Paese Di Maio si è ricordato di essere il ministro dello Sviluppo Economico e su Facebook ha deciso di raccontare la sua versione dei fatti. In breve: l’accordo sulla Pernigotti è stato un successo. E non poteva essere altrimenti visto che a condurre le trattative è stato il governo del Cambiamento che difende gli interessi del Popolo. Ecco quindi che la cassa integrazione (per 100 dipendenti, per i 150 interinali ci sarà la disoccupazione e basta) è una grande vittoria.

Come Di Maio ha illuso i lavoratori della Pernigotti

E se la Pernigotti è in questa situazione la colpa ovviamente è di governi precedenti che ne hanno favorito l’acquisto da parte dei turchi nel 2013 (maledetto libero mercato!). Il governo attuale invece è diverso e Di Maio annuncia – come fa da tre mesi – che «è in cantiere la proposta di legge strutturata che lega il marchio con il territorio su cui è nata, come nel caso di Pernigotti». Alla Camera sono già stati presentati due disegni di legge (uno di LEU e uno della Lega) mentre quello dei 5 Stelle è  ancora “in cantiere”. E non servirebbe a nulla per salvare l’azienda di Novi Ligure perché non avrebbe valore retroattivo.

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Di Maio però continua a raccontare la storia del governo che vuole salvare il Made in Italy. Lo fa per nascondere il fatto che mentre al suo Ministero si tentava di salvare un’azienda italiana lui era impegnato a stringere alleanze in vista delle elezioni europee con quello che non è nemmeno un partito e non si sa nemmeno se si presenterà alle europee. Questo è l’ordine delle priorità del ministro che però ci tiene ad accusare chi lo critica di speculare sulla pelle dei lavoratori della Pernigotti.

Il sindacalista: ci sentiamo presi per il culo da Di Maio

Ma anche i sindacati speculano sulla pelle dei lavoratori? In un comunicato la UILA – l’Unione Italiana dei Lavoratori Agroalimentari – sottolinea che l’accordo sottoscritto martedì scorso non era ciò che auspicavano anche in base a ciò che era stato promesso. In poche parole i sindacati non potevano far altro che firmare l’accordo per la cassa integrazione straordinaria per reindustrializzazione per 92 dipendenti della Pernigotti, perché al primo posto devono mettere la tutela dei lavoratori e non una battaglia sciovinista come quella del vicepremier. L’esternalizzazione della produzione è già iniziata, come conferma un comunicato della Pernigotti che ha fatto sapere che l’azienda ha «già affidato a partner attivi sul territorio nazionale la produzione di alcune linee di prodotto, salvaguardando la qualità e l’attenzione per le materie prime che da sempre caratterizzano l’offerta Pernigotti».

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Il vero contenuto di quell’accordo lo spiega a Linkiesta Tiziano Crocco, uno dei rappresentanti sindacali che erano al MISE tre giorni fa. Da un lato c’è la delusione per l’assenza del ministro, che non era impegnato in un incontro istituzionale ma era in Francia come Capo Politico del suo partito. «Ci sentiamo presi per il culo dal ministro» dice Crocco che fa notare come la cassa integrazione per reindustrializzazione lascia «campo libero alla proprietà per fare quello che gli pare, anche portare via i macchinari». Crocco rivela anche che durante gli incontri con i turchi i propositi bellicosi di Di Maio e Conte sono stati subito accantonati: «Mie fonti mi dicono che durante le trattative gli stessi turchi hanno definito Di Maio e Conte “due gattini”».

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Di Maio mentre si decidevano le sorti della Pernigotti

La pensa diversamente il vice capo di gabinetto del ministro del Lavoro Giorgio Sorial spiega che «a oggi all’advisor sono arrivati gli interessamenti di 21 aziende. Quattro di queste sono proposte molto interessanti e una è in già in fase negoziale» e ribadisce che grazie alla famosa proposta di legge il governo avrà “una pistola carica” da puntare per togliere il marchio . Peccato però che come ha detto il segretario nazionale della Uila Uil Pietro Pellegrin le aziende interessante hanno posto una condizione che costituisce un ostacolo insormontabile: «l’impossibilità per i potenziali investitori di fare proposte concrete vista la totale indisponibilità dell’azienda a cedere» il marchio.

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