Come il decreto dignità potrebbe ammazzare la precarietà… e la Gig Economy

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-06-18

Luigi Di Maio ha fatto “qualcosa di sinistra” salvando i riders dalle grinfie di Foodora, Deliveroo, Glovo e compagnia oppure ha messo mano in maniera troppo grossolana alla definizione del concetto di lavoro subordinato rischiando di creare un pasticcio inenarrabile? Ecco come stanno le cose in base alla bozza del decreto

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Oggi il Sole 24 Ore ha pubblicato la bozza delle nuove norme per i fattorini e operatori del food delivery previste dal «Decreto dignità» annunciato dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio. La novità principale è che con il Decreto legge i lavoratori del settore, fino ad oggi considerati autonomi, vengono invece considerati «prestatori di lavoro subordinato ai sensi dell’art 2094 del codice civile». In poche parole i rider diventeranno lavoratori dipendenti.

Perché un intervento legislativo sulla gig economy è giusto e necessario

Un ciclista che porta pizze o sushi in ufficio è un lavoratore autonomo? Le pizze non le fa lui, non viene contattato direttamente dal pizzaiolo ma da un’azienda (che magari di dipendenti “veri” ne ha una quarantina) che smista tutte le ordinazioni e le consegne tramite App. Il ciclista, il rider, è di fatto il terminale operativo di questa organizzazione lavorativa. Non decide gli orari di lavoro (gli vengono comunicati magari via WhatsApp) ma al tempo sesso – un po’ come i tassisti soci delle varie cooperative, anche loro lavorano tramite app – non è obbligato a prendere tutte le chiamate o a seguire un determinato percorso.

foodora sciopero sharing economy

Il mezzo di trasporto (bici, scooter) è di proprietà del rider, che però è tenuto a indossare l’uniforme aziendale. Dal punto di vista etico o morale è davvero difficile considerare il fattorino un lavoratore autonomo. Dal punto di vista legale invece al momento lo è. Ma non è questo l’unico problema. Il problema è che mentre per alcuni quello del rider è un “lavoretto” di quelli che si fanno per pagarsi gli studi per altri invece è diventato un’importante (non nel senso delle cifre guadagnate, ma in termini relativi) fonte di sostentamento. I dipendenti delle varie società di delivery si trovano a vivere nelle stesse condizioni di chi, non più di una decina d’anni fa, veniva assunto con contratto da lavoratore “atipico” nei vari Call Center. Turni improponibili ma quasi nessun diritto. E chi ha seguito la vicenda dei lavoratori di Atesia-Almaviva probabilmente si sarà già reso conto delle somiglianze. Anche i lavoratori di Atesia venivano infatti considerati “collaboratori” o “consulenti” – quindi autonomi – ma di fatto svolgevano un lavoro subordinato. Il fronte del precariato ora è rappresentato anche – ma non solo – dai riders. Ed è giusto che il governo intervenga per normare il settore e garantire a tutti i lavoratori diritti e la possibilità di ottenere un equo, e dignitoso, compenso.

Cosa prevede la bozza del decreto Di Maio

Ma c’è un problema, o meglio, ce ne sono diversi. Il primo è lo strumento utilizzato: il decreto legge. Qualcuno forse si ricorderà di come durante la scorsa legislatura il M5S abbia sempre aspramente criticato il ricorso da parte dei governi PD allo strumento del decreto governativo. Una delle ultime volte fu quando contestarono al decreto Lorenzin la mancanza dei motivi di necessità ed urgenza che generalmente qualificano la decisione di ricorrere ad un decreto legge. Senza dimenticare naturalmente l’appello rivolto dal presidente della Camera Roberto Fico che nel suo discorso d’insediamento aveva chiesto che il Paramento tornasse ad avere un ruolo centrale all’interno dell’azione legislativa.

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La scelta di intervenire con un decreto (che necessità di essere convertito in legge entro sessanta giorni), invece che con una legge delega del parlamento e decreto delegato del governo rischia di gettare ulteriormente nel caos gli operatori (Foodora, Glovo, Deliveroo) che infatti nei giorni hanno minacciato di andare via dall’Italia. Oggi i toni sono più distesi tant’è che il ceo di Foodora Gianluca Coco dopo il tavolo istituzionale con il ministro ha dichiarato che «C’è stato molto dialogo, molta trasparenza, il ministro è stato molto positivo e anche noi penso, tutti quanti. Siamo partiti col piede giusto». Viceversa il ministro del Lavoro ha scelto di operare con l’accetta senza prima condurre uno studio approfondito sul fenomeno della Gig Economy.

Come cambia la definizione di rapporto di lavoro subordinato con il Decreto Dignità

Di per sé il lavoro dei riders non è nuovo. Lavoratori precari che consegnano cibo a domicilio ce ne sono sempre stati. La differenza con il passato è che mentre i pony express degli anni 80 – come spiega Pietro Ichino – venivano considerati lavoratori dipendenti e non autonomi  nel corso degli anni l’interpretazione giurisprudenziale è mutata al punto di arrivare a fissare nel Jobs Act (Dlgs 81/2015, art 2) la definizione di lavoro subordinato (ovvero dipendente) come «rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità’ di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Come è noto invece i riders vengono “coordinati” dal datore di lavoro tramite App proprietarie (quando non direttamente via WhatsApp).

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È poi intervenuta la famosa sentenza del tribunale di Torino che stabiliva che chi faceva consegne per Foodora non poteva considerarsi un lavoratore subordinato perché il singolo rider era libero di prendere servizio quando voleva (ovviamente all’interno delle fasce orarie stabilite), di rifiutare la singola consegna, di scegliere il percorso che riteneva più agevole e così via. Teoricamente il tempo della prestazione lavorativa era deciso dal rider, non dal committente/datore di lavoro.

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Ovviamente è una battuta

Il problema di questa bozza di modifica dell’art 2094 è che va ben oltre la volontà di voler normare un settore complesso come quello della Gig Economy. Dal punto di vista teorico chi ha scritto questo decreto legge sembra ignorare le conseguenze della nuova definizione di prestazione di lavoro subordinata. Su Twitter Pietro Ichino ha commentato dicendo che di fatto costituirebbe la fine delle partite IVA (quelle dei consulenti), altri hanno scherzato sul fatto che con il “Decreto dignità” anche baby sitter o professori di ripetizione potrebbero diventare lavoratori dipendenti. Il che non significa che sia sbagliata in sé l’intenzione di normare il settore delle consegne a domicilio e di porre fine al sistema di sfruttamento dei riders che spesso sono sotto pagati. Ma probabilmente c’erano modi migliori di farlo senza sconvolgere tutto il quadro normativo. Ad esempio si sarebbe potuti tornare articolo 69bis del D.Lgs. 276/2003 introdotto dalla riforma Fornero sul mercato del lavoroabrogato dall’art. 52 del JA.

Le conseguenze del Decreto Dignità sul settore (e l’analisi degli algoritmi)

Anche perché se la bozza non verrà modificata una delle possibili conseguenze, oltre alla fine della Gig Economy (che qualcuno potrebbe anche considerare un bene) è che i riders finiranno per essere pagati in nero, non da Foodora ma da qualcun altro. Oppure eliminando direttamente le possibilità di ricorrere a questi “lavoretti” Ha detto Ichino in un’intervista Stampa di oggi che «Applicare pari pari il diritto del lavoro ordinario all’attività dei ciclo-fattorini collegati via cellulare alla centrale che smista le chiamate significherebbe impedire questa forma di organizzazione del lavoro: i lavoratori non sarebbero più liberi circa il se e quando presentarsi al lavoro, se e quando rispondere alle chiamate; e l’impresa perderebbe un fattore di flessibilità essenziale nell’organizzazione del servizio. Il risultato sarebbe una drastica contrazione di questo settore di attività e la perdita di qualche decina di migliaia di occasioni di lavoro marginali, ma di contenuto economico complessivo non irrilevante».

di maio decreto dignità riders gig economy contratto subordinato - 5Un’indagine della Fondazione Rodolfo Debenedetti aveva stimato una forza lavoro dalle 700mila a un milione di unità, con una quota di 200mila lavoratori che hanno eletto i «lavoretti» a loro unica fonte di entrate. All’interno di questa categoria i riders rappresentano però solo poche migliaia di lavoratori, che meritano si tutele e garanzie ma se il prezzo da pagare è stravolgere, con un decreto legge, la definizione di lavoro subordinato per farci entrare sostanzialmente di tutto forse il Decreto Dignità non ha pienamente centrato il bersaglio.

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Sorprende poi che una forza politica “4.0” come il MoVimento 5 Stelle voglia proporre addirittura l’obbligatoria sperimentazione degli algoritmi per l’assegnazione dei turni e la distribuzione delle “occasioni di lavoro”. Già il fatto che nella bozza si parli di distribuzione di “occasioni di lavoro” rileva come la proposta non abbia fatto completamente i conti con la natura dei gig jobs: perché parlare di occasioni di lavoro – pur se assegnate da un algoritmo – nello stesso decreto dove si spiega che quello dei rider non è un lavoro autonomo (che quindi a rigor di logica non “coglie le occasioni di lavoro” ma esegue mansioni) ma subordinato?

 

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