Dietro il voto su Rousseau la guerra tra Beppe Grillo e il M5S di Di Maio

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-09-03

Fino a ieri mattina la guerra fredda tra la fronda Di Maio-Casaleggio e la linea di Beppe era ancora aperta. Ma le minacce di Grillo (“Faccio saltare il M5S”) hanno chiuso i giochi

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Prima l’annuncio di voto in circostanze piuttosto curiose, senza l’accordo sul programma e citando esplicitamente il Partito Democratico come partner mentre all’epoca del contratto di governo la Lega non veniva nominata. Poi la scheda su Rousseau che riportava prima il no e poi il sì, quasi a suggerire una certa preferenza. Poi il cambio di passo nel pomeriggio: la scheda viene corretta e partono gli appelli all’ok al voto che alla fine coinvolgono persino, con i suoi modi tartufeschi, il Capo Politico. L’impressione è che nel MoVimento 5 Stelle ci sia stato un robusto cambio di passo sul governo M5S-PD e tutti i retroscena di oggi dicono che a deciderlo è stato Beppe Grillo.

Dietro il voto su Rousseau la guerra tra Beppe Grillo e il M5S

Ieri il Garante grillino era intervenuto sul Fatto Quotidiano sfottendo Luigi Di Maio e i suoi punti di intesa che raddoppiavano come alla Standa. Qualche giorno prima se ne era uscito con la richiesta di un governo di tecnici che poi aveva dovuto rettificare in fretta e furia dopo il “Beppe, così mi ammazzi” dello stesso Di Maio. In mattinata è arrivata via telefono l’accusa esplicita di boicottaggio. Ma alla fine, racconta oggi Annalisa Cuzzocrea su Repubblica, è stato Di Maio ad arrendersi:

Così, al culmine di giorni tormentati, il capo politico che lo stesso Grillo aveva incoronato quasi due anni fa sul palco di Italia a 5 stelle a Rimini, si arrende. «Mollo tutto», minaccia per ore, dopo aver vissuto le parole del fondatore come una sconfessione pubblica ingiusta e ingenerosa. Poi ascolta le parole di chi sta trattando per lui: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Vincenzo Spadafora.

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I voti su Rousseau (La Repubblica, 3 settembre 2019)

E arriva ad accettare quel che fino a pochi giorni fa considerava inaccettabile: un ministero di peso e un ruolo inedito di “capo delegazione” all’interno dell’esecutivo (con accanto un pari grado del Pd). Poco, ma è tutto quel che resta. Perché i gruppi parlamentari sono schierati per il sì al Conte bis. Perché il premier incaricato è ormai entrato in piena sintonia con il garante, più di quanto Di Maio non sia mai stato. Perché si è guardato intorno, e al suo fianco ha trovato solo Alessandro Di Battista e Gianluigi Paragone.

Non prima di aver tentato l’ultima mossa per far saltare il banco: l’offerta di un ministero proprio a Di Battista, e segnatamente quegli Affari Europei che erano stati di Paolo Savona e di Fontana. Un rospo impossibile da far digerire al PD, pensa Di Maio. Che però di fronte alle minacce di Grillo (“Faccio saltare il M5S”) alla fine deve arrendersi e fare buon viso a cattivo gioco. Con tanto di passo indietro sul ruolo di vicepremier condito dalla penosa bugia della decisione del PD di rinunciarvi.

Grillo fa sapere a Di Maio chi è che comanda

Il tutto mentre autorità del calibro di Gianluigi Paragone soffiavano sul fuoco del vicepremier mancato per aizzare il popolo M5S a votare no su Rousseau, probabilmente con scarsi risultati perché l’appello finale di Giuseppe Conte – adorato dai grillini – ha probabilmente chiuso i giochi. Che al mattino si erano aperti, racconta Ilario Lombardo sulla Stampa, con la telefonata di Di Maio a Grillo:  la lettera al Fatto, in cui il comico fa uno sfottò sui punti programmatici grillini paragonandoli a quelli della Standa – raddoppiati da dieci a venti in poche ore – lo ha mandato su tutte le furie. «Non è giusto Beppe, hai sbagliato, così mi fai solo del male…».

Già poco dopo le 23 di domenica sera il terrore corre sul filo dei telefoni, tra i grillini, nel Pd, a Palazzo Chigi. La formula scelta – volete un nuovo governo, assieme al Pd, guidato da Giuseppe Conte – stringata e gelida come il post di presentazione sul Blog delle Stelle, tradisce tutta la mancanza di entusiasmo dei vertici per un patto con chi fino all’altro ieri era considerato il diavolo. I parlamentari entrano nel panico. Il sospetto punta verso lo staff di Luigi Di Maio, riluttante sin dall’inizio all’ipotesi di finire con i dem.

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Il bersaglio sono due collaboratori del leader: Pietro Dettori e Max Bugani. Siedono a lato di Davide Casaleggio nell’Associazione Rousseau e sono a libro paga nella squadra di Di Maio a Palazzo Chigi. Quella che evaporerà dopo aver rinunciato al posto di vicepremier. Bugani e Dettori, assieme a Casaleggio Jr e Alessandro Di Battista, sono i più scettici sull’alleanza con i democratici, quelli che più spingono verso il voto. Soprattutto Dettori è sospettato di aver deciso la domanda. Sul fronte opposto, a tifare per il Sì c’è Beppe Grillo.

La partita si chiude, Beppe per ora ha vinto. Se oggi gli attivisti diranno sì, avrà stravinto. E forse comincerà anche una notte dei lunghi coltelli nel M5S. I parlamentari non vedono l’ora.

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