Come i seguaci di Casapound hanno preso lo scioglimento del partito

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-06-27

Karl Marx diceva: la storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa. Nel caso di CasaPound è sempre stata una farsa, ed infatti è finita così

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È ufficiale: CasaPound «non sarà più un partito, non si candiderà alle elezioni». Lo ha annunciato Gianluca Iannone, lo ha ribadito Simone Di Stefano che ha fatto sapere ai fascisti del terzo millennio che CPI «non ha più neanche bisogno della figura del Segretario politico». Chissà, forse oltre a non aver più bisogno di una struttura partitica ora CasaPound potrà anche sgomberare il palazzo di via Napoleone III a Roma che occupa illegalmente e dove oltre alla sede del fu partito sono domiciliati molti dei dirigenti della tartarughina frecciata.

CasaPound è stata sconfitta dalla democrazia?

La scelta è maturata dopo di «mettere fine alla propria esperienza elettorale e partitica» è maturata dopo il fantastico insuccesso elettorale delle ultime europee. Ultimo di una serie di batoste che quelli di CasaPound hanno preso da quando hanno deciso di diventare un partito. Quando corre da sola CPI non riesce ad andare oltre il proverbiale zerovirgola, quando corre con Salvini (come con il famoso esperimento della lista Sovranità) le cose non vanno meglio. E allora non resta altra opzione che gettare la spugna. Loro ovviamente non la presentano così anzo: «la decisione di oggi non segna affatto un passo indietro, da parte del movimento, ma anzi è un momento di rilancio dell’attività culturale, sociale, artistica, sportiva di Cpi».

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Del resto come diceva Lui: Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se mi uccidono vendicatemi. Questo però sembra più un seppuku e del resto rispecchia a pieno l’estetica di CasaPound. Non quella machista ma quella mutuata dalla favola della volpe e l’uva.

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Almeno così la intendono gli elettori e i simpatizzanti. Perché se è vero che molti approvano la scelta di ritirarsi (questa volta non nel Ridotto della Valtellina) altri semplicemente non capiscono. È un addio alle elezioni nazionali o anche alle amministrative? E in tal caso, che fine faranno i consiglieri municipali eletti (quelli che non sono accusati di stupro, ça va sans dire).

Che fine faranno gli elettori di CasaPound?

Il popolo di CasaPound evidentemente non era preparato. Lo sconforto serpeggia tra le truppe della tartaruga frecciata. Chi dovranno votare ora? Salvini o la Meloni? La Lega o Fratelli d’Italia? Nessuno si è accorto che la Lega si è ormai appropriata di tutti i temi cari a CasaPound, con il vantaggio di essere già una forza politica matura. Qualche nostalgico che voterà per CPI ci sarà sempre ma come dimostra la vicenda di Cadoneghe più che una resa questo ritiro sembra un patto di desistenza. In fondo il fu partito di Iannone e Di Stefano non ha mai davvero messo i bastoni tra le ruote a Salvini.

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Qualcuno che definisce Salvini “un traditore” c’è, ma siamo sicuri che anche a loro andrà bene di votare la forza sovranista italica. Alla fine in Europa non è che la Lega (che ha preso il 34% contro lo 0,3% di CPI) conti davvero tanto: è all’opposizione, è alleata con neofascisti e ultradestra, insomma fatte le debite proporzioni la Lega continua ad essere lo sbocco naturale di un cittadino che ha fatto la sua formazione politica in CasaPound. Ora che Salvini non sogna più l’indipendenza della Padania e bacia il Tricolore che problemi ci possono mai essere?

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Ma di chi è la colpa? Di quelli che parlano tanto di votare CasaPound e poi non hanno il coraggio di farlo. Di quelli che si arrendono di fronte alle Ong e alla sua capitana teutonica. E vogliamo parlare del dramma di quelli che sono fatti il mazzo per CPI e magari si sono fatti beccare mentre pestavano dei ragazzino o urlavano “ti stupro” ad una donna? Quelli messi peggio sono quelli col tatuaggio con il simbolo del partito, chissà se possono coprirlo e trasformarlo in un personaggio dei Pokemon.

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Qualcuno che non si arrende c’è. Sono quelli che ricorrono alle formule magiche di rito, parole d’ordine dal sapore d’olio di ricino che i neofascisti usano fin dalla notte dei tempi per farsi coraggio e giustificare la propria esistenza. Cose come “boia chi molla” oppure “barcollo ma non mollo”. Nemmeno questa volta funzioneranno.

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