La leggenda del Tria Salvatore

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-09-25

Il dibattito pubblico italiano è caratterizzato da una narrazione che vede il povero ministro dell’Economia come baluardo e argine contro le follie della Lega e del M5S. Ma le cose in realtà non stanno così. E in caso di scenario peggiore, siamo sicuri che lo diventerebbe?

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Un fantasma si aggira per l’Italia da quando il governo Lega-M5S è al potere: il fantasma di Giovanni Tria come argine alla follia gialloverde. Il frame interpretativo della pubblicistica italiana tende a raccontare le normali scaramucce che da sempre coinvolgono la maggioranza e i ministri dell’Economia come una battaglia nella quale il professore di economia a Tor Vergata resiste strenuamente in nome dell’ortodossia agli assalti alla diligenza dei grillini e del Carroccio.

La leggenda del Tria Salvatore

La narrazione è talmente innervata all’interno dei racconti quotidiani che il Fatto, qualche tempo fa, tirò fuori direttamente il sospetto che Tria fosse un infiltrato di Bruxelles e che la decisione da prendere sul direttore generale del Tesoro avrebbe dimostrato la sua appartenenza o meno alle forze del male. La fine della vicenda della nomina – Rivera lo è diventato nonostante l’ostilità gialloverde e infatti ora è uno dei tecnici nel mirino di Casalino & Co. – ha portato qualcuno a rallegrarsi dell’indipendenza mostrata nell’occasione da via XX Settembre.

alessandro rivera

E in effetti finora Tria ha saputo barcamenarsi come un equilibrista tra Lega e MoVimento 5 Stelle con qualche caduta di stile (gli attacchi a Boeri sulla tabella del decreto dignità) e alcune battaglie giuste – la difesa dei tecnici del MEF, anche dall’Orco Casalino («piena fiducia ai dirigenti») – che ne fanno un oggettivo argine alla fantasia al potere del M5S. I ferri corti con Laura Castelli, dietro i quali ci sarebbe la guerra scatenata via audio da Casalino, sono la dimostrazione che il ministro non ha intenzione, così come il collega Moavero, di farsi trascinare nella guerra contro l’establishment che il MoVimento 5 Stelle ingaggia di solito quando si accorge che i suoi conti non tornano e c’è bisogno di qualcuno a cui dare la colpa.

Dalla Prima Repubblica a Brunetta

Eppure già a queste mosse si potrebbe dare, volendo essere maliziosi, un’altra interpretazione: a differenza dei gialloverdi Tria conosce e conserva legami stretti con l’establishment che oggi alimenta la burocrazia statale e non intende reciderli per fare un piacere al governo Lega-M5S, visto che li reputa più importanti – o forse semplicemente più duraturi – rispetto alla caducità della poltrona di ministro dell’Economia. Per questo ritiene opportuno oggi difenderli in vista di un domani che potrebbe riservare sorprese per lui e per gli altri.

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D’altro canto l’intera carriera di Tria come professore universitario e i suoi interventi pubblici dimostrano che la politica gli piace e che è capace di cavalcare l’onda in modo discreto, quasi senza farsi notare. Marianna Rizzini sul Foglio ha raccontato qualche tempo fa i giorni della docenza economica a Tor Vergata «con l’allora collega ed ex ministro della PA Renato Brunetta, compagno di stanza nel bunker sotterraneo in cui i due dovevano attendere il giorno dello spostamento nella nuova sede – periodicamente invitati dall’allora preside di facoltà Luigi Paganetto, che dei due è stato in qualche modo selezionatore e king maker, a visitare la cosiddetta “voragine”, cantiere e luogo di evocazione delle magnifiche sorti e progressive della futura Tor Vergata».

Meglio tirare a campare che tirare le cuoia

Paganetto, classe ’40, già commissario e presidente dell’ENEA ai tempi di Romano Prodi, è stato nominato vicepresidente della Cassa Depositi e Prestiti da Tria; prima della formazione del governo gialloverde era stato uno dei pochi economisti a difendere la nomina di Paolo Savona a via XX Settembre, e non è un segreto che la nomina di Tria sia stata favorita proprio da Savona, che ha fatto il nome su cui Di Maio e Salvini sono convenuti dopo il no di Mattarella. D’altro canto lo stesso Paganetto aveva fatto su Twitter gli auguri per la nomina proprio a Tria.

luigi paganetto

Insomma, l’humus culturale da cui proviene Tria non è certo rivoluzionario – si possono rileggere gli articoli della coppia Felli-Tria sul Foglio come esempio – mentre i suoi maestri hanno sempre saputo negli anni barcamenarsi nei rapporti con il potere non restando certo indifferenti al fascino della politica italiana. E di sicuro ne hanno imparato la lezione più importante, ovvero che tirare a campare è meglio che tirare le cuoia.

Tria in quota Lega

Finora il ministro si è scontrato, per lo meno pubblicamente, soltanto con il MoVimento 5 Stelle. Una circostanza spiegabile con il fatto che Tria è lì in quota Lega, come lo era Savona. Il mito secondo cui il M5S si è preso tutti i ministeri economici importanti perché Salvini si è accontentato dell’Interno da dove fare propaganda xenofoba tale è, un mito: il ministero economico che vale tutti gli altri messi assieme, il Tesoro, è in mano alla Lega.

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Ecco perché Casalino cercava (e il M5S cerca) di scatenare la caccia alle streghe contro il ministero del Tesoro: per cominciare il lavoro di copertura propagandistica con l’elettorato che si aspettava prebende che non riceverà. Le prebende non arriveranno non perché le coperture millantate in campagna elettorale erano bugie (ragione vera) ma perché qualche cattivo funzionario a via XX Settembre non vuole cacciare i soldi (invenzione).

Ma Tria è un argine o no? Uno scenario possibile

Proprio per tutte le ragioni esposte sopra è difficile vedere in Giovanni Tria un “argine democratico” alle eventuali derive gialloverdi. L’intervista rilasciata da Salvini al Sole 24 Ore in cui il leader leghista omaggiava i vincoli europei ha contribuito in maniera decisiva a calmare il fuoco dello spread (e della crisi di liquidità possibile) anche perché è stata un segnale, chiaro e forte, a chi nel suo partito si è dichiarato nemico pubblico numero uno dell’euro. La sensazione però è che sotto la cenere il fuoco continui a covare e che ci sia chi punta all’incidente per riaprire le ostilità.

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Edoardo Rixi con Matteo Salvini

Un possibile esempio è quanto detto dal sottosegretario alle infrastrutture Edoardo Rixi a proposito del Decreto per Genova (che ancora non è stato pubblicato): “Il governo punta ad affidare l’appalto per la ricostruzione senza gara perché perderemmo tempo, se l’Unione Europea ci stoppa accetteremo il rischio di una procedura di infrazione”. Il corollario di questa presa di posizione è facile da individuare: l’Europa matrigna pone sotto infrazione l’Italia perché giustamente vuole rifare subito il ponte, senza alcun rispetto per Genova, vergogna Bruxelles. Un buon inizio per creare il clima necessario alla rottura con l’Unione Europea. Un’altra possibile occasione di litigio con l’Europa potrebbe essere il no al piano Politeia di Savona, che Juncker si sarebbe rifiutato di leggere.

La mina vagante M5S

C’è poi la mina vagante M5S. Dopo aver promesso la luna in campagna elettorale i grillini, ad oggi, rischiano di trovarsi senza reddito di cittadinanza e con il solo vessillo della pensione di cittadinanza da sbandierare come grande successo alla vigilia della pubblicazione del DEF. In più hanno ingoiato il boccone dell’ILVA dopo averne promesso la chiusura e c’è il rischio che le cose vadano ugualmente anche con TAP e TAV. Rebus sic stantibus il M5S finirà per dover frustrare o rimandare alcuni dei provvedimenti sbandierati nella legge di bilancio 2019 e dovrà spiegarlo ai suoi elettori, cosa non facile (e infatti così si spiegano le dichiarazioni bellicose di Di Maio sui cattivi funzionari da scacciare).

barbara lezzi no tap
Barbara Lezzi contestata dai No TAP

Questo, insieme alla crescita di popolarità di Salvini presso parte dell’elettorato del MoVimento 5 Stelle, potrebbe portare a un risultato deludente per i grillini alle elezioni europee di maggio, vera prima prova di tenuta per la maggioranza. A questo punto, nel giugno 2019, il M5S potrebbe decidere di provare ad andare allo scontro con Bruxelles. Ed allora sarebbero guai, ma non è ovvio che all’altro partito di governo, la Lega, questi “guai” sembrino tali. Magari vengono visti come l’occasione per la famosa “spallata” che molti nella Lega cercano.

Worst case scenario

E cosa succederebbe con Giovanni Tria al ministero dell’Economia in caso di scenario peggiore? Il ministro si ergerebbe insieme a Mattarella a baluardo dello status quo o piuttosto si adatterebbe al vento tirando a campare, magari assecondando i piani della Lega, del M5S o di entrambi? Sembra evidente che una persona intelligente come lui si sia già posto il problema e si sia dato una risposta. Michele Boldrin ha scritto che “se Tria non condividesse il progetto non starebbe lì e non avrebbe accettato. Egli non è un capo-corrente né rappresenta componenti elettorali di uno dei due partiti. Ha zero forza contrattuale propria: il potere che ha è delegato a lui, di comune accordo, da Di Maio e Salvini e si giustifica con il suo ruolo di mediazione tecnica. Mediare le varie richieste economiche è il suo lavoro ed è condizione necessaria perché il progetto si attui e lui mantenga il posto”.

wolfgang munchau

Mantenere il posto, anche in caso di Apocalisse: figuriamoci in caso di Incidente. La strada è già tracciata a prescindere dai prossimi e accorati appelli alla responsabilità in stile “Fate presto!”. E potrebbe andare a legarsi con altre mire ed interessi geopolitici. Come quelli che vengono da Londra, sponda Financial Times, che dopo la débâcle della Brexit martella sulla possibile disgregazione europea in caso di vittoria dei populisti, una profezia che si è avverata in Italia, meno in altri paesi. Ma qui il discorso si complica e richiede un’analisi geopolitica più complessa: a chi interessa e conviene una crisi sistemica europea generata da una crisi finanziaria che spinga l’Italia all’uscita dall’euro? Questa è la vera domanda.

Leggi sull’argomento: Cosa c’è nel decreto sicurezza di Salvini

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