Giovanni Tria: un “infiltrato” nel governo?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-06-24

Il ministro dell’Economia ha posto un freno ideale alle promesse delle componenti della sua maggioranza a partire dal reddito di cittadinanza, che non può vedere la luce nel 2018 perché i giochi dei conti pubblici “sono già fatti”. E allora cominciano ad arrivare gli avvertimenti…

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Giovanni Tria è un “infiltrato” nel Governo del Cambiamento? Se lo chiede oggi Marco Palombi sul Fatto Quotidiano in un articolo che mette insieme le ultime uscite del ministro dell’Economia, che ha posto un freno ideale alle promesse delle componenti della sua maggioranza a partire dal reddito di cittadinanza, che non può vedere la luce nel 2018 perché i giochi dei conti pubblici “sono già fatti”.

Giovanni Tria: un “infiltrato” nel governo?

Secondo l’articolo il fatto di aver spinto su riduzione del debito come priorità, omaggi ai mercati, richiami al consolidamento fiscale ha contribuito a fare di Tria una specie di Padoan, come si è scritto nei giornali dei giorni scorsi: l’accusa più infamante tra quelle che potevano arrivare al professore. Per questo c’è il dubbio, segnala Palombi, che Tria sia un infiltrato dell’Ancien Régime  che combatte una battaglia segreta per Bruxelles come Quinta Colonna all’interno del governo Conte. Un’ipotesi suggestiva, la cui veridicità si vedrà, secondo il Fatto, nel momento in cui sceglierà il successore di Giovanni La Via sulla poltrona ambita e difficile di direttore generale del Tesoro:

I 5 Stelle avevano suggerito, e forse qualcosa in più, il nome di Antonio Guglielmi, l’uomo di Mediobanca a Londra (è capo dell’equity market), buon funzionario, sicuramente esperto di mercati, eurocritico anche lui, ma soprattutto reo agli occhi degli europeisti in purezza – di aver realizzato insieme a Marcello Minenna (Consob) nel gennaio 2017 uno studio su costi e benefici dell’uscita dall’euro con riferimento ai titoli del debito pubblico.

La conclusione, peraltro, è che col tempo è sempre più “sconveniente”uscirne. La nomina di Guglielmi però – che pareva certa ed era un segnale di novità ai vertici di una istituzione in cui vige una rigida ortodossia bruxellese si è improvvisamente impantanata e hanno iniziato a circolare candidature più potabili per la potentissima burocrazia interna: in particolare quelle di Alessandro Rivera, che è capo della Direzione che si occupa di banche ed è stato il protagonista delle sfortunate performance italiane nelle trattative con l’Ue sul tema in questi anni, e Antonino Turicchi, che guida Finanza e Privatizzazione e sta pure nel cda di Mps.

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Marcello Minenna, ex assessore al bilancio della Giunta Raggi

Il nome di Guglielmi era già uscito nei giorni scorsi, come “pietra dello scandalo” noeuro indicata da Alesina e Giavazzi sul Corriere della Sera insieme a Claudio Borghi e Alberto Bagnai in un editoriale in cui si auspicava che i tre non arrivassero a ruoli di governo o sottogoverno: detto, fatto visto che nessuno dei due è diventato sottosegretario o viceministro. Ma per modo di dire, visto che entrambi sono diventati presidenti di commissioni alla Camera e al Senato. Beccandosi anche l’accusa – campata in aria, visti i tempi – di aver fatto salire lo spread dal Financial Times.

La caccia al ministro dell’Economia

“Scegliendo un nome (tra Rivera e Guglielmi, ndr), Tria avrà già cominciato a rispondere alla domanda che a Roma si fanno un po’ tutti”, conclude Palombi inaugurando così la stagione della caccia più prestigiosa della politica italiana: quella al ministro dell’Economia. Si tratta infatti di una tradizione ormai consolidata specialmente quando è il centrodestra a governare il paese: gli avvicendamenti tra Tremonti e Siniscalco hanno già caratterizzato l’era dei governi Berlusconi una decina di anni fa mentre tra 2008 e 2011 lo stesso Tremonti veniva dato a giorni alterni con le valigie in mano.

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Giovanni Tria, ministro dell’Economia del governo Conte

Oggi però la situazione è precipitata: come si sa, Tria non era la prima scelta per via XX Settembre, dove Di Maio e Salvini volevano mandare Paolo Savona che è ancora oggi senza deleghe di peso riguardo i dossier europei. E la scelta di Savona era perorata da ambienti leghisti che, quando è uscito pubblicamente il nome, non hanno certo nascosto il loro entusiasmo per quello che l’ex ministro di Ciampi poteva significare politicamente. Per questo l’articolo sembra più che altro un segnale nei confronti di Tria che proviene da una parte della sua maggioranza: quella che si è già spazientita con lui. E che manda così un ultimatum all’«infiltrato».

Leggi sull’argomento: Il piano di Di Maio per l’ILVA

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