La supercazzola di Salvini sull’etichetta con il “tricolore grosso così”

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-04-08

Grande show a difesa del tricolore da parte del ministro che qualche anno fa raccontava di non sentirla come sua bandiera. Ma in tempi di vacche magre per la propaganda ed essendo a corto di idee Salvini arriva a promettere di fare cose che già si possono fare, dimostrando di avere perso il contatto con il famoso “paese reale”

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Mentre il Vicepremier 1 era da Fazio a parlare di cose che non sapeva e a lanciare messaggini alla Lega il Vicepremier 2 si collegava con Non è l’Arena di Giletti per fare altrettanto. La campagna elettorale per le europee entra nel vivo e i due rissosi alleati di governo continuano nel gioco delle parti a menarsi fendenti sotto la cintura. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ieri su La 7 ha chiesto ai 5 Stelle di avere un po’ più di coraggio, come ne ha avuto lui. «Io penso di aver dimostrato coraggio rischiando  anche dei processi» ha detto il leader della Lega dimenticandosi che quel processo non l’ha mai rischiato perché è stato salvato dal Senato e dal M5S.

Salvini scopre l’importanza elettorale del Made in Italy

Il vero problema del governo del Cambiamento è che è a corto di promesse. O meglio, di promesse ne può fare finché ne vuole, ma devono essere gratis, a costo zero. Perché dopo Quota 100 e il Reddito di Cittadinanza di soldi non ce ne sono più molti. E si deve trovare il modo di sterilizzare le clausole di salvaguardia sull’Iva senza aumentare le tasse. Le premesse del contratto di governo erano ben altre. Ma non se ne parla più. Così come non si parla di alcune delle più belle promesse di Salvini, come quella sul taglio delle accise sui carburanti. La propaganda del buonsenso ha bisogno di cose facili da realizzare, meglio ancora se non costano nulla.

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Non è quindi il tempo di parlare di TAV, anche se Salvini dice che servono strade, autostrade, porti, aeroporti e ferrovie. Meglio parlare della riforma della legittima difesa, che non cambia nulla ma non costa niente. Oppure continuare con la storiella della pacchia è finita e dei porti chiusi quando ad oggi il numero dei rimpatri è sostanzialmente fermo (anche perché costa) e nemmeno su quel punto Salvini riesce a mantenere le promesse. Cosa resta allora? La più classica delle battaglie di un politico italiano: la difesa del Made in Italy. Ieri a Giletti Salvini ha fatto una lunga tirata per spiegare che dopo le europee di maggio cambierà tutto perché «finalmente si potrà difendere il Made in Italy. Perché io sono stufo del finto Made in Italy che ci porta via 40 miliardi di produzione, dei prodotti italiani copiati, che ci arrivi sulle tavole una schifezza che arriva dall’altra parte del mondo dove vengono usati i bambini a lavorare nei campi e vengono usati fertilizzanti e pesticidi che in Italia sono fuori legge».

Ma Salvini ha mai fatto la spesa?

Salvini come al solito fa un gran minestrone di argomenti diversi. Ad esempio l’italian sounding, ovvero la contraffazione di marchi italiani (ad esempio il parmesan o il prosciutto di Parma) venduti sui mercati esteri. Curioso che a sostenere questa battaglia sia proprio Salvini, visto che la Lega è uno di quei partiti si sono opposti al CETA, il trattato di libero scambio tra Unione Europea e Canada che difende un centinaio di eccellenze del Made in Italy da quelli che ce le copiano.

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Ed è senza dubbio più facile lamentarsi delle “schifezze” che arrivano dall’altra parte del mondo che ricordare l’ultimo grande successo dell’export italiano. Non le famose arance volanti di Di Maio ma l’accordo sottoscritto dal ministro leghista Gian Marco Centinaio per la vendita sul mercato cinese di zampe e orecchie di maiale (a “maiale esistente”) usati per la produzione di würstel. Scarti che noi butteremmo via ma che vendiamo volentieri ai cinesi. Chissà come si dice “schifezze” in mandarino.

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Ma ovviamente è sempre colpa dell’Europa. «L’Europa ci ha sempre impedito di difendere e proteggere il Made in Italy. Io mi auguro che dal 27 maggio la nuova Europa metta delle etichette grosse così con scritto Made in Italy, col tricolore perché chi va a far la spesa deve capire cosa compra». Poco importa che quelle etichette, facoltative, ci siano già perché ai produttori italiani interessa far sapere che quel dato alimento è prodotto in Italia (anche se magari non è proprio così). Poco importa anche che la UE abbia riconosciuto le DOC e le produzioni IGP italiane. Ma Salvini evidentemente a fare la spesa non ci va spesso perché chiede che quando uno compra il pesce sia indicata la zona dove è stato pescato (trivia: sulla carne viene riportato il luogo di nascita, di allevamento e quello di macellazione). Curiosamente Giletti ascolta in silenzio, senza fare obiezioni. E così Salvini può fare l’affondo finale contro «il riso della Birmania, il grano canadese, i pomodori tunisini o l’olio di chissà dove. Perché la nostra terra offre i prodotti migliori al mondo».

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Quando Salvini diceva che “il tricolore non mi rappresenta” [Fonte]

Riguardo ai veleni usati come fertilizzanti Salvini potrebbe almeno avere la decenza di tacere, oppure spiegarci di quell’articolo del Decreto Genova varato dal suo governo che consente di usare i fanghi alla diossina come concime nei campi italiani, un sistema in voga soprattutto al Nord. Il problema del riso della Birmania è un falso problema perché ne arrivano quantità davvero irrosorie. Il grano canadese difficilmente i consumatori lo troveranno sugli scaffali. Troveranno invece la pasta prodotta con quel grano, ma per il semplice motivo che – così come per l’olio – la produzione italiana di materia prima non è sufficiente per coprire il fabbisogno interno. Certo, ci sono anche i furbetti che spacciano per Made in Italy prodotti che non lo sono. Ma indovinate un po’: sono italiani. A questo punto sorge spontanea una domanda: Salvini ha mai fatto la spesa?

 

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