Coldiretti e la lista dei cibi da evitare «per non morire avvelenati»

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-05-14

Oggi su Libero il Presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo lancia l’allarme sui prodotti alimentari provenienti dall’estero, spiegando che usare olio extravergine italiano invece che quello proveniente dalla Tunisia fa la differenza “tra la vita e la morte”. Le cose però sono un po’ più complicate di così

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«La differenza tra una fiorentina e una bistecca texana, come quella tra il nostro olio extravergine e una margarina confezionata da qualche multinazionale nordica, può essere la stessa che passa tra la vita e la morte», testo parole e musica di Roberto Moncalvo – Presidente di Coldiretti – intervistato oggi su Libero da Pietro Senaldi. Moncalvo lancia l’allarme sui pericoli dei prodotti alimentari prodotti fuori dall’Italia. Libero rincara la dose parlando di cibi da evitare “per non morire avvelenati”.

Moncalvo e la storia dei prodotti alimentari d’importazione che fanno male 

Se da un lato è comprensibile che il Presidente di Coldiretti difenda i prodotti agroalimentari Made in Italy dall’altro non si può fare a meno di notare una certa tendenza al vittimismo condita da ipotesi di complotto e informazioni non proprio corretti. Ad esempio Moncalvo dice che «Se l’Italia è finita prima nella classifica del 2016 mondiale su longevità e qualità della vita, lo dobbiamo alla qualità del nostro cibo e alla dieta mediterranea». Peccato che quella in quella classifica del 2016 (il World Factbook stilato dalla CIA) il nostro paese sia al quattordicesimo posto (dopo l’Australia ma prima di Francia e Svezia). Una posizione senza dubbio alta, che non è dovuta unicamente all’alimentazione o ai prodotti alimentari che secondo Moncalvo «sono sotto attacco delle multinazionali, le quali ci fanno la guerra con la complicità dell’Europa». L’Unione Europea – che è governata dai paesi “nordici” – fa di tutto per intralciare se non addirittura danneggiare la nostra produzione agricola. Il Presidente di Coldiretti cita alcuni prodotti stranieri che non sono all’altezza: «L’olio tunisino, le fragole e i pomodori marocchini, i carciofi e le zucchine egiziani»

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L’infografica del Corriere della Sera sull’olio tunisino (11 marzo 2016)

Come ci ha insegnato l’assurda vicenda della battaglia contro l’olio tunisino il problema principale è che il livello dei consumi è superiore alla quantità prodotta nel nostro Paese. Spesso non c’è quindi alternativa alle importazioni. Anzi: i produttori tendono ad esportare l’olio di maggiore qualità a un prezzo maggiore di vendita rispetto a quello che riesce a spuntare in Italia. E se in Italia, il paese del buon cibo, i produttori preferiscono vendere all’estero ne consegue che in primo luogo esportare non è poi così difficile e in secondo luogo che i prodotti che vengono venduti in Italia forse non sono sempre di quella “alta qualità” che ci viene raccontata. La responsabilità non è certo dei produttori della materia prima – rappresentati da Moncalvo – ma dei marchi e delle aziende che la lavorano e la commercializzano. A volte questi marchi sono italiani, a volte sono stati venduti. Spesso vengono commercializzati come 100% Made in Italy. Non è insomma la prima volta che viene agitato lo spauracchio dei prodotti alimentari stranieri che fanno male alla salute, qualche anno fa era toccato ai pomodori cinesi venduti come italiani. Se invece si vuole dare un’occhiata a quanto le esportazioni di prodotti italiani siano “sicure” è sufficiente farsi un giro sul RASFF il portale europeo delle segnalazioni sui rischi per la salute dei consumatori.

Coldiretti e il grano canadese al glifosato

«In tutto il mondo si sa che il cibo italiano è il più sano oltre che il più buono», e sembra davvero incredibile che nel 2018 qualcuno possa sostenere che un piccolo paese come il nostro sia l’unico in grado di svolgere bene un’attività primaria per la sussistenza. Se davvero solo in Italia si mangiasse bene mentre all’estero i prodotti fossero tutti contaminati in qualche modo allora gli abitati di tutti gli altri paesi del Mondo dovrebbero soffrire di patologie gravissime che invece in Italia non esistono. Visto che il nostro Paese non è in grado di sfamare il Pianeta (e spesso nemmeno sé stesso) è evidente che le cose non stanno così. Moncalvo lancia ad esempio l’allarme sul «grano che arriva dal Canada: lì hanno poco sole e lo fanno seccare con il glifosate, che è cancerogeno».

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L’utilizzo del glifosato nel mondo (Corriere della Sera, 29 febbraio 2016)

Non dice però che OMS ha detto che è improbabile che il glifosato sia cancerogeno e che la stessa cosa ha detto anche l’EFSA, l’Agenzia Europea per la sicurezza alimentare (che ha sede a Parma, non a Berlino). E Libero invece non dice che la questione non è tanto sulla qualità (o la presunta pericolosità) del grano canadese quanto quella di una battaglia – tutta politica – tra produttori di grano italiani (rappresentati dalla Coldiretti) e pastai che hanno più volte fatto notare che non solo la produzione nazionale non è sufficiente a soddisfare il fabbisogno ma che il grano prodotto in Italia sia spesso di qualità inferiore rispetto  a quello prodotto all’estero. Il che non significa certo che quello italiano sia “velenoso”, semplicemente che  solo il 60% del grano duro è di qualità buona o eccellente. Il resto è ai limiti o al di sotto della legge di purezza. Moncalvo dimentica di ricordare anche un’altra cosa. A fine settembre 2017 la Confedereazione italiana agricoltori pubblicò un comunicato che diceva: “sul glifosato il governo italiano dovrebbe tener conto della posizione unitaria delle organizzazioni agricole italiane, che si sono espresse a Bruxelles attraverso il Copa-Cogeca, il raggruppamento che comprende, oltre alla Cia-Agricoltori Italiani, anche Confagricoltura e Coldiretti. Tutti favorevoli alla proroga”. Insomma sulla questione della proroga alla possibilità di utilizzare il glifosato nell’Unione Europea gli agricoltori sono d’accordo. Altrettanto curioso che nel denunciare il rischio cancerogeno per il glifosato Moncalvo non citi il pericolo derivato dal consumo di carne e insaccati, forse perché i prosciutti sono un’eccellenza italiana?

La battaglia contro il CETA

Sul fatto che i prodotti alimentari italiani siano assolutamente sicuri e che «chi mangia italiano è garantito da un sistema di controlli senza eguali» si potrebbero sollevare numerosi dubbi. Perché l’Italia non è certo immune alla piaga delle frodi alimentari nonostante lo straordinario numero di DOP, DOC e IGP. Per scoprirlo basta andare a leggersi il report dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) pubblicato sul sito del ministero dell’Agricoltura.

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Fonte: Rapporto ICQRF 2017

Diversi prodotti appartenenti alle DOP sono risultati irregolari o non conformi al disciplinare. In alcuni casi è stata riscontrata la presenza di ingredienti non consenti, in altri di additivi o sostanze che non avrebbero dovuto esserci. In alcune circostanze sono stati trovati prodotti come le mozzarelle di bufala prodotte con l’aggiunta di latte vaccino. Anche l’olio non è immune dalle frodi, è stata riscontrata ad esempio la commercializzazione di olio extravergine di oliva contraffatto, risultato all’analisi olio di semi colorato con clorofilla. Anche il “biologico” non è immune: sono stati sequestrati prodotti dichiarati da agricoltura biologica con presenza di residui di prodotti fitosanitari.

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Fonte: Rapporto ICQRF 2017

Per Moncalvo è tutta colpa degli accordi commerciali internazionali. Sul banco degli imputati oggi c’è il CETA, il trattato internazionale che regola gli scambi commerciali tra paesi UE e il Canada. Secondo Coldiretti «toglie valore alla stragrande maggioranza dei nostri prodotti Dop, costringendo i nostri prodotti tipici a convivere sullo scaffale con le loro imitazioni, per cui per esempio uno può fare il prosciutto in Quebec e chiamarlo “San Daniele” o fare il formaggio in Arkansas e chiamarlo “Parmesan”». Ora parte il fatto che l’Arkansas è negli Stati Uniti e non in Canada la questione è leggermente diversa. Innanzitutto il CETA consente proprio al Consorzio del San Daniele di tutelarsi in Canada. Tant’è che proprio il Consorzio ha definito “positivo” l’accordo che consente finalmente la possibilità di registrare in Canada il marchio del “Prosciutto di San Daniele originale”. Proprio grazie al Ceta infatti il Prosciutto di Parma e il Parmigiano Reggiano (e altre DOP e DOC italiane) potranno essere commercializzate con il loro nome. Grazie al Ceta l’Italia ha 41 destinazioni geografiche tutelate e 36 prodotti agroalimentari, di cui 19 prodotti Dop e 17 Igp. Pochi forse rispetto alla sterminata lista delle DOP, DOC, DOCG italiane ma è sicuramente un punto di partenza per la difesa del made in Italy in Canada. Rispetto al pericolo che il Canada si appropri in maniera indebita del marchio “Prosciutto di Parma” grazie al CETA riportiamo invece il comunicato del Consorzio Prosciutto di Parma che ha precisato che il “Prosciutto di Parma”  prende possesso del proprio nome in Canada proprio in virtù dell’accordo commerciale tra UE e Canada. Da oltre 20 anni, il Prosciutto di Parma era infatti venduto in Canada come “The Original Prosciutto/Le Jambon Original”, mentre esiste un prosciutto crudo canadese venduto regolarmente con il marchio registrato “Parma” di proprietà della società canadese Maple Leaf.

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