Report e i trucchi dell’olio extravergine italiano che non lo è affatto

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-12-18

In Italia non si produce abbastanza olio per far fronte alla domanda interna e alle esportazioni. E così i grandi produttori si attrezzano acquistandolo dall’estero. A volte però succede che nelle bottiglie di olio extravergine “italiano” finiscano miscele di oli che di vergine hanno ben poco

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Anche quest’anno è tornato un grande classico della televisione d’inchiesta: l’olio d’oliva. Ad occuparsi di olio extravergine d’oliva (o presunto tale) questa volta è Report con il servizio Pecunia olet. Che rivela quello che tutti sanno, ovvero che le battaglie contro “l’olio tunisino” non hanno alcun senso. Perché senza quell’olio e quelle olive l’Italia non sarebbe in grado di soddisfare la domanda interna. Per il semplice fatto che nel nostro Paese si produce molto meno olio di quanto ne viene consumato ed esportato.

L’Italia non sa produrre più olio?

Ed è qui che viene il bello. Basta andare in un qualsiasi supermercato per accorgersi che la maggior parte delle bottiglie in vendita, anche quelle prodotte da marchi italiani (la cui proprietà magari è in mano ad aziende straniere), riporta la dicitura “prodotto con miscela di olii dell’Unione Europea”. Questo significa che nelle bottiglie di olio d’oliva imbottigliate in Italia non c’è il 100% di olio made in Italy. E non è un problema dovuto unicamente al fatto che l’olio e le olive prodotte all’estero costano meno ma che riguarda soprattutto la scarsità della produzione italiana. Nella stagione 2016/2017 il nostro Paese ha prodotto 182 mila tonnellate di olio d’oliva. Gli italiani ne hanno però consumate 560 mila tonnellate e ne sono state esportate 190 mila.

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Quando Salvini diceva di votare no al referendum costituzionale per salvare l’olio italiano

Ecco quindi che in bottiglia ci finiscono oli prodotti in Portogallo, Grecia e soprattutto Spagna che è il principale paese produttore di olio d’oliva. Lì si utilizza il metodo di produzione intensivo, che anche grazie alla meccanizzazione della raccolta consente una resa maggiore per ettaro e rende molto economico l’olio spagnolo. Il modello spagnolo funziona anche perché i frantoi sono molto grandi (hanno molti soci) e recuperano i costi utilizzando gli scarti per la produzione di energia elettrica.

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L’infografica del Corriere della Sera sull’olio tunisino (11 marzo 2016)

L’olio vergine spagnolo viene poi acquistato dalle multinazionali dell’olio e – se imbottigliato nel nostro Paese – venduto come olio italiano. Questo non accade solo in nei nostri supermercati. Anche all’estero l’olio prodotto con miscele di oli italiani, portoghesi, spagnoli e greci viene pubblicizzato come olio made in Italy.

Il trucco dell’olio extravergine che non lo è

C’è poi la truffa dell’olio extravergine taroccato, ovvero quando l’etichetta dice che il prodotto è extravergine ma le analisi dimostrano il contrario. A giugno del 2016  è arrivata la sanzione dell’Antitrust nei confronti di LIDL, costretta a pagare una multa da 550 mila euro per aver venduto come extravergine un olio (il Primadonna) che in realtà era solo vergine. Stessa motivazione anche per la multa da 300 mila euro inflitta a Deoleo (proprietaria di Bertolli, Sasso e Carapelli) per i prodotti Bertolli gentileSasso classico e Carapelli il frantolio: che sono semplici oli vergini e non extravergini. Carapelli è stata inoltre accusata di aver venduto all’estero come extravergine 100% made in Italy un prodotto che in realtà era stato semplicemente imbottigliato in Italia e confezionato con oli provenienti da Tunisia, Spagna o Grecia. Per essere extravergine un olio deve essere frutto della lavorazione di olive raccolte sulla pianta e lavorate prima che comincino a fermentare.

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La truffa dell’olio extravergine scoperta da Report funziona così: gli importatori italiani comprano olio spagnolo che sulla carta risulta essere extravergine ma che in realtà non lo è affatto. Può essere olio vergine ma non solo. Ad esempio viene venduto olio lampante, l’olio che si ottiene spremendo olive marce o mal conservate, che non ha un buon sapore, tant’è che veniva utilizzato per l’illuminazione. Ad inizio dello scorso anno è arrivata la condanna in primo grado a carico di sei dirigenti di un’azienda senese per contraffazione dell’extravergine d’oliva che commercializzavano olio d’oliva «ottenuto da illecita miscelazione con materie prime di categoria inferiore o con altra provenienza geografica». In particolare veniva presentato come olio extravergine 100% italiano una miscela di olio vergine e olio lampante deodorato, ovvero trattato chimicamente.

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Il fatto che un olio (vergine o extravergine) non venga prodotto in Italia o che sia frutto della miscelazione di più oli non significa che non sia buono. Il problema nasce ovviamente quando un prodotto viene venduto per quello che non è e quindi si commette una frode. Il vantaggio di poter vendere come “italiano” un olio che non lo è al 100% è evidente: comprando all’estero (nei paesi UE ma anche in Tunisia) l’imbottigliatore risparmia sui costi e può vendere l’olio ad un prezzo maggiore, per il fatto che è “italiano”. Ma la colpa non è degli stranieri, come lasciano intendere certi politici che a parole difendono la produzione italiana. Le responsabilità sono dei produttori italiani che quando vanno all’estero acquistano un certo tipo di prodotto. Il presidente del Frantoio S.C.A. di San Juan a Jaen in Andalusia ha dichiarato a Report che gli italiani comprano da lui olio lampante o al massimo vergine e quasi mai extravergine. Dei campioni di olio extravergine analizzati dal laboratorio IRCQF di Perugia durante il servizio di Report due sono risultati irregolari, ovvero si trattata di olio vergine e non extravergine.

Leggi sull’argomento: Il grande ritorno dell’olio extravergine taroccato

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