Trentatrè Trenta uscirono dal ministero tutte e trentatrè trenterellando

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-09-05

Nelle more della nascita del Conte bis si registra la cocente delusione dell’ex ministra della Difesa che non si capacita proprio di come sia stato possibile non confermarle l’incarico. Proprio lei, quella che ha “lottato contro Salvini più di altri” controfirmando i divieti di avvicinamento per le navi delle Ong emanati dal Viminale. Proprio non ci si spiega come mai la Trenta non sia più ministro

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È delusa e arrabbiata Elisabetta Trenta. L’ex ministra della Difesa giubilata assieme a Giulia Grillo, Danilo Toninelli e Barbara Lezzi (e forse proprio per questo) si sfoga oggi in un’intervista al Messaggero (che sarebbe il giornale di Caltagirone, uno non proprio amato dai grillini). In realtà lei non avrebbe proprio voglia di parlare con i giornali: «Nessun giornale si è trovato bene con me. Il trattamento che mi è stato riservato è stato sempre pesante. Tantissimi attacchi». Ma già che c’è si toglie qualche sassolino dalla scarpa.

Elisabetta Trenta: l’ultimo baluardo dell’umanità contro la barbarie del Decreto Sicurezza

E racconta di sapere che il MoVimento non l’avrebbe lasciata al Ministero (il sottosegretario Angelo Tofalo, il G.I. Joe del Ministero ne aveva chiesto le dimissioni già da tempo). Immaginate quanto duri possano essere stati gli ultimi giorni, le ultime settimane. Ma la ex ministra è un fiume in piena, confessa a Simone Canettieri di non essere affatto contenta per come si sono evolute le cose dopo la caduta del Governo: «non meritavo tutto questo», dice. E non si capisce bene cosa pensava di meritare visto che il suo Ministero si era troppo appiattito sulla linea di quello di Matteo Salvini. Al punto di arrivare a pubblicare su Facebook un vero e proprio capolavoro del cerchiobottismo quando ha annunciato di aver firmato il divieto di ingresso per la Mare Jonio ma al tempo stesso ha fatto sapere di dissociarsi dalla firma (e quindi da sé stessa) perché bisogna garantire a donne e bambini il diritto al soccorso.

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La ministra Trenta passerà alla storia per questo capolavoro della realpolitik 2.0

Bocca mia taci sembra di sentir dire la Trenta quando per pudore preferisce non rispondere alle domande del giornalista. Ma una cosa ci tiene a ribadirla: «Sono stata una delle persone che ha lottato più di tutti contro Salvini». Il che se ci pensate è davvero un punto di vista interessante visto che la Trenta ha firmato il Decreto Sicurezza bis, che più volte ha controfirmato i divieti di avvicinamento per le ONG. E visto che da ministro della Difesa non ha dato l’ordine ad una nave della Marina Militare di salvare un gruppo di migranti. O meglio, ha aspettato che uscisse la notizia che una bambina era morta (in un altro caso invece non intervennero proprio).  Se questo è il modo di lottare contro Salvini c’è da chiedersi cosa sarebbe successo se si fosse schierata al suo fianco. Ma la risposta la sappiamo: sarebbe diventata come Danilo Toninelli, uno che addirittura rivendicava di aver chiuso lui i porti. Ma è vero: la Trenta ha davvero lottato contro Salvini. Lo ha fatto però solo a partire da agosto, ovvero dopo l’esplosione della crisi di governo.

Nessuno può mettere Elisabetta in un angolo!

Ci sarebbero tante cose da dire e da chiedere alla Trenta. Ad esempio, come mai non ha denunciato la farsa della SAR libica quando sapeva benissimo che la sedicente guardia costiera di Al-Sarraj non era in grado di pattugliare ed operare i soccorsi nell’area di Search and Rescue? In teoria la Trenta dovrebbe essere quella più titolata a rispondere visto che il centro di coordinamento è a bordo di una nave della nostra Marina Militare ormeggiata nel porto di Tripoli. Ma alla Trenta si può chiedere come è finita la storiella degli F-35 che raccontava lo scorso anno, oppure come mai mentre le agenzie pubblicavano la notizia che aveva controfirmato l’ennesimo divieto lei su Facebook pubblicava le foto di una visita in ospedale ad una bambina gravemente malata.

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Fonte: il Messaggero del 05/09/2019

Purtroppo la Trenta non ha tempo per molte domande. Deve fare gli scatoloni, e poi correre all’Altare della Patria a deporre una corona d’alloro al Milite Ignoto. C’è tempo per un ultimo ragionamento, quello sul fatto che Difesa e Interni debbano – a suo avviso – essere guidati dalla medesima corrente politica. Da questo pensiero scaturisce un’altra illuminazione: «il mio successore è del Pd. Quindi devo pensare che Lamorgese lo sia», un sillogismo che non fa una grinza, direbbe Aristotele. Per lei non c’è nemmeno la consolazione di tornare sui banchi del Parlamento, visto che era stata trombata alle politiche del 2018. Che farà ora? «Tornerò alla Link University dove insegno e dove dicono che io abbia cose strane», risponde. Per la verità l’unica “cosa strana” è un’inchiesta sulle presunte “lauree facili” che vede coinvolta una sua collaboratrice al Ministero. Ma la notizia risale all’inizio dell’anno, poi più nulla. Ma si sa che giocare la carta del perseguitato politico (da chi?) è l’arma migliore quando bisogna andarsene. In fondo pure Salvini sono settimane che denuncia ogni genere di complotto ai suoi danni per spiegare come mai ha fatto cadere il governo.

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