«Chi vota contro il blog è fuori»

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-02-20

Di Maio, Taverna e Castelli accompagnano i dissidenti grillini all’uscita. Anche se qualsiasi sanzione per un voto contrario su Salvini sarebbe annullata dal tribunale

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“La pazienza sta finendo”, ringhiano dai piani alti. Ce l’hanno con gli eletti dissidenti del MoVimento 5 Stelle. Se in Senato qualcuno dovesse votare a favore del processo a Salvini rischierebbe l’espulsione. Mentre Luigi Di Maio assicura che con Beppe Grillo va tutto benissimo – “Lo sento Grillo al telefono, ci siamo sentiti oggi pomeriggio. E nei prossimi giorni andiamo a pranzo insieme” – cercando di smentire le voci di una fronda capitanata dal comico che però ieri non è stato confortato dalla presenza dello stato maggiore M5S al Teatro Brancaccio durante il suo spettacolo, ma ha invece salutato dal palco Marco Travaglio che su Salvini la linea ce l’ha ed è piuttosto precisa.

«Chi vota contro il blog è fuori»

E così tocca a Di Maio precisare come stanno le cose: «Chi vota contro il blog è fuori», riporta Alessandro Trocino sul Corriere della Sera. Il riferimento è al giorno in cui il Senato salverà ufficialmente Salvini con un’ampia maggioranza dalle accuse della Diciotti, come ormai è scontato visti i risultati del voto della Giunta per le autorizzazioni a procedere. E pazienza se si racconta – senza smentite – di una rottura palpabile ormai tra Grillo e Di Maio. Conta che Laura Castelli e Paola Taverna indichino la porta ai dissidenti come Paola Nugnes ed Elena Fattori mentre il deputato Luigi Gallo auspica pubblicamente un cambio di direzione guidato da quel 41% che ha indicato il processo a Salvini come preferenza nel voto su Rousseau.

«Non penso avranno il coraggio, ma se qualcuno decidesse di votare per l’autorizzazione a procedere contro Salvini, sarebbe espulso all’istante. Ma ora ripartiamo. Siamo il Movimento che cambia il Paese, ricordiamocelo», ha detto la Taverna in assemblea. E ancora: «Ma in quale azienda uno assunto da sei mesi pretende di avere la stessa voce in capitolo di uno che sta lì da anni?». «C’è qualcuno che vuole sbatterci fuori», le ha risposto idealmente ieri Gallo su Facebook. Repubblica racconta l’altro fuoco che cova sotto la cenere:

C’è aria di mobilitazione. Si parla di un possibile incontro tra chi dice no all’appiattimento suicida sulla Lega, già questa settimana. Il deputato Riccardo Ricciardi, con fiero accento toscano, la mette così: «Quel voto sul blog non doveva esserci. E quelle carte andavano lette. Votando contro l’autorizzazione stiamo dicendo che d’ora in poi un sindaco può chiudere venti immigrati in un palazzo perché decide che un interesse pubblico glielo consente».

Accanto a lui, Gilda Sportiello dice: «Non credo ci faccia bene mettere in discussione principi fondativi, non credo che possano essere messi in discussione dei punti fermi della nostra visione politica in nome della governabilità». La deputata napoletana è convinta che serva sottolineare le differenze con la Lega, non averne paura. Doriana Sarli, come lei, parla della «fotografia di un Movimento che ha bisogno di riflettere su quanto si può e si deve sacrificare per la governabilità».

Roberto Fico, il capobanda

I dissidenti si riuniscono idealmente intorno a Roberto Fico, il quale in privato ha fatto sapere che lui al posto di Salvini si sarebbe fatto processare. Grillo finisce contestato al Teatro Brancaccio ma non sembra essere molto preoccupato. Intanto l’avvocato Lorenzo Borré, già difensore di Gregorio De Falco nella causa contro l’espulsione, spiega su Facebook che qualsiasi sanzione sarebbe contro le regole:

Colpisce che molti parlamentari pentastellati, nell’evocare strumentalmente l’esito della volontà popolare (trattandosi invece di consultazione riservata ai soli iscritti al partito) dimentichino che per i portavoce eletti l’impegno prioritario sia quello di attuare i principi e gli obiettivi del programma elettorale e che tale impegno é sovraordinato, quanto a cogenza, rispetto all’orientamento espresso dagli iscritti con le consultazioni “a quesito imposto”, che peraltro a mente di Statuto non hanno carattere decisorio (ma sono di mero “orientamento”, di cui tener conto compatibilmente con quanto prefissato dal programma elettorale).

Alla luce di quanto sopra, l’evocazione dell’ipotesi di espulsione che alcuni agitano nei confronti dei senatori pentastellati che vogliono attenersi ai principi del programma elettorale, al codice etico e al regolamento del gruppo parlamentare è inaudita, così come è intellettualmente grave che si predichi, in contrasto con le regole e i principi sopra richiamati, che la consultazione possa vincolare i senatori o che questi debbano attenersi all’esito di tale consultazione (a tacer del fatto che il quesito è stato mal posto in quanto glissa sulla vera questione e cioè se al ministro Salvini vadano o meno riconosciute le attuali “prerogative parlamentari che oggi sottraggono deputati, senatori e ministri, dall’applicazione della giustizia”).

Per il M5S le espulsioni potrebbero finire cancellate dal tribunale. Ma Di Maio sa bene che un espulso è per sempre, visto che anche in caso di riammissione le candidature le decide lui e il popolo degli attivisti in ogni caso non tollera ribellioni in campo aperto. Per i dissidenti l’addio al M5S, voluto o sotto costrizione, significa la fine della carriera politica (per lo meno nel M5S) alla fine di questa legislatura. Ribellarsi non conviene a nessuno. Meglio attendere che il voto in Sardegna e quello delle Europee faccia il suo corso.

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