Come Salvini ci farà pagare 300 milioni di euro con il referendum per il taglio dei parlamentari

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2020-01-30

Doveva essere l’ennesima spallata al Governo Conte 2 dopo la vittoria in Emilia-Romagna per andare subito al voto, finirà per essere l’ennesimo spreco di soldi per consentire a Salvini di fare campagna elettorale a spese nostre

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Quando erano al governo Matteo Salvini e la Lega hanno votato a favore per ben tre volte alla riforma che ha tagliato il numero dei parlamentari. Qualcuno potrà dire che era perché faceva parte del famoso contratto di Governo con il MoVimento 5 Stelle, ma a settembre, dopo il ritiro della mozione di sfiducia nei confronti di Conte, proprio Matteo Salvini in Aula al Senato aveva proposto al MoVimento 5 Stelle di votare in quarta lettura il taglio dei parlamentari per poi andare alle elezioni.

La Lega ha sempre votato a favore del taglio dei parlamentari, ma poi ha appoggiato il referendum contro

Ed anche dopo essere passata all’opposizione la Lega ha poi votato anche in quarta lettura (assieme a M5S e Partito Democratico) a favore  della legge per la riduzione del numero di parlamentari. Insomma la Lega è nettamente a favore della riforma. O forse no. Perché al tempo stesso sei senatori della Lega hanno sottoscritto la raccolta firme per chiedere di indire un referendum confermativo (quindi senza quorum) sulla riforma costituzionale che riduce il numero dei deputati da da 630 a 400 e quello dei i senatori da 315 a 200.

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Erano necessarie 64 firme, in base all’articolo 138 della Costituzione che sancisce che le leggi di revisione costituzionale possano essere sottoposte a referendum qualora «entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali». Con le firme dei sei senatori leghisti si è arrivati a quota 71, sette oltre la soglia necessaria. Non un appoggio decisivo visto che senza l’aiuto della Lega la sottoscrizione era ferma a quota 65, ma un chiaro segnale che Salvini ha intenzione di utilizzare la battaglia referendaria per fare quello che sa fare meglio: campagna elettorale. Anche perché le firme dei leghisti sono arrivate dopo il ritiro di quelle di 4 senatori di Forza Italia vicini a Mara Carfagna, quella del pentastellato Michele Giarrusso e di due senatori PD: Verducci e D’Arienzo. Il dubbio però è per cosa farà campagna la Lega, per il sì o per il no?

Perché la Lega voleva il referendum confermativo

La Cassazione ha infatti dato il via libera al referendum fissando la data al 29 marzo. Una data a cavallo tra le ultime regionali (quelle in Emilia-Romagna e Calabria) e quelle del 31 maggio, quando andranno al voto Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana e Veneto. E soprattutto in Toscana la Lega spera di fare il colpaccio. Dal punto di vista della consultazione referendaria i sondaggi danno il sì in netto vantaggio con quasi il 90% degli elettori (l’86% secondo una rilevazione di Demos per Repubblica) a favore della riforma. L’esito quindi appare del tutto scontato anche perché è assai improbabile che i partiti vogliano impegnarsi in una campagna contro una legge che al momento i cittadini considerano estremamente positiva e popolare.

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Due giorni fa ad Agorà l’ex ministro dei Trasporti Danilo Toninelli ha dichiarato che Salvini (Toninelli ha parlato di 9 firme della Lega) appoggiando il referendum sul taglio dei parlamentari ha fatto spendere 300 milioni di euro agli italiani e ieri su Facebook ha scritto che «il sistema, la Lega in primis, sta cercando di fermarci con un referendum tanto inutile quanto dispendioso». La posizione della Lega era dettata da una strategia in vista dell’eventuale vittoria in Emilia-Romagna. «Sostenere il referendum sul taglio dei parlamentari, legge che abbiamo promosso e votato in Parlamento, rappresenta anche il tentativo politico e democratico per mandare a casa questo governo pericoloso e incapace. La nostra priorità è restituire la parola agli italiani al più presto», disse Salvini commentando le firme dei leghisti alla richiesta di referendum.

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Se la Borgonzoni avesse vinto si sarebbe aperta una crisi nella maggioranza che avrebbe potuto far cadere il Conte 2 e quindi portare al voto anticipato. In tal caso i parlamentari avrebbero avuto una “motivazione” in più per chiedere di tornare al voto in modo da bloccare il referendum e andare alle urne con l’attuale plenum di 945 onorevoli e quindi avere più possibilità di essere rieletti. Parte di quella strategia era anche il referendum sulla legge elettorale (chiesto dai consigli regionali guidati dal centrodestra), che però è stato bocciato dalla Consulta.

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Ora però le condizioni sono cambiate, quella strategia non ha più ragione di esistere, e con Fratelli d’Italia già schierata sul fronte del Sì in nome della coerenza con i propri voti in Aula (come la Lega anche FdI ha votato a favore della riforma) alla Lega non resterebbe altro che appoggiare il Sì al referendum per non lasciare che gli altri (M5S ma soprattutto la Meloni, che è in forte crescita) si prendano il merito di una riforma così popolare. E così dopo aver dato la spinta al referendum confermativo promosso da chi è contrario al taglio dei parlamentari il partito di Salvini tornerà sui suoi passi. Tanto pagano gli italiani.

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