Luigi Di Maio e tutte le volte che il M5S ha detto di essere populista

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-09-05

Come si cambia, per governare. Luigi Di Maio studia da premier e si presenta a Cernobbio raccontandoci che il M5S non è una forza populista e non è nemmeno antieuropeista. Il populismo? Colpa delle strumentalizzazioni dei giornali. L’antieuropeismo del referendum per l’uscita dall’euro? È tutta una raffinata strategia

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Tre giorni fa Luigi Di Maio calcava il red carpet della Mostra del Cinema di Venezia. Poi è andato a Cernobbio, alla corte delle élite finanziarie del Paese. Poi è andato all’Autodromo di Monza – a casa di Sergio Marchionne – per assistere, vestito di rosso Ferrari, per assistere al Gran Premio. Cosa non deve fare un politico per poter rassicurare i cosiddetti Poteri Forti e accreditarsi come candidato alla Presidenza del Consiglio. Ad esempio deve dire che non è vero che il M5S è un partito populista. Anzi, non lo è mai stato, sono i media ad aver strumentalizzato ed esasperato alcune posizioni dei 5 Stelle.

Il MoVimento 5 Stelle è fieramente populista

Al Forum Ambrosetti Di Maio ha detto che il MoVimento 5 Stelle non vuole “creare un’Italia populista, antieuropeista, estremista”. L’obiettivo del M5S è creare, costruire e non distruggere. Un messaggio rassicurante, senza dubbio. E solo un leader maturo come Di Maio potrebbe dare la colpa ai media per aver in qualche modo distorto il messaggio salvifico del M5S. Ad esempio quello di aver raccontato la clamorosa bugia del MoVimento 5 Stelle come partito populista. Non è vero. Non è così. Il M5S è infatti un partito fieramente populista. Non perché lo dicevano i giornali ma perché lo ha detto l’house organ ufficiale del partito di Beppe Grillo.
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Dicembre 2013, il M5S era appena entrato in Parlamento e aveva appena organizzato il suo terzo V-Day (manifestazione leggermente populista quella di mandare affanculo i politici, ma non vogliamo strumentalizzare). Beppe Grillo sul Blog pubblicava un post per dire che il “M5S è populista, né di destra né di sinistra” ma #fieramentepopulista. Perché all’epoca l’essere “populisti” per il M5S era una cosa positiva che li rendeva diversi dai partiti della vecchia politica. Significava fare il volere del popolo, non certo esaltare in modo demagogico laggente.
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Ma si sa, il M5S ha sempre cercato di inventare una sua neolingua dove termini negativi assumevano significati positivi perché li usavano loro. Mentre altri concetti – ad esempio quello di accordo politico – diventavano improvvisamente il male assoluto. Ed infatti c’è stato chi – responsabile per la comunicazione del M5S Veneto – all’epoca ci ha spiegato che Grillo è riuscito ad esorcizzare un aggettivo negativo. Col senno di poi non sembra ci sia riuscito.


 
Ed infatti il M5S ha sempre detto che avrebbe rifiutato ogni accordo con le altre forze politiche. E per simboleggiare la distanza dai vecchi partiti (popolati di morti-zombie) i pepputati rifiutavano fieramente di indossare la cravatta. Del resto è una mossa populista – che solletica l’oscuro piacere del popolo di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno” – quella di salire sul tetto della Camera “per fare come gli operai” che salivano sui tetti delle aziende. Oppure quella di fare irruzione nell’ufficio di Presidenza. Sono populiste le misure contro gli immigrati e i discorsi da bar sul complotto delle ONG. Sono populisti gli insulti sessisti alla Presidentessa della Camera, a Maria Elena Boschi e alle parlamentari del Partito Democratico. Populismo della peggior specie quanto mai distante dal “senso alto della politica” professato a Cernobbio da Di Maio.

Il silenzioso riposizionamento del M5S

Ad Aprile Beppe Grillo provava ancora a convincerci che “populista” era un termine con un’accezione positiva. Del resto se “loro” sono populisti non può essere una brutta cosa. Eccolo qui che ci spiega che anche i mercati finanziari sono populisti e amano il voto popolare (ma come, e le lobby? E gli speculatori come Soros?). Di conseguenza, scriveva Grillo, il MoVimento 5 Stelle “non è avversario del mercato finanziario piuttosto suo alleato nel contribuire a ridurre i rischi di oggi e le incertezze di domani proponendo un nuovo modello sostenibile di società per il futuro”.
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Un bel cambiamento da quando Grillo tuonava contro i bond, i derivati, lo scandalo Parmalat  o la dittatura delle agenzie di rating e dello spread. Sempre ad Aprile Grillo tranquillizzava il quotidiano dei Vescovi presentandosi di fatto come la nuova DC. Con il discorso di Di Maio a Cernobbio il Cerchio si è chiuso. Ma con una sconfitta per la comunicazione pentastellata che non è riuscita – oh che peccato – a dare un senso positivo al termine populista.

Il M5S è antieuropeista

Non c’è alcuna strumentalizzazione rispetto al fatto che il M5S sia populista. E la storia di questi ultimi 5 anni ci racconta di un partito che si è conteso con la Lega Nord di Salvini l’elettorato populista. La storia stessa del M5S, questo partito dell’Uomo Qualunque 2.0 con il suo ormai dimenticato slogan “uno vale uno” e l’arrugginito e malfunzionante apparato per la democrazia diretta in Rete ci parla di un partito populista. Ma ora essere populisti, duri e puri non va più di moda. Bisogna parlare con tutti, anche con quelli che fino a qualche anno fa erano i “nemici”.
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Ma è sull’Europa che si misura quanto sia cambiato il M5S. C’è stato un tempo in cui il M5S raccoglieva le firme per un’uscita dall’euro. Una battaglia che difficilmente si può dire essere europeista e non populista. Referendum che si sarebbe dovuto tenere entro il gennaio 2016.
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Poi si è passati al referendum sulle modifiche alla Costituzione per poter indire un referendum per uscire dall’euro. In mezzo abbiamo avuto l’idea di un “doppio euro” o di un euro a due velocità (stranamente Di Maio non è stato molto chiaro).
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A Cernobbio Di Maio ha detto invece che «l’aver parlato di referendum consultivo sulla moneta unica serve soprattutto a sollevare questo tema, e ad avere un potere contrattuale e una via d’uscita nel caso estremo in cui le esigenze dei Paesi del Sud Europa continuino ad essere ignorate. Il problema andava posto, e siamo orgogliosi di averlo fatto». Insomma il M5S, che prima voleva uscire dall’euro senza se e senza ma ora vorrebbe usare il referendum come arma di ricatto con l’Unione Europea. Una brillante strategia che ricorda quella di David Cameron che agitava lo spettro della Brexit durante le trattative con la UE. E sappiamo tutti come è finita.
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E non è certo un caso che il M5S, questo partito assolutamente non antieuropeista, all’Europarlamento sia nel gruppo con gli antieuropeisti populisti dell’UKIP. Perché quando il M5S ha provato a entrare nell’ALDE le cose non sono andate così bene. Ora però essere antieuropeisti, populisti, per la democrazia diretta, per il limite dei due mandati, per la selezione dei curricula e delle competenze non sembra essere più una priorità per il M5S. Perché l’importante è andare al governo. E poco importa se il M5S diventa un partito come tutti gli altri. In fondo mica sono stati eletti perché erano diversi dagli altri.
 
 

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