Con 12mila morti Gallera va da Fazio a dire che la Lombardia ha retto benissimo

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-04-20

Ieri l’assessore al Welfare si è presentato a Che tempo che fa per ribardire che nella sua regione è andato tutto benissimo. Vediamo qualche argomento che mette in dubbio la sua visione

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“Cosa è andato storto? Intanto noi qui curiamo molto bene i nostri anziani, qui il virus ha girato indisturbato in alcune aree della Regione Lombardia: abbiamo avuto un fungo atomico che è esploso”: Giulio Gallera a Che Tempo Che fa continua a dire che non c’è nulla da rimproverare all’ente nell’emergenza Coronavirus: “Regione Lombardia di fronte al cratere della bomba atomica ha retto molto bene”.

Con 12mila morti Gallera va da Fazio a dire che la Lombardia ha retto benissimo

Gallera ha parlato anche dei malati di COVID-19 nelle RSA: “Abbiamo imposto il 23 febbraio di limitare gli accessi dei parenti. Quello che abbiamo fatto nella delibera dell’8 marzo è una cosa chiara e semplice: gli ospedali non riuscivano a ricoverare gli anziani perché non abbiamo posti né spazio. Quindi la gente moriva perché non riuscivamo a trovare respiratori dove attaccarli. La strategia è stata quella di spostarli per trovare un posto letto, un respiratore, una teoria intensiva. Abbiamo chiesto a chi aveva RSA con aree separate di usarle”, dice. E quando Fazio gli spiega che è una cosa difficile da accettare, risponde: “Gli anziani morti? La strategia è stata quella della Regione Lazio e dell’Emilia Romagna per creare posti letto che non creavano commistioni”.

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E il Trivulzio? “Noi abbiamo nominato una commissione e il comune ha inviato Gherardo Colombo, vogliamo massima trasparenza su questo. Il Trivulzio ci ha detto di aver rispettato le procedure e noi lo vogliamo per primi”. E infine sulla Fase 2: perché le librerie no e poi apriamo tutto il 4 maggio? “La nostra posizione è sempre stata chiara: ripartiamo secondo le indicazioni della scienza. Non si riapriranno i luoghi dove ci sono assembramenti, stiamo lavorando sugli ospedali COVID e sul trasporto pubblico: abbiamo seguito sempre le opinioni dell’ISS e lo faremo anche stavolta. Il 4 si può riaprire? Condivideremo con il governo alcune posizioni, vogliamo aprire in sicurezza alcune attività… Se non ci saranno presupposti di sicurezza non si riaprirà”, conclude Gallera.

Cosa ha fatto e cosa non ha fatto la Regione Lombardia nell’emergenza Coronavirus

Ricordando che Milano nei mesi del Coronavirus ha avuto sei volte i morti della seconda guerra mondiale, il primo punto da notare è lo scaricabarile sulle RSA che Gallera, così come Fontana ieri, ha proposto ai telespettatori citando anche Emilia-Romagna e Lazio come regioni che hanno mandato i malati di COVID nelle case di riposo. Prima di tutto c’è una questione di logica: se la Lombardia ha sbagliato, vale zero dire che lo hanno fatto anche altre regioni: sarebbe come se Jack Lo Squartatore, beccato in flagranza di omicidio di una prostituta, dicesse “E allora Caino?”. Certo, Caino ha ucciso ma questo non vuol dire che tu sia giustificato. E ora andiamo nel merito: in una nota la Regione Lazio ha successivamente replicato al governatore della Lombardia: “Caro Presidente Fontana, prima di accusare si informi bene. Ancora una volta la Regione Lazio si trova a smentire una bufala diffusa per infangare il lavoro fatto durante questa emergenza dalla giunta Regionale del Lazio. Alcuni giornali, prendendo spunto da una richiesta di disponibilità fatta alle Rsa del territorio dalla Regione per creare strutture esclusivamente Covid, vorrebbero far credere al lettore che, al pari della Lombardia, il Lazio avrebbe facilitato il contagio nelle residenze dedicate agli anziani. È totalmente falso. Sarebbe bastata una telefonata, cosa che anche stavolta alcuni giornalisti non hanno fatto, per conoscere la verità. Quell’avviso pubblicato sul sito regionale aveva come obiettivo di individuare quelle Rsa disponibili a diventare centri Covid, ossia luoghi che avrebbero ospitato esclusivamente pazienti contagiati che non necessitavano di ricovero ospedaliero. Questa scelta è stata fatta proprio per isolare totalmente i contagiati e contenere la diffusione del virus. Quindi nessuna promiscuità tra positivi e negativi, nessuna facilità nel contagio, nessun caso Lombardia nel Lazio. Anzi l’opposto di quanto sembra essere stato fatto in Lombardia: dividere e ripetiamo dedicare strutture esclusivamente al Covid. Una buona pratica validata dall’Istituto Spallanzani, in piena conformità delle linee guida del ministero della Salute e che porterà ora anche all’apertura a Genzano di una Rsa covid totalmente pubblica proprio per continuare l’azione di divisione dei pazienti“. In realtà la richiesta di disponibilità di marzo parlava anche di strutture miste, ovvero con nuclei COVID dedicati e NON COVID:

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Qual è il problema delle delibere della Regione Lombardia sui malati COVID-19 nelle RSA

Posto che la Regione Lazio ha effettuato una richiesta di disponibilità e non ha emesso delibere a differenza della Lombardia, sotto la lente della procura di Milano ci sono tre diverse delibere del Pirellone. La prima è l’ormai famosa delibera di giunta dello scorso 8 marzo, la XI/2906, con cui la Regione prevede la possibilità di trasferire malati Covid-19 a bassa intensità nelle case di riposo, se queste possono garantire strutture autonome e isolamento del paziente, di cui abbiamo parlato quando Luca Degani, presidente di Uneba (l’associazione delle case di riposo lombarde), l’ha definita come “la delibera che ha portato il coronavirus nelle RSA”. La procura intende verificare se, al contrario, non ci siano stati enti che hanno accolto malati senza poter garantire l’isolamento tra vecchi e nuovi ospiti, positivi al virus. Facendo in questo modo esplodere quei focolai che hanno provocato centinaia di decessi nelle Rsa.

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La delibera della Regione Lombardia

In particolare nella delibera si dispone l’istituzione di una “Centrale unica regionale dimissione post ospedaliera” che riceve le richieste di dimissione degli ospedali per acuti, e individua in modo appropriato la struttura di destinazione». La Regione ha assegnato questo ruolo proprio al Pio Albergo Trivulzio, il cui direttore oggi è indagato per omicidio colposo. Spiegò qualche giorno fa Sandro De Riccardis su Repubblica:

La Regione ha sempre dichiarato che sono quindici le residenze che hanno accolto i malati Covid-19: sette nel territorio dell’Ats di Bergamo, cinque di Milano, due nell’Ats della Val Padana, uno di Brescia. Non ha però mai reso pubblico quali fossero. Queste residenze hanno effettivamente i requisiti previsti dalla delibera? Sono cioè «autonome dal punto di vista strutturale, con padiglione separato dagli altri o struttura fisicamente indipendente», come chiede la norma? In queste settimane, sono state decine le testimonianze di familiari che hanno denunciato l’arrivo di anziani malati Covid-19 nelle strutture dei loro cari. Il sospetto degli inquirenti è che il virus sia dilagato perché non è stato mantenuto l’isolamento. E vogliono capire se, prima di inviare pazienti, ci siano state ispezioni da parte della Regione.

La seconda delibera è la XI/3020 del 30 marzo, che garantisce alla residenza una retta giornaliera di 150 euro, pagato dalla Regione. E alcuni enti potrebbero aver celato l’assenza dei requisiti pur di incassare ricchi finanziamenti. La terza è la delibera XI/3018, con cui la giunta ha disposto il divieto di accesso nelle residenze per anziani ai familiari e dato indicazione di non trasferire nei pronto soccorso gli ultra 75enni.

«Nel caso di età avanzata (oltre 75 anni) e presenza di situazione di precedente fragilità o di più comorbilità — si legge nel documento — è opportuno che le cure vengano prestate presso la stessa struttura, per evitare ulteriori rischi di peggioramento dovuti al trasporto e all’attesa in pronto soccorso». Nei giorni di maggiore saturazione degli ospedali, il provvedimento intendeva evitare ulteriori afflussi di pazienti. Ma molti anziani, nelle case di riposo sono rimasti senza cure e assistenza. E alla fine sono morti.

Giuseppe Guastella sul Corriere della Sera ha spiegato che tra le strutture indagate ci sono la Casa famiglia di Cesano Boscone, anch’essa perquisita, la Anni Azzurri a Lambrate e il Don Gnocchi. Quasi tutti i fascicoli sono stati aperti dopo le denunce presentate dai parenti degli anziani morti come mosche o dai sanitari contagiati proprio per la carenza di protezioni personali nelle strutture in cui lavoravano diventate focolai di infezione.

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Le delibere di Regione Lombardia sui malati ex COVID-19 (Il Fatto Quotidiano, 16 aprile 2020)

Gianni Barbacetto sul Fatto Quotidiano ha scritto che solo dal 15 aprile l’Ats locale ha chiesto ai vertici delle Rsa di inviare l’elenco nominativo degli ospiti con sintomi Covid, per sottoporli ai tamponi.

“E solo da venerdì scorso hanno iniziato a fare radiografie”, dice Augusto Baruffi, presidente della Fondazione Anni Sereni di Treviglio (Bg), a cui fa capo una casa di riposo con 145 posti letto.“ Abbiamo avuto 34 decessi. Solo ora l’azienda sanitaria ci ha garantito venti tamponi, e scaglionati nel tempo”. Secondo Gallera il trasferimento dei pazienti Covid nelle Rsa a seguito delle delibere della Regione non ha provocato “contaminazioni ”.

È un fatto però che nelle case di riposo lombarde il 70% dei circa 2mila decessi, come risulta da uno studio dell’Iss, sia avvenuto proprio nel mese di marzo. Il Fatto chiede inutilmente alla Regione da più di tre settimane i dati precisi sui pazienti Covid trasferiti nelle case di riposo (e negli hospice). Per stessa ammissione della Regione, il 27 marzo erano circa il 30% del totale dei dimessi “clinicamente guariti”, cioè senza più sintomi, in fase di negativizzazione, ma ancora potenzialmente contagiosi. Vale a dire – a quella data – qualcosa come 2.400 persone. L’assessore Gallera ha poi ridimensionato drasticamente: solo 147, trasferiti in 15 strutture, tra cui anche il Trivulzio.

Gli altri errori di Regione Lombardia

Ma siccome non finisce qui, vediamo qualcos’altro che riguarda l’ente. Ad Alzano Lombardo i primi due ammalati di coronavirus sono stati scoperti lo scorso 23 febbraio, quando si sono rivelati positivi i tamponi su due pazienti ricoverati all’ospedale «Pesenti Fenaroli», un punto di riferimento sanitario per la Val Seriana. I due pazienti arrivavano da paesi vicini.  Gallera ha sostenuto per settimane che lui ha chiesto la zona rossa e il governo non l’ha concessa. Poi si è arreso e ha ammesso che poteva farla anche la Regione. Il Corriere della Sera, in un articolo a firma di Marco Imarisio, Simona Ravizza e Fiorenza Sarzanini, in ogni caso ha spiegato qualche tempo fa che ciò che dice l’assessore non è vero:

La corrispondenza privata governo-Regione, e una nota interna a Palazzo Chigi, consentono di ricostruire quanto è avvenuto. E aiutano a capire come mai per istituire la zona rossa intorno a Codogno ci siano volute meno di 24 ore, con l’ordinanza firmata dal presidente della Lombardia Attilio Fontana e dal ministro dalla Sanità Roberto Speranza che blindava in entrata e in uscita dieci paesi del lodigiano, mentre per la provincia di Bergamo non sia bastata una settimana, a fronte di dati molto più allarmanti.

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Coronavirus: i numeri della provincia di Bergamo (Corriere della Sera, 6 aprile 2020)

A questo ritardo non è estraneo lo spirito di quel breve lasso di tempo. Ancora lo scorso 2 marzo l’assessore al Welfare lombardo, Giulio Gallera, esprimeva forti dubbi sull’utilità di una zona rossa. Ma sono molti i casi di esponenti politici che hanno adottato un doppio registro. Lo stesso Fontana mette la sua firma su richieste molto prudenti, mentre in pubblico usa spesso toni più interventisti. Meglio stare alle carte, quindi. I primi cinque report quotidiani che a partire dalla mattina del 21 febbraio la Regione Lombardia invia alla Protezione civile non fanno alcun cenno alla situazione della provincia di Bergamo. Per quasi una settimana, in calce al documento verranno indicati i focolai identificati fino a quel momento. Ne sono sempre citati quattro, tutti nel lodigiano. Eppure già il 27 febbraio appare evidente che in provincia di Bergamo qualcosa sta andando come peggio non potrebbe.

Settantadue nuovi casi di positività, diciannove dei quali, e tre decessi, fanno di Nembro il quarto Comune più colpito di Lombardia, alla pari con Casalpusterlengo, che insieme agli altri tre è nella zona rossa.

La Regione Lombardia e la Zona Rossa ad Alzano

Mentre la situazione si aggrava la Confindustria di Bergamo pubblica su Youtube il famoso video “Bergamo is running” dove si sostiene che l’industria lombarda non si ferma, mentre il primo cittadino Giorgio Gori, oggi in prima linea nell’attacco a Fontana e Gallera, lo rilancia. E così si arriva al 3 marzo:

Dal verbale di quel giorno del Comitato tecnico scientifico (Cts) che segue per il governo l’emergenza Covid-19: «Nel tardo pomeriggio sono giunti all’Istituto superiore di Sanità i dati relativi ai due Comuni sopramenzionati, poi esaminati dal Cts. Al proposito sono stati sentiti al telefono l’assessore Giulio Gallera e il direttore generale Luigi Cajazzo di Regione Lombardia che confermano i dati (…)

Ciascuno dei due paesi ha fatto registrare attualmente oltre 20 casi, con molta probabilità ascrivibili a un’unica catena di trasmissione. Ne risulta, pertanto, che l’R0 è sicuramente superiore a 1, il che costituisce un indicatore di alto rischio di ulteriore diffusione del contagio. In merito il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della “Zona Rossa” al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue. Questo criterio oggettivo potrà, in futuro, essere applicato in contesti analoghi».

L’Unità di crisi della Lombardia invia una mail a Silvio Brusaferro, direttore dell’Istituto superiore di Sanità, con una mappa dettagliata della diffusione del virus in tutta la provincia di Bergamo. Quella sera, appaiono in Val Seriana alcune camionette dell’esercito. Sembra il preludio alla chiusura totale. Invece non succede niente. Qui Conte chiede a Brusaferro di approfondire i dati della provincia di Bergamo. L’ISS risponde chiedendo ancora la zona rossa. Il 7 marzo l’intera Lombardia diventa zona rossa, ma nel frattempo sono passati sei giorni:

Un’altra nota interna di palazzo Chigi sembra fare riferimento proprio a possibili dispute sul mancato provvedimento. «Quanto alle competenze e ai poteri della Regione Lombardia, si fa presente che le Regioni non sono mai state esautorate del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti». E di seguito si citano i provvedimenti con misure ancora più restrittive varati di recente dalla giunta di Fontana. Un modo per dire che se la Lombardia pensava davvero che la zona rossa di Alzano e Nembro andasse creata prima, avrebbe potuto farlo in piena autonomia, così come l’hanno fatto Lazio, Basilicata, Emilia-Romagna, con ordinanze limitate al territorio di specifici comuni.

Il caso Bergamaschini

Infine c’è il caso Bergamaschini. Della vicenda ha parlato Gad Lerner il 4 aprile su Repubblica:

Il professor Luigi Bergamaschini, geriatra fra i più qualificati di Milano, ha subìto il 3 marzo un provvedimento di esonero perché colpevole di autorizzare l’uso delle mascherine chirurgiche al personale alle sue dipendenze. Il giorno stesso del suo allontanamento forzato è stato fatto esplicito divieto a medici e paramedici di indossarle. Le ripetute diffide sindacali che parlano apertamente di “gestione sconsiderata dell’emergenza” hanno indotto la Procura di Milano ad aprire un’inchiesta “Modello 44” a carico di ignoti.

Ma il delegato Cgil della Rsu, Pietro La Grassa, non esita a indicare il nome e il cognome del direttore generale del Pat, Giuseppe Calicchio, prescelto dalla Regione Lombardia, in carica dal primo gennaio 2019. “Il filosofo”, lo chiama, perché in effetti quello è l’unico titolo universitario che Calicchio indica nel curriculum. Di lui è noto semmai il legame con l’assessore regionale alle Politiche sociali, Stefano Bolognini, cerchia ristretta di Salvini, al cui fianco Bolognini si trovava anche l’estate scorsa al Papeete di Milano Marittima.

luigi bergamaschini

Bergamaschini è rientrato in servizio solo il 25 marzo, dopo che la Statale ha minacciato di tutelarlo con un’azione legale.

Questa è la sua testimonianza: «A fine febbraio, quando si ha notizia dell’arrivo dell’epidemia, ci poniamo il problema di utilizzare le mascherine chirurgiche. Ci rispondono che non ce ne sono. Chi riesce se le procura, tanto più che il 28 febbraio il mio reparto viene blindato. E io ovviamente, ignorando i rimproveri — “mica sei tu il direttore sanitario” — ne autorizzo l’impiego». Si arriva così alla mattina del 3 marzo, quando ormai è scattata l’emergenza in tutta Italia.

Prosegue il racconto di Bergamaschini: «Vengo convocato e mi comunicano che il direttore generale Calicchio è montato su tutte le furie perché faccio indossare le mascherine. Replico: ma io mi limito a non impedire di adoperarle… A questo punto la dottoressa Rossella Velleca mi notifica che da domani dovrò restare a casa, anche a tutela della mia salute visto che ho 70 anni. Ma è una scusa che non regge, vista la mail inequivocabile che mi arriva: “Stante la Sua gestione, Lei è esonerato dall’attività generale”». Nei venti giorni di assenza forzata, il professor Bergamaschini apprende dei primi contagi importanti avvenuti nella struttura di Merate. Anche lì si è continuato a lavorare senza mascherine. Al Pat, trasferiscono altrove tutti i pazienti del suo reparto, il Pronto intervento geriatrico. Nel frattempo vengono ricoverati dall’esterno altri 12 pazienti non testati, per cui non è da escludersi che siano stati anch’essi veicoli del contagio.

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