«Una delibera della Regione Lombardia ha portato il Coronavirus nelle case di riposo»

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-04-05

L’associazione delle case di riposo lombarde contro la delibera che ha portato i malati di COVID-19 nelle case di riposo scatenando il contagio. Si indaga intanto sui 70 morti al Pio Albergo Trivulzio. E in Veneto? «Per me è un dolore e una profonda, amara sconfitta che si stia verificando una vera e propria ecatombe. Per settimane gli appelli dei rappresentanti del mondo delle RSA sono rimasti inascoltati», dice il sottosegretario Variati

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Luca Degani, presidente di Uneba, l’associazione di categoria che mette insieme circa 400 case di riposo lombarde, in un’intervista rilasciata al Quotidiano del Sud ha accusato la Regione di aver infettato le case di riposo con la delibera della giunta – la numero XI/2906, 8 marzo 2020 – che chiedeva alle Ats, le aziende territoriali della sanità, di individuare nelle case di riposo dedicate agli anziani strutture autonome per assistere pazienti COVID-19 a bassa intensità.

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La delibera della Regione Lombardia

«Una delibera della Regione Lombardia ha portato il Coronavirus nelle case di riposo»

«Chiederci di ospitare pazienti con i sintomi del Covid-19 è stato come accendere un cerino in un pagliaio: quella delibera della giunta regionale l’abbiamo riletta due volte, non volevamo credere che dalla Regione Lombardia potesse arrivarci una richiesta così folle», ha detto Degani nell’intervista rilasciata a Claudio Marincola. «Dipendiamo per un buon 30% dai finanziamenti della Regione – ha continuato Degani – logico che molti abbiano paura di perderli. Non parlano e io li capisco, Ma noi, che facciamo parte del Terzo settore e siamo no profit, certe cose dobbiamo dirle: i nostri ospiti hanno una media di 80 anni, sono persone con pluripatologie. Come potevamo attrezzarci per prendere in carico malati spostati dagli altri ospedali per liberare posti-letto? Ci chiedevano di prendere pazienti a bassa intensità Covid e altri ai quali non era stato fatto alcun tampone. Il virus si stava già diffondendo. Stavamo per barricarci nelle nostre strutture, le visite dei parenti erano già state vietate».

In quei giorni l’assessorato alla Sanità aveva avviato una ricognizione dei posti letto. Con la delibera dell’8 marzo si disponeva il blocco, da lunedì 9 marzo, dell’accettazione di pazienti provenienti dal territorio, l’anticipo delle dimissioni verso il domicilio dei pazienti ricoverati e del 50% del turn over nelle Rsa in grado di offrire assistenza medica e infermieristica H24 e presenza di medici specialisti. Tra le richieste, anche la capacità di garantire ossigenoterapia.

Anche per i sindacati  “la convivenza di anziani fragili con pazienti affetti Covid è inaccettabile, così come lo è lasciare alla libera scelta delle singole Rsa ricevere o meno pazienti infetti come unica risposta alle oggettive difficoltà economiche delle strutture”. La decisione fa il paio con quella, raccontata oggi dal Fatto Quotidiano, sulla mancata serrata delle case di riposo in provincia di Bergamo:

Alla fine di febbraio, l’Associazione delle case di riposo del Bergamasco (Acrb) chiese all’azienda sanitaria di Bergamo, l’Ats, di chiudere le residenze sanitarie assistenziali di città e provincia. Alcune – come la Casa Ospitale Aresi, a Brignano GeraD’Adda –ave vano già chiuso il centro diurno: le aveva guidate la prudenza, la paura di fronte all’avan zata dei contagi. Eppure, alla richiesta dell’associazione la Regione Lombardia oppose un netto rifiuto: le case di riposo dovevano restare aperte. Un ordine impartito all’azien da sanitaria, che si era fatta da tramite dopo aver raccolto l’appello di Acrb.

Solo dopo più di un settimana, e a contagio ormai sfuggito, sarebbe arrivato il dietrofront, con una circolare che invitava i vertici delle Rsa a valutare la necessità di sbarrare gli accessi a chiunque provenisse d al l ’esterno. Intanto, però, il virus si era già insinuato tra gli anziani delle case di riposo. In assenza del tampone, non è dato sapere quanti ne abbia effettivamente uccisi. Ma è un fatto che nei primi venti giorni di marzo si siano contati oltre 600 decessi tra gli ospiti delle residenze nella sola provincia di Bergamo.

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Il 23 febbraio, due giorni dopo lo scoppio del “caso Mattia”a Codogno, la casa di riposo Aresi aveva deciso di sbarrare il proprio centro diurno su disposizione del direttore sanitario, preoccupato dall’evolversi dell’epidemia. “Ma l’Ats ha mandato una lettera a tutte le strutture –ricorda Marco Ferraro, presidente della Aresi –disponendo che rimanessimo aperti fino a nuove disposizioni della Regione”. È così che il centro viene riaperto.

La strage al Pio Albergo Trivulzio

Intanto alcuni lavoratori del Pio Albergo Trivulzio, come quelli di altre residenze sanitarie assistenziali per anziani di Milano, hanno presentato una denuncia in Procura sulla mancanza di cautele, sia informative che di dispositivi, per prevenire il rischio dei contagi da Coronavirus. In questi ultimi giorni il dipartimento ‘ambiente, salute, sicurezza, lavoro’, guidato dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, ha già aperto alcuni fascicoli per diffusione colposa di epidemia e reati in materia di sicurezza del lavoro proprio a partire dagli esposti di lavoratori delle Rsa contro i vertici delle strutture e lo stesso passaggio (denuncia-indagine) è previsto anche per quello presentato da dipendenti del Pat. Altre indagini sono state aperte sull’Istituto Palazzolo Fondazione Don Carlo Gnocchi di Milano (“Nessuna negligenza in contagi del personale”, ha sempre ribadito l’istituto) e su una casa famiglia di Affori, quartiere di Milano. Per ora le indagini si possono muovere solo sul piano documentale, anche perché è impossibile oggettivamente compiere attività investigative nelle sedi delle Rsa. Allo stesso modo, sul fronte delle denunce già presentate in Procura sulle morti di alcuni anziani nelle strutture, le eventuali indagini si scontrano col fatto che per motivi di sicurezza, come ha deciso il procuratore Francesco Greco, non si possono fare più autopsie, salvo che per casi di omicidi volontari e preterintenzionali.

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Gad Lerner su Repubblica ha raccontato che si indaga su settanta morti e l’accusa alla direzione è quella di aver per tutto il mese di marzo occultato la diffusione del Covid-19 nei suoi reparti, intanto che il morbo contagiava numerosi pazienti e operatori sanitari.

Il professor Luigi Bergamaschini, geriatra fra i più qualificati di Milano, ha subìto il 3 marzo un provvedimento di esonero perché colpevole di autorizzare l’uso delle mascherine chirurgiche al personale alle sue dipendenze. Il giorno stesso del suo allontanamento forzato è stato fatto esplicito divieto a medici e paramedici di indossarle. Le ripetute diffide sindacali che parlano apertamente di “gestione sconsiderata dell’emergenza” hanno indotto la Procura di Milano ad aprire un’inchiesta “Modello 44” a carico di ignoti. Ma il delegato Cgil della Rsu, Pietro La Grassa, non esita a indicare il nome e il cognome del direttore generale del Pat, Giuseppe Calicchio, prescelto dalla Regione Lombardia, in carica dal primo gennaio 2019.

“Il filosofo”, lo chiama, perché in effetti quello è l’unico titolo universitario che Calicchio indica nel curriculum. Di lui è noto semmai il legame con l’assessore regionale alle Politiche sociali, Stefano Bolognini, cerchia ristretta di Salvini, al cui fianco Bolognini si trovava anche l’estate scorsa al Papeete di Milano Marittima. «Gli anziani morivano e a noi, nonostante l’evidenza dei sintomi, dicevano che si trattava solo di bronchiti e polmoniti stagionali», denuncia La Grassa. «Il risultato è che ora al Trivulzio abbiamo sette reparti isolati completamente e due vuoti perché non accettiamo più nuovi pazienti. Nella struttura di Merate novanta sono sotto osservazione. Al Principessa Jolanda di via Sassi due reparti sono in isolamento».

Cosa succede alle case di riposo in Veneto

C’è grande nervosismo anche in Veneto, dove governa Luca Zaia. Oggi il sottosegretario agli Interni Achille Variati ha pubblicato un psot ricordando che nelle case di riposo del Veneto la conta è arrivata a settanta anziani morti e centinaia di contagi: tra questi spicca Asiago, dove sono positivi 46 ospiti su 55.

Per me è un dolore e una profonda, amara sconfitta che anche nel nostro Veneto si stia verificando una vera e propria ecatombe. Per settimane gli appelli dei rappresentanti del mondo delle RSA, così come le denunce dei sindacati, sono stati inascoltati. E questo non lo possiamo accettare. Le case di riposo e in particolare le RSA per quanto autonome dal punto di vista gestionale, dal punto di vista sanitario hanno un chiaro riferimento: le ULSS e quindi il sistema sanitario delle Regioni. Non lo possiamo accettare perché il Veneto si vanta costantemente della propria sanità, dei suoi standard, della sua efficienza, e a ragione.

Scopriamo però che, al di là di impedire giustamente le visite dei parenti possibili portatori sani del virus, gli operatori infermieri, operatori sanitari, addetti alle pulizie dipendenti o di cooperative convenzionate sono stati lasciati per settimane senza dispositivi di protezione. E che i protocolli di accesso degli anziani, soprattutto quelli provenienti dagli ospedali, sono stati rivisti solo pochi giorni fa. Ciò ha portato il contagio da una struttura all’altra, con centinaia di anziani che si stanno ammalando e in troppi morendo. Non sappiamo nemmeno con precisione i dati reali.

Ma le parole di Variati hanno scatenato la reazione di Zaia: “Fa star male vedere un’istituzione che fa un’uscita del genere. Se non sanno come andare a finire sui giornali, basta che vadano a fare volontariato. Li fotografano e li mandano in prima pagina”, ha attaccato il governatore, evidentemente molto nervoso.

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