Economia
Il taglio al reddito di cittadinanza dietro le liti del M5S con i tecnici
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2018-12-23
Le accuse sulle manine mettono nel mirino il Ragioniere dello Stato, che avrebbe proposto il taglio di 700mila beneficiari dalla misura-simbolo del M5S
Mentre Roberto Garofoli presenta le sue dimissioni dopo la storia dei favori della Croce Rossa e del dipendente in nero, il MoVimento 5 Stelle scatena un’altra offensiva contro i tecnici del ministero dell’Economia in occasione della presentazione del maxiemendamento alla Manovra del Popolo. Nel mirino stavolta c’è Daniele Franco, Ragioniere dello Stato che oggi è definito “canarino nella miniera”. Ma il M5S una ragione per il suo nervosismo ce l’ha. E si può spiegare in tre parole: reddito di cittadinanza.
Il taglio al reddito di cittadinanza dietro le liti del M5S con i tecnici
E il motivo è che ballano ancora oltre 600 mila persone. Il decreto arriverà a gennaio, assieme a quello di Quota 100 e non è detto che alla fine non si opti per la partenza a giugno come proposto dal Tesoro per risparmiare qualche miliardo necessario a tutelare la platea dei beneficiari. Ma un cospicuo numero di aventi diritto potenzialmente oggi potrebbero rimanere fuori perché ci sarà un’altra limatura necessaria dopo il congelamento di due miliardi di euro di spese voluto dalla Commissione Europea e accettato da Lega e M5S per non subire la procedura d’infrazione.
La limatura che si rende necessaria per far quadrare i conti va a cozzare con le scadenze elettorali grilline: a maggio ci sono le elezioni europee e il M5S sperava di arrivarci con la sua misura-simbolo già attuata per cogliere nelle urne i dividendi elettorali del provvedimento. Ma non è ancora sicuro che sarà così proprio per lo scoppio della grana nella Manovra del Popolo.
Settecentomila beneficiari in meno
Per questo il M5S è partto all’attacco dei tecnici del ministero del Tesoro e adesso vuole la testa di Franco, che però è considerato da Bruxelles come l’uomo che garantisce per Roma e se saltasse lui, salterebbe l’intero impianto di pace faticosamente costruito dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte con l’avallo di Salvini e Di Maio, che l’hanno mollato soltanto quando si è trattato di annunciarlo come tutti i coraggiosoni. Venerdì notte è andato in scena un vertice segreto tra le forze della maggioranza e il premier in cui Lega e MoVimento 5 Stelle se ne sono dette di tutti i colori.
Ancora ieri mattina, racconta Repubblica, la battaglia si era combattuta a colpi di “manine”. I leghisti che piazzano un loro comma nel maxiemendamento con incentivi per gli inceneritori e i 5stelle che lo tolgono inserendo uno loro per alcuni finanziamenti per Taranto, città “tradita” sull’Ilva, salvo poi ritirarlo. Le vere scintille sul cosiddetto “saldo e stralcio”, ritenuto una sanatoria fiscale mascherata da Di Maio. Il sottosegretario del Carroccio Armando Siri pronto a incatenarsi al grido di «non è un condono, serve alla povera gente con Isee fino a 20 mila euro» e il vicepremier Salvini che alla fine impone la norma nel testo finale. I due decreti su reddito e quota cento arriveranno invece «a inizio gennaio», è l’annuncio. La manovra passerà al voto finale della Camera ma per i leader dei due partiti da oggi è già campagna per le Europee.