Perché Liliana Segre ha detto no a Salvini

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-01-12

La senatrice ha ricevuto infatti ieri mattina l’invito, tramite un messaggio personale del leader del Carroccio. Allora si è presa qualche ora di tempo per pensare al modo migliore per dare una risposta calibrata. Nella quale ha parlato anche di razzismo

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Matteo Salvini ha invitato la senatrice a vita Liliana Segre a un convegno sull’antisemitismo, che si svolgerà il 16 gennaio nella sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Un’occasione a cui il leader leghista teneva molto, tanto da preoccuparsi di firmare personalmente gli inviti. L’idea, secondo i giornali, è stata del suo “stratega” Giancarlo Giorgetti (colui che con un meraviglioso giro di parole cercava di far dimenticare a tutti di aver votato il pareggio di bilancio). Ma la Segre ha graziosamente rifiutato l’invito adducendo altri impegni per quella data.

Perché Liliana Segre ha detto no a Salvini

Troppi impegni già presi da tempo nel mese di gennaio, il mese dedicato alla Memoria, nell’anniversario della liberazione di Auschwitz, il campo di sterminio dove venne deportata a 14 anni, assieme al padre, che da lì non fece più ritorno. Ma anche, probabilmente, un certo stupore per questa occasione di cui è stata avvisata dopo che la notizia è apparsa sulla stampa. Spiega Zita Dazzi su Repubblica:

La senatrice ha ricevuto infatti ieri mattina l’invito, tramite un messaggio personale del leader del Carroccio. Allora si è presa qualche ora di tempo per pensare al modo migliore per dare una risposta calibrata, ben sapendo che materialmente non avrebbe avuto modo di essere a Roma per l’evento. A Salvini, nel pomeriggio la senatrice ha voluto rispondere con un messaggio, arrivato poi anche alle agenzie di stampa.

liliana segre matteo salvini

 «Purtroppo non potrò partecipare — si legge in quelle righe di ringraziamento per l’invito — perché una serie di impegni legati al Giorno della Memoria mi tratterranno a Milano tutto il mese». Ma il nucleo del messaggio è nella seconda parte, dove Segre non rinuncia a ricordare a Salvini che, organizzando una riflessione su un tema così importante, è bene tenere presente che «la lotta all’antisemitismo» non deve e non può essere «disgiunta dalla ripulsa del razzismo e del pregiudizio». Concetti e obiettivi che non erano fra quelli messi al centro del convegno voluto da Salvini.

Segre lo spiega diffusamente nel messaggio recapitato a Salvini per gli stessi canali con cui era arrivato l’invito al convegno: «Questa visione — si legge nel testo della senatrice pubblicato ieri sera dall’AdnKronos — mi pare tanto più necessaria in questa fase storica, in cui le condizioni di disagio sociale spingono tanti ad indirizzare la propria rabbia verso un capro espiatorio, scambiando la diversità per minaccia».

La condanna di Salvini per razzismo

Un argomento che non può non far tornare in mente anche il decreto penale di condanna che Matteo Salvini ha ricevuto dalla procura di Bergamo per il famigerato coro contro i napoletani raccontato ieri da Cronaca Qui con il pagamento di una pena pecuniaria di 5.700 euro per il famoso coro razzista contro i napoletani “colerosi e terremotati”.

I fatti risalgono al 13 giugno del 2009, il popolo del Carroccio è in festa a Pontida. E, come accade oggi per il procedimento in cui Salvini è sotto accusa per le frasi pronunciate al congresso di Collegno in cui definì i giudici «schifezza», a documentare tutto c’è un video. Salvini, 36 anni, allora deputato alla Camera, parlamentare europeo e capogruppo della Lega Nord al comune di Milano è quello in maglietta con una media bionda in mano sulla sinistra.

salvini condannato per razzismo

Il video è quello ormai “famoso” in cui il Capitano con un bicchiere di birra in mano e attorniato da con un gruppo di persone lancia un ritornello: «Senti che puzza,scappano anche i cani. Sono arrivati i napoletani…». Due cittadini napoletani hanno sporto una querela finita alla procura di Bergamo, che ha iscritto Salvini nel registro degli indagati per diffamazione e violazione della legge Mancino, che punisce “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. L’accusa, ritenendo che l’indagato potesse subire soltanto una pena pecuniaria, ha chiesto e ottenuto dal giudice l’emissione del decreto penale di condanna finito adesso agli atti del processo torinese.

Il decreto penale di condanna è un procedimento speciale il cui scopo è quello di saltare sia l’udienza preliminare sia il dibattimento.

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