Il ricatto del M5S a Tria: dacci dieci miliardi o vai a casa

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-09-13

Voci di malumori e ultimatum nei confronti del ministro dell’Economia, che offre le sue dimissioni a Conte. Poi arrivano le smentite ma il fuoco cova sotto la cenere

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«Presidente, se il problema sono io, allora vorrei fosse chiaro che sono pronto a fare un passo indietro anche subito»: secondo Repubblica sarebbero queste le parole pronunciate da Giovanni Tria davanti a Giuseppe Conte all’ora di pranzo, dopo una lettura dei giornali e delle agenzie evidentemente non molto serena da parte dell’inquilino di via XX Settembre. Vero o falso che sia l’aneddoto, è un fatto che ieri per tutta la giornata si sono rincorse le voci di malumori da parte del MoVimento 5 Stelle nei confronti del ministro dell’Economia in attesa del DEF e della Legge di Bilancio.

Il ricatto del M5S a Tria: dacci dieci miliardi o vai a casa

Malumori testimoniati dal lancio di agenzia ANSA che all’ora di pranzo sembra cominciare a chiudere l’esperienza di Tria al ministero: «In manovra ci aspettiamo 10 miliardi per il reddito di cittadinanza o chiederemo le dimissioni del ministro Tria», scrive l’agenzia attribuendo la frase a “fonti qualificate M5S”; passano pochi minuti e arriva la smentita:  “Risulta infondata la notizia secondo cui il M5s avrebbe esercitato pressioni sul ministro Tria, anche in riferimento a sue possibili dimissioni”, scrive l’ufficio stampa. Ma la smentita non viene passata proprio dall’agenzia di stampa ANSA, evidentemente sicura al 100% delle sue fonti.

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Dietro lo scontro, che viene successivamente fermato da Di Maio il quale tiene la barra delle richieste del M5S ma esclude l’ipotesi di dimissioni del ministro, c’è la guerra interna con la Lega e quello che i grillini vedono come un tentativo di frenare l’avvio dell’assegno (780 euro a cinque milioni di poveri) il prossimo anno, per spuntare le armi M5s nella campagna elettorale per le europee. Anche la Lega rinuncerebbe a far partire subito la flat tax (se non per partite Iva e piccole aziende) ma punta sull’introduzione di quota 100 (a partire dai 62 anni di età) per le pensioni.

La resa degli sconti

Per questo il M5S alza la posta. Anche perché il calendario gli sarà ostile: la sottosegretaria all’Economia senza deleghe Laura Castelli aveva annunciato il reddito di cittadinanza per il primo gennaio 2019, poi pian piano si è capito che non sarebbe stato così perché mancano i tempi tecnici. E allora ecco la richiesta di soldi per la riforma dei centri per l’impiego in vista della partenza del reddito per maggio, proprio il mese delle elezioni europee. Ma anche qui l’oste ha fatto conti diversi e ha dato settembre come data più realistica per quello che potrebbe essere un primo aiuto ma non i 780 euro pattuiti dalla soglia di povertà relativa.

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Reddito di cittadinanza, le proposte (La Repubblica)

Il costo – secondo i calcoli pentastellati – sarebbe di 5-6 miliardi per gli otto mesi del 2019. Il problema non di poco conto è che tenendo, com’è orientato a fare Tria in accordo con l’Ue, il deficit-pil all’1,6%, per le misure M5s-Lega ci sarebbero 10 miliardi in tutto, da ripartire in parti uguali. Fonti leghiste sostengono che nel vertice di maggioranza della prima settimana di settembre così si era deciso. E alla fine il punto di caduta, confermano dal M5s, potrebbe essere in effetti di 5 miliardi per il reddito di cittadinanza.

Nel DEF deficit-pil all’1,6%

Ma è proprio il numero del rapporto deficit-pil a far svegliare dai sogni di gloria la maggioranza. Con l’1,6% si possono disarmare le clausole di salvaguardia dell’IVA e poco più. Il resto? Se il costo annuale del reddito di cittadinanza (limitato nella platea dei percettori) è intorno ai 9 miliardi, prevederlo da luglio dimezza le stime del costo fino alla fine del 2019: in più ci sono i 2,6 miliardi del reddito di inclusione da aggiungere al conto: il resto della cifra è molto più basso delle prime stime, è possibile trovarlo, ragionano i grillini.

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Reddito di cittadinanza: le differenze con il REI e il confronto con il resto d’Europa (Corriere della Sera, 3 settembre 2018)

Dall’altra parte della barricata c’è il ministro Tria, che più che nervoso sembra essere consapevole dell’importanza del suo ruolo all’interno del governo e dell’effetto benefico sullo spread che hanno avuto le sue iniziative diplomatiche (anche con l’aiuto di Draghi) nei confronti di Salvini e Di Maio, improvvisamente scopertisi vincolati all’Europa come non mai. Se va a casa lui, è il ragionamento di via XX Settembre, potrebbe trascinarsi dietro l’intero governo.

Leggi sull’argomento: Mezzo milione di pensionati in più con l’uscita a 62 anni

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