Le reazioni dei leghisti all’inchiesta di Report dimostrano che la Lega è ancora “culturalmente debole”

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-10-22

Come è successo che la Lega a partire da un certo periodo ha cominciato a condividere posizioni politiche e linguaggio dei postfascisti italiani? Lo ha spiegato a Report uno di coloro che negli Anni Novanta hanno iniziato a “seminare” certi concetti all’interno del partito di Bossi: Maurizio Murelli, fondatore di Orion e condannato per concorso in omicidio nella morte di un poliziotto negli anni Settanta

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Durante la puntata di Report sulla Fabbrica della Paura e di come alcuni ultraconservatori russi come Konstantin Malofeev e postnazisti italiani abbiano lavorato per plasmare la politica della Lega Nord e della Lega di Salvini ad un certo punto Maurizio Murelli pronuncia una frase emblematica. Una frase che spiega come i neofascisti italiani abbiano infiltrato la Lega fino a prenderne il controllo dal punto di vista ideologico.

Murelli e l’operazione di egemonia culturale dei postnazisti sulla Lega

Murelli è un noto militante neofascista milanese che nel 1973 è stato condannato a 17 anni e sei mesi di carcere per il concorso nell’omicidio dell’agente di polizia Antonio Marino, ucciso dall’esplosione di una granata lanciata durante gli scontri del 12 aprile del 1973. Dopo undici anni di prigione Murelli una volta libero ha fondato il gruppo Orion che Report descrive come un centro culturale «che mescola idee neonaziste e filosovietiche, e lavora per la nascita di un continente euroasiatico sotto l’egemonia della Russia».

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Claudio Gatti nel suo libro I demoni di Salvini scrive che ad un certo punto all’inizio degli anni Novanta diversi aderenti al gruppo Orion hanno iniziato a transitare nella Lega. A Giorgio Mottola di Report Murelli spiega che l’idea è stata sua: «io sono tra quelli che ha intuito la potenzialità di sviluppo della Lega. Quell’ambiente lì era culturalmente più debole ma con diverse, con notevoli potenzialità di sviluppo». Un’operazione di egemonia culturale per impiantare nella Lega i semi del fascismo e del nazismo. Semi che secondo Murelli ora hanno iniziato a germogliare.

Le parole d’ordine di Salvini sono le stesse dell’estrema destra

Il ragionamento di per sé è molto semplice: la Lega era un partito ideologicamente vergine. Murelli, il gruppo Orion e personaggi come Gianluca Savoini lo hanno colonizzato impiantandovi quei concetti che faranno diventare la Lega da partito secessionista e anti Meridione alla formazione sovranista con contatti con l’estrema destra italiana che oggi conosciamo. Lo stesso Murelli riconosce che «Salvini praticamente ha individuato in un linguaggio alcune parole d’ordine che hanno fascino e attecchiscono». Le stesse parole d’ordine che troviamo nei manifesti dei terroristi suprematisti bianchi come Brenton Tarrant e che circolano da decenni nel sottobosco neofascista e neonazista.

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Murelli (e non Malofeev come hanno scritto alcuni) non ha detto che la Lega ha un “livello socioculturale basso“. Ha detto che la Lega degli anni Novanta era culturalmente più debole e pertanto più facile da condizionare. Il fatto che pure l’oligarca russo abbia deciso di instaurare rapporti “politici” con la Lega di Salvini e che sia riuscito ad esercitare una certa influenza sulla politica leghista denota che forse il partito del dopo-Bossi è ancora e altrettanto debole. Oppure che quei postfascisti filorussi che venivano da Orion sono riusciti nel loro intento.

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Rimane da vedere se l’elettorato leghista, che con l’avvento di Salvini ha subito notevoli trasformazioni rispetto a quello “tradizionale” sia altrettanto culturalmente debole (che non vuol dire rozzi o zoticoni, attenzione) e portato a seguire un’ideologia che non gli appartiene solo perché vengono portati in quella direzione dalla leadership del partito. A leggere i commenti sulla pagina Facebook di Report, dove c’è sempre il solito che chiede di fare un’inchiesta su Bibbiano così come quello che ha assimilato la lezione del Tg2 e chiede conto dei rubli che Gramsci ha preso dalla Russia, il dubbio viene. O meglio: viene il dubbio che nessuno abbia prestato attenzione a quello che ha raccontato Report. E forse questa è la più grande vittoria del salvinismo quella forma di politica che consiste nel non ascoltare l’avversario, di ripetere a macchinetta poche parole d’ordine e di irridere i giornalisti invece che rispondere alle loro domande.

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