Fratelli di ‘Ndrangheta

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-12-20

Con l’arresto di Roberto Rosso (ormai ex assessore regionale ai Diritti Civili del Piemonte) sono cinque gli esponenti del partito di Giorgia Meloni arrestati per ‘Ndrangheta. A lei la mafia fa schifo e le persone che approfittano di FdI la fanno “vomitare”. Eppure dovrebbe prendere atto che il partito ha un problema

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Tra le 334 persone arrestate ieri nell’ambito dell’operazione Rinascita-Scott c’è anche un esponente di Fratelli d’Italia: Giancarlo Pittelli. Oggi invece un altro membro del partito di Giorgia Meloni è stato dalla Guardia di Finanza nell’ambito di un’inchiesta sulla ‘ndrangheta che ipotizza anche il voto di scambio. Si tratta di Roberto Rosso, assessore ai Diritti civili della Regione Piemonte.

I cinque esponenti di Fratelli d’Italia arrestati per ‘Ndrangheta

Rosso e Pittelli condividono un passato politico di Forza Italia (entrambi sono stati eletti in Parlamento nelle fila del partito di Berlusconi) e sono da poco entrati in FdI. In un comunicato in cui viene annunciata l’espulsione di Rosso dal partito Giorgia Meloni ci tiene a ricordare che «Roberto Rosso ha aderito a Fratelli d’Italia da poco più di un anno, chiedendo di essere candidato nelle nostre liste. Come facciamo con tutti i nostri candidati, abbiamo verificato con gli strumenti che un partito ha a disposizione se avesse problemi con la giustizia. Non è emerso nulla e abbiamo deciso di sottoporre anche il suo nome al giudizio degli elettori piemontesi». Alle regionali in Piemonte – continua la Meloni – Rosso è stato il più votato tra i candidati di FdI (4477 preferenze) ed è per questa ragione che è diventato assessore. A Rosso però viene contestata l’accusa di voto di scambio:  avrebbe offerto la somma di 15 mila euro in cambio della promessa di un “pacchetto” di voti. Questa mattina Rosso avrebbe rassegnato le dimissioni da assessore alla Regione Piemonte.

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Dalle indagini è emersa “la piena consapevolezza del politico e dei suoi intermediari circa la intraneità mafiosa dei loro interlocutori”.  Francesco Saluzzo, procuratore generale del Piemonte, ha aggiunto che «secondo le risultanze delle indagini Roberto Rosso è sceso a patti con i mafiosi. E l’accordo ha avuto successo». Gli investigatori hanno documentato – anche con immagini – diversi incontri tra Rosso e alcuni presunti boss, tra cui Onofrio Garcea, esponente del clan Bonavota in Liguria, anche in piazza San Carlo a Torino

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Roberto Rosso (primo da destra) ad Atreju 2019

Rosso e Pittelli non sono i primi esponenti di Fratelli d’Italia finiti al centro di indagini riguardanti la criminalità organizzata, in particolare di rapporti con la ‘Ndrangheta. A luglio scorso venne arrestato Enzo Misiano, consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Ferno (Varese). L’accusa è quella di associazione a delinquere di stampo mafioso inserita nell’ambito dell’inchiesta Krimisa sulle infiltrazioni della ‘Ndrangheta in Lombardia. Prima di lui c’era stato il presidente del Consiglio comunale di Piacenza Giuseppe Caruso che secondo gli inquirenti faceva parte dell’organizzazione criminale che operava tra le province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza e che aveva ai vertici soggetti considerati di primo piano come Salvatore Grande Aracri, Francesco Grande Aracri e Paolo Grande Aracri.

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Dopo l’arresto Caruso è stato espulso dal partito senza troppi complimenti. La coerenza prima di tutto. Ad agosto di quest’anno invece era stato il turno di Alessandro Nicolò capogruppo di Fratelli d’Italia alla regione Calabria fortemente voluto dalla Meloni e accusato di collusione con la cosca “Libri”. Con gli arresti di Rosso e Pittelli siamo a quota cinque in pochi mesi. Questo giusto per mettere un numero ai “rigidissimi controlli” di Fratelli d’Italia.

Il problema politico di Giorgia Meloni

La Meloni però fino ad ora non ne ha mai parlato. Oggi invece si rivolge a «chiunque pensi di usare il nostro simbolo per trattare con mondi che noi combattiamo» per dire forte e chiaro «Fratelli d’Italia non può essere la vostra casa, perché ci fate vomitare». Nel frattempo la pagina Facebook di Roberto Rosso risulta rimossa, peccato perché si trovavano delle bellissime foto con Giorgia Meloni e delle riflessioni sul futuro del partito che secondo Rosso grazie a Giorgia Meloni potrà superare addirittura il 15%.

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Naturalmente non abbiamo alcun motivo di dubitare della buonafede di Giorgia Meloni, le responsabilità penali sono individuali e tutti gli arrestati di questi mesi sono innocenti fino a prova contraria. Impossibile non notare come proprio ieri a pochi giorni della presentazione delle candidature per le regionali ci sia stata una raffica di dimissioni da Fratelli d’Italia in Emilia-Romagna con il responsabile provinciale di Fratelli d’Italia a Bologna, Fabrizio Nofori, che ha scritto che «non sussistono più le condizioni umane e politiche per continuare». Con lui se ne sono andati il portavoce provinciale di Gioventù Nazionale, il componente della direzione nazionale del giovanile, il portavoce cittadino di Gioventù Nazionale, il responsabile dell’Università di Gioventù Nazionale, 12 consiglieri comunali, il responsabile provinciale dell’organizzazione, il segretario amministrativo provinciale e cittadino, «tutti i presidenti di Circolo con i relativi iscritti» e tre esponenti dell’assemblea nazionale del partito.

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Non è possibile però non dare una lettura politica del fenomeno che vede coinvolti gli esponenti di Fratelli d’Italia. Perché va dato atto a Giorgia Meloni di aver fatto crescere tantissimo Fratelli d’Italia ma – esattamente come per la Lega  di Salvini –  questa espansione vertiginosa ha creato un problema: il reclutamento della classe dirigente. Ovvero di persone in grado non solo di coordinare le attività del partito ma anche di portare voti. E forse sulla selezione dei candidati Fratelli d’Italia ha fatto le cose troppo in fretta aprendo le porte anche a persone che non facevano parte della propria storia politica e sulla cui storia personale magari si sapeva poco. Certo, Giorgia Meloni (così come qualsiasi leader di partito) non poteva sapere che i suoi candidati sarebbero stati indagati o arrestati, ma forse poteva immaginare che affidarsi a riciclati di altri partiti comportasse certi “rischi”. La Meloni invece cade dalle nuvole e si chiede piuttosto «come ci si difende da chi bussa alla tua porta, dice di voler combattere con te e sembra avere un curriculum specchiato, ma poi viene accusato di reati così infami?». Non lo chieda a noi, o ai suoi elettori: è lei il leader di quel partito.

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