Giancarlo Pittelli: l’ex FI poi Fratelli d’Italia e le indagini sulla ‘ndrangheta

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-12-20

L’ex parlamentare di Forza Italia poi passato a Fratelli d’Italia, è stato arrestato ieri mattina nell’operazione Rinascita-Scott che ha visto nove famiglie di ’ndrangheta azzerate. La sua rete di rapporti e conoscenze e la sua affiliazione massonica

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Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di Forza Italia poi passato a Fratelli d’Italia, è stato arrestato ieri mattina nell’operazione Rinascita-Scott che ha visto nove famiglie di ’ndrangheta azzerate, intere cosche decapitate, beni per 15 milioni sequestrati, «il numero uno in Calabria» Luigi Mancuso di nuovo dietro le sbarre insieme ad altre 259 persone fra la Calabria e il Nord Italia, 70 ai domiciliari e 4 con il divieto di dimora.

Giancarlo Pittelli: l’ex FI poi Fratelli d’Italia e le indagini sulla ‘ndrangheta

Pittelli è un politico di lungo corso, tanto ben addentrato in certi ambienti da poter affermare che «per la formazione di Forza Italia, la prima persona che Dell’Utri avrebbe contattato fu Piromalli a Gioia Tauro» scrive il Ros in un’informativa. Racconta oggi Repubblica:

«Un affarista massone al servizio dei clan» si legge nelle pagine che ripercorrono le innumerevoli circostanze in cui si è messo a disposizione del clan. Dall’intervento per far passare alla figlia del boss l’esame di istologia scomodando persino il rettore dell’Università di Messina, all’impegno per far assumere il figlio di un capo al policlinico Gemelli, dagli appuntamenti in tutti gli ospedali d’Italia per amici e parenti di boss, alle spintarelle per far promuovere funzionari pubblici vicini al clan, Pittelli non si è mai tirato indietro. In più, per i giudici ha in generale «condiviso la modalità di conduzione  della cosca, aderendo alla “politica gestionale” di Luigi Mancuso».

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Insomma, anche senza battesimi e santini, agiva da affiliato. Anzi, svolgeva un ruolo più importante perché come massone di alto rango «è stato in grado di far relazionare la ’ndrangheta con i circuiti bancari, le società straniere, le università, le istituzioni». Ma usava le stesse cautele degli ’ndranghetisti per incontrare Mancuso all’epoca irreperibile e mostrava la stessa arroganza negli affari, sbandierando il nome del clan. Identica poi l’ansia di reperire informazioni sulle indagini, che prontamente girava al boss.

Per questo poteva contare su una serie di investigatori travolti dall’inchiesta, dall’attuale comandante provinciale dei carabinieri di Teramo, Giorgio Naselli, al maresciallo della Guardia di Finanza, Michele Marinaro, persino in grado di “interrogare” il pentito Andrea Mantella su commissione dell’avvocato.

Le accuse a Pittelli come associato interno alla cosca Mancuso

Pittelli, che era stato anche consigliere comunale della Democrazia Cristiana a Catanzaro, è indicato come «associato esterno» alla cosca capeggiata da Luigi Mancuso, il capo Crimine di Vibo, anche lui arrestato. «Un’amicizia» la loro, non del «tutto disinteressata», che Pittelli non disdegna mai di far «pesare» nei momenti opportuni. Non erano meno cordiali i rapporti di alcuni politici e gli ‘ndranghetisti del territorio, pronti a dare una mano ad ogni elezione. Nelle intercettazioni riportate oggi dal Corriere della Sera si raccontano i contatti tra lui e il consigliere regionale Giamborino del Partito Democratico:

«È stato due volte deputato e una volta senatore… Con me siamo fraterni amici… se gli dico che si deve buttare dal ponte si butta dal ponte». Poi gli investigatori dell’Arma hanno intercettato lo stesso Pittelli, che racconta passato e presente: «Dell’Utri la prima persona che contattò per la formazione di Forza Italia fu Piromalli a Gioia Tauro… Ci sono due mafiosi in Calabria, che sono i numeri uno in assoluto. Uno è del vibonese e l’altro è di Gioia Tauro, si chiama Giuseppe Piromalli…».

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La formula di affiliazione alla ‘ndrangheta e il trequartino

Abbandonata l’attività politica ufficiale, secondo l’accusa, l’avvocato Pittelli è diventato «l’uomo cerniera» tra l’altro numero uno della mafia calabrese, Luigi Mancuso, «e la cosiddetta società civile, mettendo a disposizione la sua fitta rete di rapporti conoscenze ed entrature, anche nel mondo istituzionale». Sfruttando pure la sua affiliazione massonica.

Leggi anche: La ‘ndrangheta, l’operazione Rinascita-Scott e il grado di Trequartino

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