Il dividendo del Papeete: come la Lega fuori dal governo ci fa risparmiare quasi sette miliardi

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-12-20

Ieri il ministro Gualtieri ha dichiarato che nel 2020 lo Stato spenderà 6,7 miliardi di euro in meno per gli interessi sul debito anche grazie al calo dello spread. Secondo il presidente della Commissione Bilancio della Camera Claudio Borghi non è vero e il ministro sta insultando il Parlamento. Eppure quel dato è confermato da uno studio dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio

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«Il risparmio di spesa per interessi del 2020 è stimato in 6,7 miliardi», così il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ieri durante l’audizione in Commissione Bilancio alla Camera. L’affermazione del ministro ha scatenato la reazione del Presidente della Commissione Claudio Borghi che invece sostiene che il ministro si stia sbagliando e che il risparmio sia al limite di 1,9 miliardi di euro. Ne è nato un piccolo diverbio al termine del quale il deputato leghista ha intimato a Gualtieri di portare rispetto.

Da dove arrivano i 6,72 miliardi di risparmi di cui parla Gualtieri?

Ma chi ha ragione? Innanzitutto si sta parlando della minore spesa che lo Stato dovrà sostenere per pagare gli interessi sul debito. Già un mese fa Gualtieri e Borghi si sono scontrati sull’argomento quando il titolare del MEF durante un’audizione congiunta delle Commissioni di Bilancio riunite mostrò un grafico per spiegare l’andamento dello spread: «con il governo di centro-sinistra lo spread era attorno a 150, questo era con voi, questo con il governo di cui faccio parte». Borghi, poco prima, aveva notato un tasso del Btp decennale “raddoppiato” per concludere che “forse non siete così virtuosi”.

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Il 30 novembre l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha pubblicato un report dal titolo “L’impatto della riduzione dello spread sulla spesa per interessi“. Nel documento si legge che il miglioramento delle prospettive di finanza pubblica registrato negli ultimi mesi è legato in modo significativo alla riduzione della spesa per interessi rispetto a quanto stimato nella prima parte dell’anno (ovvero quando al governo c’erano Lega e M5S). «La Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (NADEF) 2019, infatti, prevede una spesa per interessi della pubblica Amministrazione che nel prossimo triennio calerebbe progressivamente – rispetto ai 61,3 miliardi del 2019 – fino a raggiungere i 56,5 miliardi nel 2022», continua l’UPB. Quindi nel 2022 rispetto al DEF (del governo gialloverde) la spesa per gli interessi sarebbe inferiore di 17,2 miliardi di euro. Nel 2020 quel risparmio sarà di 6,72 miliardi di euro, la cifra detta da Gualtieri. Ma da dove viene invece quell’1,9 detto da Borghi? Il calcolo del Presidente della Commissione riguarda unicamente la variazione degli interessi tra 2018 e 2019 e non il calo dello spread e il miglioramento delle stime.

Il documento dell’UPB spiega che «alla riduzione dello spread tra marzo e settembre si può attribuire quasi la metà della riduzione della spesa per interessi sui titoli di Stato tra il DEF e la NADEF»-. Che è esattamente quello che ha detto Gualtieri ieri quando ha ricordato che la NADEF è appunto la nota di aggiornamento al DEF e che il secondo è stato redatto dal precedente governo mentre il primo è frutto del lavoro e dei calcoli dell’attuale esecutivo. Che ci sia stata una riduzione dello spread è cosa nota e di conseguenza dall’abbassamento del differenziale di rendimento si ricava un risparmio sugli interessi perché finanziare il debito costa meno. Costa meno perché al governo non ci sono più quelli che facevano salire lo spread? Questa è la tesi di Gualtieri. E certo, si può sempre pensare che quando ad aprile il governo Conte 1 ha pubblicato il DEF abbia per qualche ragione deciso di mettere nero su bianco la previsione di spendere di più quando in realtà non era vero. Ora, al di là del fatto che la ratio politica di tale scelta non è certo chiarissima (e nemmeno molto sensata, se ci pensate) come spiega su Facebook il deputato di Italia Viva Luigi Marattin: «quello era il numero derivante dal prodotto tra lo stock di debito 2020 e il costo medio del debito previsto nel 2020, il quale a sua volta era matematicamente ricavato dai tassi future sui titoli di stato italiani che erano ESISTENTI (non “previsti”!) ad aprile stesso». Non era insomma un calcolo per essere “previdenti” e mettere in conto che forse si poteva spendere di più e avere più margine.

 

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