Lo scaricabarile dei politici che danno la colpa ai cittadini se risalgono i contagi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-05-20

Il dato ha dell’incredibile: se dai alla gente la possibilità di andare al bar, la gente va al bar. Un buon numero di amministratori locali ha dovuto constatarlo nei giorni scorsi ma si è detto anche pronto a iniziative durissime, del tipo di richiudere tutto. Ma chi non ha isolato i contagiati? Chi non ha fatto i tamponi? E gli amministratori che oggi si lamentano lo sanno cosa stanno amministrando?

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Il dato ha dell’incredibile: se dai alla gente la possibilità di andare al bar, la gente va al bar. Si tratta di una incredibile decisione di grande imprudenza che infatti sindaci e governatori si sono affrettati a stigmatizzare, minacciando anche di chiudere tutto in caso di ulteriori assembramenti, un po’ come i penultimatum su Alitalia che stavolta sta per fallire davvero ma poi fallirà la prossima volta.

Lo scaricabarile dei politici che danno la colpa (solo) alla movida se risalgono i contagi

Ad appena 16 giorni dal 4 maggio, prima data della fase 2 dell’emergenza Coronavirus, i politici locali e quelli nazionali si sono infatti accorti di una questione davvero sorprendente: i contagi sono in aumento.  E hanno cominciato a mandare un messaggio che secondo loro dovrebbe funzionare da deterrente contro feste, spritz e rimpatriate fuori regola. In Veneto, ad esempio,diversi filmati diffusi sui social testimoniano una ripresa della movida ben lontana dalle norme anti-contagio, che prevedono sì la possibilità di uscire, ma sempre evitando assembramenti. E invece a Padova ecco cori e musica tutti insieme fuori dai locali, abbracci e mascherine abbassate sul mento, tanto che il presidente della Regione Luca Zaia ha già perso la pazienza: “Ci sono arrivate decine di foto e video dei centri delle nostre città con movida a cielo aperto. In dieci giorni io guardo i contagi. Se aumenteranno richiuderemo bar, ristoranti, spiagge e torneremo a chiuderci in casa col silicone”. La stessa cosa è accaduta a Bergamo (e Giorgio Gori si è arrabbiato), a Palermo (dove si è arrabbiato Leoluca Orlando), a Parma (qui è toccato a Pizzarotti), in Campania e a Milano (dove si sono arrabbiati sindaci e presidenti di Regione). I giornali puntualmente hanno riportato le solenni arrabbiature degli amministratori locali.

corsarola bergamo città alta assembramento

Bisogna invece andare a cercare con il lanternino questioni come quelle sollevate da Giorgio Sestili sul Fatto Quotidiano, ovvero che il sistema di monitoraggio introdotto con il decreto del ministero della Salute del 30 aprile 2020 sui dati epidemiologici e sulla capacità di risposta dei servizi sanitari regionali fa  acqua da tutte le parti.

Un esempio è in questo grafico tratto dall’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità(Iss), in cui si vede che ben 9 Regioni nella settimana 4-10 maggio non hanno raggiunto il valore di soglia del 50% (la linea rossa è stata inserita da noi) di dati utilizzabili per il monitoraggio. Cosa ha fatto allora il ministero? Ha abbassato la soglia al 30%, per far così rientrare la maggior parte delle Regioni.

sistema monitoraggio regioni

Questo significa che 7 dati su 10 sono da scartare. “Forse non è chiara l’importanza di raccogliere bene i dati per effettuare un monitoraggio efficace”, sottolinea il fisico Ricci-Tersenghi in un suo post. Abbiamo avuto due mesi di lockdown per preparare il monitoraggio e mettere in sicurezza la Fase 2, possibile che non siamo ancora in grado di raccogliere i dati?

Chi non ha isolato i contagiati? Chi non ha fatto i tamponi?

Uno studio dell’Ospedale Sacco e dell’Università di Milano anticipato oggi dal Fatto Quotidiano dice poi che 231mila casi di Coronavirus non sono mai stati diagnosticati, contribuendo così allo scoppio dell’epidemia sul territorio lombardo.

Si legge nello studio: “A livello della provincia di Milano, queste stime corrisponderebbero all’8 aprile a 231.460 casi non diagnosticati, il che significa che solo uno su 20 è stato diagnosticato dal ministero della Salute”. La cifra, si legge nello studio, ben si accorda al dato nazionale che indica nel 9,8% (poco meno di 6 milioni) la popolazione contagiata dal virus. Insomma, un altro mondo se solo si pensa che i dati ufficiali della Regione Lombardia comunicati la sera dell’8 aprile parlavano d i 12.039 contagi totali.

Eppure l’idea dei politici locali è che il problema di Milano siano i Navigli e non i tamponi. Eppure i medici non si nascondono i rischi della troppa gente in strada, ma fanno notare molto semplicemente che è stata la gestione dell’emergenza da parte della Regione a rendere più veloce la diffusione del virus. Massimo Galli, primario di malattie infettive all’ospedale Sacco, lo ha spiegato qualche giorno fa in un’intervista a Repubblica:

Professore, cosa sta succedendo a Milano e in Lombardia, perché i nuovi casi non calano?
«Soprattutto in città, le nuove diagnosi riguardano cittadini riusciti finalmente ad ottenere un tampone. Si tratta cioè di persone infettate già da tempo, che erano rimaste senza diagnosi. Quello che disturba è che avrebbero potuto ottenere un test molto prima».

Quanto è pericolosa la situazione?
«Quella di Milano è un po’ una bomba, appunto perché in tanti sono stati chiusi in casa con la malattia. Abbiamo un numero altissimo di infettati, che ora tornano in circolazione. È evidente che sono necessari maggiori controlli. Mi chiedo perché da noi ci sia stato un atteggiamento quasi forcaiolo nei confronti dell’uso dei test rapido, il “pungidito”, che poteva comunque essere utile».

milano navigli tamponi 1

Bisognava quindi intervenire in modo diverso nelle scorse settimane?
«Si dovevano raggiungere coloro ai quali è stato detto di restare buoni a casa con i sintomi, per avviare il tracciamento dei contatti, e non mi riferisco solo alla Lombardia. Lavorando in quel modo prima avremmo avuto maggiore tranquillità adesso nell’aprire».

Visti i dati dei contagi, certe zone della Lombardia rischiano di richiudere subito. Sarebbe giusto?
«Che con la riapertura si possano presentare dei problemi è un dato di fatto. La nostra regione rischia di richiudere ma anche certe zone del Piemonte o dell’Emilia. Del resto si è deciso che se qualcosa va storto si torna indietro. Speriamo di no, comunque. Questo è il momento dell’estrema attenzione e responsabilità».

Anche Andrea Crisanti a Piazzapulita ha spiegato che il problema della Lombardia non sono i Navigli: “Se lei divide il numero dei casi per tamponi vede che c’è un rapporto abissale tra Veneto e Lombardia. In Veneto è 23 tamponi per caso, la Lombardia soltanto 3. Il Veneto ha scandagliato il territorio per trovare chi altro era infetto. Solo così si controlla l’epidemia. Quello è l’unico modo per distruggere i focolai”.

Ma gli amministratori lo sanno cosa stanno amministrando?

Poi ci sono gli amministratori che scoprono improvvisamente gli assembramenti dopo aver dormito invece di prevenirli. La Corsarola è una via molto stretta: perché Gori non ha preso provvedimenti per evitare che le persone si fermassero o stazionassero in zona invece di lamentarsi che l’abbiano fatto dopo? Nei giorni scorsi a Palermo il sindaco Leoluca Orlando aveva avvertito: «Sono pronto a chiudere le piazze se non si rispetteranno le distanze». Dopo le immagini diventate virali, il sindaco ha pronunciato il suo ultimatum: «Bisogna smettere di fare passeggiate inutili nella stessa strada, creando condizioni per un danno irreparabile». Ora ovviamente si attende l’ordinanza del Comune che divida le passeggiate utili da quelle inutili e quale sia il criterio a cui dovranno attenersi i palermitani.

Per ultimo lasciamo il virologo laureato all’università della strada Luca Zaia, che ha tanto tempo libero per spiegarci che il Coronavirus è stato fatto in laboratorio (e non a casa dalla nonna con le sue sante manine, come insegna La Bella Canzone Di Una Volta) e dopo aver visto i primi video della fiesta post quarantena esplosa nelle piazze di Padova, ha avvertito i disobbedienti: «In 10 giorni io li vedo i contagi: se aumentano richiuderemo bar, ristoranti, le spiagge, e torneremo a chiuderci in casa con il silicone». Aggiungendo severo di fronte alle immagini tanti ragazzi con il bicchiere di spritz in mano e mascherina chissà dove: «Li aspetteremo davanti alle porte dell’ospedale. Almeno abbiano rispetto per le 1.820 persone che hanno perso la vita».

zaia fase 3

Ora l’ispettore Zaia deve solo scoprire chi è quel governatore che fino all’altroieri rompeva le scatole per riaprire tutto e subito e si dichiarava in fase 3 mentre gli altri avevano appena oltrepassato la 1 e scoprire che se si riaprono i negozi poi la gente pretende addirittura di andarci a fare compere per risolvere il caso (umano). Ovvero il caso di quei politici che prima gestiscono l’emergenza come una festa e poi si lamentano se i loro cittadini fanno la stessa cosa.

Leggi anche: Coronavirus: i contagi in aumento e il caso Lombardia

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