Il problema di Milano non sono i Navigli ma i tamponi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-05-08

Ieri sono stati registrati 689 contagi, in Lombardia; 182 casi nell’area metropolitana di Milano, di cui 86 in città. Gli esperti hanno fissato a 500 il limite dei contagi “sopportabili” al giorno

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Ieri ha fatto molto scalpore un video e una serie di foto in cui si mostrano persone a passeggio sui Navigli a Milano nella fase 2 dell’emergenza Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19. Ed è subito scoppiata la polemica sui social per le foto e alcuni video postati che testimoniano l’affollamento di una delle zone più famose della movida milanese.

Il problema di Milano non sono i Navigli ma i tamponi

“Tra due settimane tutti di nuovo a casa o in ospedale! Incoscienti!” scrive Megamax su Twitter.

Un altro utente, Matteo T., si rivolge direttamente al sindaco Giuseppe Sala: “Ma un po’ di controlli sui Navigli vogliamo farli? Con la scusa del takeaway tutti i bar a fare cocktail e vendere birra… e pieno di gente senza mascherine. Il famoso primo weekend di marzo non vi ha insegnato niente?”. Anche su Facebook non sono mancate le lamentele, con commenti postati ad esempio sotto un video nel gruppo ‘Locale dei Navigli’. In particolare, molti si lamentano della mancanza di controlli. “I vigili – scrive Daniele Q. con una punta di sarcasmo – sono a fare le multe agli imprenditori onesti che manifestano pacificamente rispettando la distanza di sicurezza…”. Ora, però, è interessante mettere a confronto la caccia alle streghe attuale con quello che dicono i medici. I quali certo non si nascondono i rischi della troppa gente in strada, ma fanno notare molto semplicemente che è stata la gestione dell’emergenza da parte della Regione a rendere più veloce la diffusione del virus. Massimo Galli, primario di malattie infettive all’ospedale Sacco, lo spiega oggi in un’intervista a Repubblica:

Professore, cosa sta succedendo a Milano e in Lombardia, perché i nuovi casi non calano?
«Soprattutto in città, le nuove diagnosi riguardano cittadini riusciti finalmente ad ottenere un tampone. Si tratta cioè di persone infettate già da tempo, che erano rimaste senza diagnosi. Quello che disturba è che avrebbero potuto ottenere un test molto prima».

Quanto è pericolosa la situazione?
«Quella di Milano è un po’ una bomba, appunto perché in tanti sono stati chiusi in casa con la malattia. Abbiamo un numero altissimo di infettati, che ora tornano in circolazione. È evidente che sono necessari maggiori controlli. Mi chiedo perché da noi ci sia stato un atteggiamento quasi forcaiolo nei confronti dell’uso dei test rapido, il “pungidito”, che poteva comunque essere utile».

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Bisognava quindi intervenire in modo diverso nelle scorse settimane?
«Si dovevano raggiungere coloro ai quali è stato detto di restare buoni a casa con i sintomi, per avviare il tracciamento dei contatti, e non mi riferisco solo alla Lombardia. Lavorando in quel modo prima avremmo avuto maggiore tranquillità adesso nell’aprire».

Visti i dati dei contagi, certe zone della Lombardia rischiano di richiudere subito. Sarebbe giusto?
«Che con la riapertura si possano presentare dei problemi è un dato di fatto. La nostra regione rischia di richiudere ma anche certe zone del Piemonte o dell’Emilia. Del resto si è deciso che se qualcosa va storto si torna indietro. Speriamo di no, comunque. Questo è il momento dell’estrema attenzione e responsabilità».

I tamponi in Lombardia

Andrea Crisanti ieri a Piazzapulita ha spiegato che il problema della Lombardia non sono i Navigli: “Se lei divide il numero dei casi per tamponi vede che c’è un rapporto abissale tra Veneto e Lombardia. In Veneto è 23 tamponi per caso, la Lombardia soltanto 3. Il Veneto ha scandagliato il territorio per trovare chi altro era infetto. Solo così si controlla l’epidemia. Quello è l’unico modo per distruggere i focolai”.

Ieri sono stati registrati 689 contagi, in Lombardia, a fronte di un numero record di tamponi eseguiti, cioè quasi 15.500; 182 casi nell’area metropolitana di Milano, di cui 86 in città. Ma il numero importante è quel 689, perché gli esperti hanno fissato a 500 il limite dei contagi “sopportabili” al giorno. Molti giorni di fila con 500 nuovi contagi — avvenuti dopo il 4 maggio, con la parziale riapertura — e il fattore Rt, che deve essere sotto l’1, rischia di schizzare troppo in alto, e di imporre un nuovo insopportabile lockdown. Spiega oggi Repubblica:

Il riferimento che appare più solido è l’Rt, parametro calcolato settimanalmente, con un algoritmo nel quale rientrano vari indicatori — come il giorno del contagio del paziente e quello di ospedalizzazione, la pressione sulle terapie intensive e nei pronto soccorso, il numero di positivi in rapporto ai tamponi effettuati — che hanno lo scopo di appurare quanto corra l’epidemia. «I dati da tenere più sotto osservazione — spiega allora Vittorio Demicheli, direttore sanitario dell’Ats Milano ed epidemiologo membro dell’unità di crisi lombarda e della cabina di regia che dalla prossima settimana dovrà monitorare l’Rt — sono i la pressione sui pronto soccorso, che oggi a Milano stanno ritornando alla loro attività normale. E il numero di chiamate che arrivano al 118 per persone in crisi respiratoria. Se uno di questi indicatori inizierà a salire, vuol dire che bisognerà fare attenzione. Anche perché in conseguenza di questo aumento, il rischio è che dopo qualche giorno aumentino anche i pazienti ricoverati in terapia intensiva».

Perché è questo, soprattutto, che la fatidica soglia dei 500 contagi quotidiani potrebbe far scattare: una nuova ondata di persone malate, gli ospedali lombardi nuovamente travolti.

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