Economia

No, l'Italia non sta crescendo felice: i veri numeri del PIL

Guido Iodice 02/06/2017

La crescita sbandierata purtroppo è quasi un’illusione, dovuta al fatto che i prezzi sono calati più velocemente del PIL corrente. Tutto ciò avviene mentre però i prezzi al consumo aumentano, in buona parte guidati dalla crescita dei prezzi delle importazioni

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Secondo l’Istat il Pil italiano è cresciuto nel primo trimestre del 2017 di un ragguardevole 0,4% rispetto al trimestre precedente e addirittura dell’1,2% rispetto a primo trimestre del 2016. I renziani hanno subito festeggiato, anche se non si capisce perché, visto che al governo c’è Gentiloni (chissà per quanto):
matteo renzi pil

La situazione è un po’ più complessa

Ma le cose stanno davvero così? Seguendo le tracce di Mario Seminerio sul blog Phastidio (“Il mistero del Pil gonfiato dal deflatore”) proviamo a spiegarvi come l’Istat è giunta a questa conclusione. Il Pil (prodotto interno lordo) è una grandezza che indica il valore di beni e servizi prodotti (in un anno o un altro periodo a scelta) in un paese. Quando si dice che “il Pil è cresciuto dello 0,4%” si sottintende il “Pil reale“, vale a dire quello al netto dell’inflazione. Ad esempio se in un anno produco un milione di automobili a 10mila euro e l’anno dopo produco le stesse automobili a 11mila euro, in realtà non ho prodotto di più, semplicemente il prezzo è aumentato, cioè c’è stata inflazione. Quindi il prodotto “reale” è sempre un milione di auto.
crescita pil
Quindi se voglio conoscere il Pil reale devo prendere la somma di quanto pagato per il milione di automobili (che posso misurare direttamente) e sottrarre l’ “inflazione del PIL”. Infatti per il calcolo del Pil reale non si usa la normale inflazione, quella dei “prezzi al consumo”, perché bisogna calcolare anche le variazioni dei prezzi di ciò che viene acquistato dalle imprese (ad esempio i macchinari) e dallo stato, mentre bisogna escludere i prezzi di ciò che viene importato (perché non prodotto nel paese). Oltre a ciò, il calcolo deve tenere conto della variazione di ciò che viene prodotto (più auto, meno arance, ad esempio) mentre per l’inflazione dei prezzi al consumo il paniere viene rivisto solo molto più raramente e in base ai comportamenti dei consumatori. L’indice dei prezzi che si usa per “deflazionare” il Pil prende il nome di “deflatore del PIL” e in casi particolari può essere molto diverso da quello dei prezzi al consumo.

L’inflazione “cattiva” che aumenta

Ora ci basta sapere che invece il “Pil ai prezzi correnti” è il temine tecnico per indicare la somma di tutto ciò che viene prodotto usando come unità di misura il prezzo corrente, cioè quello effettivamente pagato. Quindi se vogliamo sapere di quanto cresce il Pil reale, bisognerà prendere la variazione del Pil ai prezzi correnti e sottrarre l’ “inflazione del PIL”, cioè la variazione del già citato deflatore del Pil. Tutto chiaro? Speriamo. Ora leggiamo cosa dice l’Istat:

«Rispetto al trimestre precedente, il PIL ai prezzi correnti, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,1%, il deflatore del PIL è diminuito dello 0,6%. Il deflatore della spesa delle famiglie residenti è cresciuto dello 0,7%, mentre quello degli investimenti fissi lordi è diminuito dell’1,6%. Il deflatore delle importazioni è aumentato del 2,1% e quello delle esportazioni dell’1,0%»

La crescita sbandierata insomma è quasi un’illusione, dovuta al fatto che i prezzi sono calati più velocemente del Pil corrente, che comunque è calato dello 0,1%. E quando cala il Pil corrente, in poche parole, significa che girano meno soldi. E quando girano meno soldi, chi ha un debito ne risente: ad esempio un imprenditore che ha fatto un debito incassa meno e quindi ha più difficoltà a rimborsare la banca (con tutto quel che ne consegue, come purtroppo ben sappiamo). Non c’è molto da gioire.

Se Roma piange, Londra non ride

Tutto ciò avviene mentre però i prezzi al consumo aumentano, in buona parte guidati dalla crescita dei prezzi delle importazioni. Un salasso per le famiglie che non fa bene all’economia. Un conto infatti sarebbe un’inflazione che aumenta perché aumentano i salari e perché l’economia si muove velocemente, tutt’altro è invece lo scenario di un paese in stagnazione la cui inflazione è dovuta alla svalutazione dell’euro e all’aumento del prezzo del petrolio, che ci rendono più poveri.
brexit uk
A proposito di svalutazioni: una dura lezione per i noeuro nostrani arriva dalla Gran Bretagna, dove la crescita si è fermata allo 0,2%, la peggiore dei paesi industrializzati. L’incertezza della Brexit si fa sentire: aumentano i prezzi al consumo e le famiglie ci perdono, mentre da tre mesi calano i prezzi delle case: è la prima volta dalla crisi finanziaria. Non sorprende che i sondaggi diano in grande rimonta il partito laburista.
 
 
 

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