«O Tria caccia i soldi o se ne va»

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-09-27

I giornali al lavoro sulla Triexit: Di Maio avrebbe messo sotto pressione il ministro che penserebbe alle dimissioni. Ma…

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Dieci miliardi. L’innalzamento del deficit programmatico nel 2019 fino al 2,4% rispetto al prodotto interno lordo chiesto dal MoVimento 5 Stelle vale esattamente la cifra dichiarata da Rocco Casalino nell’ormai famoso audio leakato che è costato un’indagine dell’Ordine dei Giornalisti al portavoce del presidente del Consiglio.

O Tria caccia i soldi o se ne va

Dieci miliardi in più o in meno non sono una gran cifra, sosteneva Casalino, eppure secondo i giornali saranno decisivi per la permanenza di Giovanni Tria al ministero dell’Economia. Repubblica oggi scrive che Luigi Di Maio pretende dal ministro dell’Economia che venga sforato il deficit fino alla soglia monstre del 2,4 per cento, pur di strappare il finanziamento del reddito e della pensione di cittadinanza. E se il custode dei conti si ostinerà a difendere la trincea virtuosa dell’1,6% — o proporrà di andare poco oltre — allora il capo politico del Movimento reclamerà un passo indietro. Un sacrificio «inevitabile» di quello che viene ormai considerato un “nemico” dei pentastellati.

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Il deficit nella Legge di Bilancio e le possibili conseguenze (La Repubblica, 27 settembre 2018)

Nei resoconti dei quotidiano si parla addirittura di un ministro pronto a un clamoroso passo indietro: Tria, secondo i racconti, getterebbe la spugna trasformando il suo forfait in un deflagrante atto d’accusa contro i responsabili della forzatura. E il MoVimento 5 Stelle sarebbe in ogni caso pronto a sostituirlo dando l’interim del ministero dell’Economia a Giuseppe Conte (così Casalino diventerebbe doppio portavoce, che bello!).

La Triexit non s’ha da fare

In questa ottica vengono viste le esternazioni del ministro all’assemblea di Confcommercio, dove Tria ha specificato che al momento di diventare per la prima volta ministro ha giurato di essere fedele alla Costituzione e di operare «nell’esclusivo interesse della nazione e non di altri». Dove «e non di altri» Tria lo ha aggiunto, appunto, alla formula di rito del giuramento al Quirinale. Non solo. Il ministro ha sottolineato che «questo giuramento lo abbiamo fatto tutti», cioè Conte e l’intera squadra di governo, e che lui lo interpreterà «in scienza e coscienza». La frase, secondo l’interpretazione di Enrico Marro, serviva a rispondere alle minacce proferite da Di Maio durante l’incontro con i ministri M5S sulla manovra di martedì sera (quello che Elisabetta Trenta ha abbandonato in lacrime).

giovanni tria dimissioni

Il punto però è che la narrativa che vuole il ministro Tria pronto a ergersi a baluardo dei conti pubblici non regge senza prove concrete. E finora il ministro da questo punto di vista si è distinto solo per una blanda difesa dei suoi tecnici di fronte agli attacchi furiosi (e per larghi tratti ridicoli nelle motivazioni). Anche questa partita rischia alla fine di concludersi con un accordo al ribasso, perché tirare a campare è meglio che tirare le cuoia. Ma allora perché portare avanti questa sceneggiata?

Leggi sull’argomento: La leggenda del Tria salvatore

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