L’ultima farsa di Salvini: raccontare che chi salva vite umane mette a rischio le vite dei migranti

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-06-13

Salvini è così disperato che ci vuol fare credere che sono le Ong che salvano i migranti in mare a mettere a repentaglio la vita dei disperati che scappano dalla Libia e non il ministro che chiude i porti. Ma purtroppo per il Capitano la realtà è molto diversa dalla sua fantasia

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Avevamo lasciato Matteo Salvini ieri a sparare bordate contro la “nave pirata” della Ong Sea Watch che aveva osato salvare 52 persone a bordo di un gommone. Per quelle parole Sea Watch ha deciso di querelare il ministro dell’Interno. Per tutta risposta Salvini ha continauto a spararle grosse scrivendo su suoi social «gli abusivi della Ong mi querelano??? Uuuhh, che paura» e ribadendo che «per gli scafisti e i loro complici, i porti italiani sono e rimangono CHIUSI».

Così Salvini gioca sulle vite dei migranti per non affrontare i problemi del Paese

Il vero motivo per cui il Capitano sta facendo tutta questa cagnara non è certo per impedire lo sbarco di una cinquantina di persone. Anche perché i dati ufficiali del Viminale ci dicono che il 7 giugno sono sbarcate 147 persone e il 9 giugno ne sono sbarcate 95. Salvini ha bisogno di scontrarsi con le Ong per poter distrarre l’opinione pubblica da tutto il resto: la polemica sulla farsa dei prelievi delle cassette di sicurezza, e soprattutto la procedura d’infrazione da parte della Commissione europea.

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Per farlo Salvini non si preoccupa di rendersi ridicolo. Come quando twitta «se la nave illegale Ong disubbidirà mettendo a rischio la vita degli immigrati, ne risponderà pienamente #portichiusi» Curioso lapus: non essendo ancora arrivati in Italia sono migranti e non immigrati. Ora non sfuggirà certo a nessuno l’ironia di questa situazione: la persona che chiude i porti (per finta, d’accordo) dice che sono le Ong a mettere in pericolo la vita dei migranti.

I dati invece dicono il contrario. È la politica dei porti chiusi che ha messo ancora più in pericolo le vite di chi tenta la traversata del Mediterraneo. In proporzione al numero degli sbarchi (che è diminuito) il numero dei decessi è aumentato. In pratica arrivano meno migranti ma ne muoiono di più. Secondo la giornalista Eleonora Camilli se fino all’anno scorso moriva una persona ogni 30 migranti oggi invece a morire è un migrante ogni sei che tenta la traversata. E quella persona non muore per colpa delle Ong, muore perché non c’è nessuno a soccorrerlo.

Perché è l’Italia il porto sicuro più vicino alla Sea Watch

Salvini dice che la nave Ong pirata (la scelta dei termini è studiata per aizzare meglio l’elettorato) non sta ubbidendo agli ordini perché le autorità libiche hanno assegnato alla Sea Watch Tripoli come “porto più vicino per lo sbarco”. Salvini omette volutamente di usare la frase corretta per indicare il POS che è “place of safety”. Che significa non porto più vicino ma porto sicuro più vicino. Si vede chiaramente come anche dal post di Salvini sia l’Italia il POS più vicino alla Sea Watch (a 125 miglia nautiche contro le 170 di Malta).

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Restano la Tunisia e la Libia. La Tunisia non è un porto sicuro – nonostante il paese sia relativamente stabile – per una serie di ragioni. La prima è che Tunisi non vuole che i migranti sbarchino sulle sue coste. Ad esempio sono dieci giorni che viene vietato lo sbarco di 75 migranti nel porto di Zarzis. In Tunisia poi c’è una carenza (anche per volontà governativa) di centri di accoglienza dove poter processare le richieste d’asilo (che in ogni caso non vengono presentate).

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Già in una precedente occasione Tunisi si è rifiutata di indicare un POS alla Sea Watch nonostante le richieste del governo olandese. Infine – ed è la cosa più importante – la Tunisia pur avendo sottoscritto le convenzioni che tutelano i diritti dei rifugiati non si è dotata di una normativa nazionale sul diritto d’asilo.

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Ma allora perché la Sea Watch non è andata in Libia come indicato dalla guardia costiera che ha assunto il coordinamento dei soccorsi? Innanzitutto bisogna ricordare che la GC libica non è intervenuta a soccorrere i migranti salvati dalla Ong nonostante la stessa organizzazione umanitaria ne avesse segnalato la presenza e le coordinate per il soccorso. Inoltre non è stato concordato alcun approdo a Tripoli, come sostiene Salvini. Anzi Sea Watch ha pubblicato uno scambio di email con le autorità libiche dove dice che non era sua intenzione riportare indietro i migranti. Il punto cruciale qui è che la Libia non è assolutamente un porto sicuro.

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Oltre al fatto che nel paese c’è la guerra (e non c’è un unico governo) secondo la UE: «La Commissione europea non considera i porti libici come porti sicuri ed è la ragione per la quale nessuna nave battente bandiera europea può sbarcare dei migranti nei porti libici». Anche lo UNHCR «non considera la Libia un porto sicuro e i rifugiati soccorsi e i migranti non dovrebbero essere riportati in quel Paese». Il motivo è evidente: in Libia i migranti vengono torturati e imprigionati e non c’è alcuna forma di tutela nei loro confronti. Qual è quindi il porto più vicino? L’Italia. Se Salvini non apre i porti quello che sta facendo è un respingimento in mare.

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