Fact checking

Il penoso spettacolo di Salvini e Toninelli sui naufraghi della Vos Thalassa

Giovanni Drogo 10/07/2018

Ore di massima concentrazione per i ministri Salvini e Toninelli, impegnati sui social a far vedere chi ce l’ha più duro contro i migranti pestandosi vicendevolmente i piedi a più riprese. A farne le spese questa volta due imbarcazioni battenti bandiera italiana: il rimorchiatore Vos Thalassa e la nave Diciotti della Guardia Costiera. Tutto per impedire lo sbarco di 67 persone (tra cui sei minori)

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I ministri Matteo Salvini  e Danilo Toninelli continuano a giocare a “poliziotto cattivo/poliziotto più cattivo” sulla pelle dei migranti che tentano di arrivare in Italia dalla Libia. Ultimo casus belli all’interno del governo è costituito dai migranti tratti in salvo dalla Vos Thalassa, un rimorchiatore d’altura battente bandiera italiana che ne aveva a bordo 67 (tra cui tre donne e sei minorenni). Smentendo le dichiarazioni fatte da Di Maio – che aveva detto che i porti erano chiusi solo alle Ong – ieri sera Salvini ha vietato l’approdo all’imbarcazione.

Il governo del cambiamento chiude i porti anche alla Guardia Costiera italiana

La linea sui migranti la detta il ministro dell’Interno e nel governo Conte tutti si devono adeguare in buon ordine. Nel frattempo la situazione sul rimorchiatore (erroneamente definito “incrociatore” dal ministro Toninelli) sembrerebbe essersi fatta complicata. Del resto ieri sera dopo il salvataggio l’Italia non ha indicato alla Vos Thalassa un porto dove sbarcare i migranti. Su Twitter il ministro dei Trasporti oggi cinguettava spiegando che i migranti a bordo della Vos Thalassa «stavano mettendo in pericolo di vita l’equipaggio dell’incrociatore italiano Vos Thalassa» e che quindi erano stati trasferiti sulla nave Diciotti promettendo «indagini per punire facinorosi». Non è chiaro quello che è accaduto a bordo della nave. La Guardia Costiera italiana conferma che il comandante della nave, “in diverse comunicazioni” ha segnalato una situazione di grave pericolo per la sicurezza dell’equipaggio causato, si legge su Repubblica, «da atteggiamenti minacciosi nei confronti dell’equipaggio stesso da parte di alcuni migranti, all’arrivo in zona della Guardia costiera libica». Si è poi appreso che sono un ghanese ed un sudanese i due migranti accusati di essere i “facinorosi”.

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Se così fosse si spiegherebbe abbastanza facilmente come mai gli animi si siano scaldati. Nessuno vuole tornare in Libia, un paese dove la vita dei migranti vale molto poco. Salvini ieri sera aveva detto che la Vos Thalassa «Avrebbe dovuto lasciarli alle motovedette libiche che erano state allertate». Evidentemente anche a bordo di una nave commerciale è noto che la Libia non è un porto sicuro. Ma soprattutto se le motovedette erano state allertate chi ha detto alla Diciotti di intervenire? Probabilmente l’IRMCC di Roma che è alle dipendenze di Toninelli.

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Toninelli su Twitter si dice orgoglioso della Guardia Costiera (che è alle dipendenze del suo Ministero) in particolare della nave Diciotti dove sono state trasbordate (nel linguaggio di Toninelli significa anche: sbarcate) le persone a bordo della Vos Thalassa. Però c’è un problema perché il Ministero dell’Interno non ha ancora indicato un porto sicuro dove far sbarcare i “facinorosi”. La situazione è paradossale: il governo italiano sta impedendo ad una nave della Guardia Costiera italiana di fare porto in un porto italiano. E Toninelli – che qualche tempo fa sul Fatto ribadiva che il M5S non sta andando al traino della Lega – è orgoglioso.

Matteo Salvini chiude i porti alle navi private, militari e mercantili che “aiutano i trafficanti”

Questa mattina il Viminale aveva fatto sapere che i migranti a bordo della Diciotti non sarebbero stati sbarcati in Italia. Successivamente il ministro ha detto che sul porto di approdo «stiamo ragionando». Toninelli ha detto che verranno fatte indagini per punire i facinorosi e quindi la nave dovrà per forza di cosa arrivare in Italia. Nel frattempo Salvini su Facebook come grazie al suo “intervento deciso” le navi delle Ong fossero “finalmente lontane dagli scafisti”. Il ministro dell’Interno fa sapere essere al lavoro affinché anche le altre navi “private o militari” (quindi smentendo nuovamente Di Maio) non aiutino i trafficanti di esseri umani a guadagnare altri soldi. Salvini però non dice che tutte le navi coinvolte nelle operazioni di salvataggio non stanno aiutando i trafficanti ma salvando vite umane in acque internazionali come impongono le leggi e le convenzioni  internazionali. Lo dice, un’ora dopo il post di Salvini, lo stesso Toninelli che ribadisce che non ci sarà alcuna deroga sul rispetto della legalità. Eppure le frasi di Salvini lasciano intendere che il rispetto delle convenzioni e delle regole è opzionale.

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A dimostrazione grafica del suo successo Salvini posta una cartina delle dislocazioni dei vascelli delle Ong, tutti in porti distanti dalla zona SAR “libica” sotto il controllo del Rescue Coordination Centre libico. Una zona molto estesa che comprende anche tratti di mare prospicienti ad aree costiere che ad oggi non sono sotto l’effettivo controllo del governo libico con il quale Salvini e il governo italiano stanno trattando. Improvvisamente infatti la Libia è tornata a dichiarare la sua area SAR, e c’è da chiedersi come la guardia costiera possa realmente operare visto che non ha nemmeno il controllo di tutto il territorio sulla terraferma. Senza contare il fatto che nessuna organizzazione umanitaria considera la Libia un porto sicuro per rifugiati e richiedenti asilo. Nel frattempo nave Diciotti non ha ancora ricevuto indicazioni per lo sbarco.

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Su Facebook Salvini ha pubblicato alle 16:30 la lista delle nazionalità ironizzando sul fatto che nei paesi di provenienza non c’è la guerra (c’è in realtà in Yemen e in Libia, mentre in Palestina, Sudan e Ciad ci sono sicuramente dei problemi che causano la fuga delle persone). Ad ogni modo non sappiamo quante di quelle persone presenteranno la domanda d’asilo e quale sia la nazionalità dei sei minori che – se non accompagnati – avranno il diritto alla protezione umanitaria.

Marco Travaglio ancora all’attacco delle ONG

Salvini sta semplicemente mostrando i muscoli in attesa del vertice dei ministri dell’Interno Innsbruck, dove incontrerà anche il collega tedesco Seehofer (che la scorsa settimana ha detto che rimanderà i migranti in Italia). Nel frattempo sulle colonne del Fatto Quotidiano Marco Travaglio continua a difendere la linea dura del governo. Non potendo però accusare le Ong di essere conniventi con gli scafisti e di aver commesso qualche reato (lo aveva fatto del resto, sbagliando, la settimana scorsa) il Direttore del Fatto si limita a dire che il legame tra Ong e scafisti «è ormai acclarato e addirittura rivendicato dalle interessate».

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Poco importa a questo punto che di “acclarato” ci sia ben poco e che Travaglio non porti alcuna prova del misfatto. Perché Travaglio non sta parlando di reati o di un comune interesse economico (entrambi smentiti dalle inchieste) ma di un interesse “di tipo fattuale”. Le Ong – spiega – agiscono come “pull factor” che rende meno costosi e rischiosi i viaggi. Dunque più appetibili e redditizi. Sta di fatto però che nemmeno per la Guardia Costiera le Ong costituiscono un “fattore d’attrazione” per le partenze. Lo ha detto nel maggio 2017 il capo del reparto operazioni della Guardia Costiera, Nicola Carlone, in un’audizione al Comitato Schengen, sottolineando che «spesso la loro presenza non dà impulso alle partenze». Anche la parvenza di argomentazione di tipo economicistico di Travaglio non sta in piedi: i migranti partivano lo stesso in massa anche quando non c’erano le Ong. Partono anche ora che le Ong non ci sono. Semplicemente perché la condizione in cui versano nei centri di detenzione in Libia (dai quali i carcerieri spesso e volentieri li fanno uscire dietro pagamento di una mazzetta) è pessima. E lo è altrettanto quella nei paesi di partenza. Ma Travaglio questo non lo dice. Come non fa i nomi di queste Ong in combutta “fattuale” con i criminali. E figuriamoci se fornisce una prova concreta. Ma del resto «anche se un fatto non è reato, non vuol dire che non sia vero». Il problema è che qui mancano proprio i fatti.

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