Perché Salvini ha paura della guerra in Libia

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-04-11

Uno degli insulti più apprezzati nei confronti dei buonisti è quello di essere dei “pacifinti”. Ma con la guerra in Libia tra le forze del generale Haftar e quelle del premier al-Sarraji potremmo scoprire che il vero pacifinto è il nostro Capitano al Viminale

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«Sarebbe grave se per degli interessi economici la Francia stesse bloccando un’iniziativa europea o stesse sostenendo una parte che che combatte da ministro dell’Interno non starò a guardare», Matteo Salvini questa mattina a Rtl 102.5 ha parlato della situazione in Libia e degli scontri tra le forze del generale Khalifa Haftar e quelle del premier del Governo di Accordo Nazionale Fayez al-Sarraj. La notizia non è che in Libia ci sia la guerra ma il fatto che i nostri cugini transalpini abbiano bloccato una dichiarazione congiunta della UE per chiedere il cessate il fuoco.

Gli interessi economici francesi in Libia sono brutti e quelli italiani sono belli?

Salvini non ha smentito invece la notizia, pubblicata su Repubblica di oggi, secondo la quale il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte avrebbe incontrato nei giorni scorsi a Roma una delegazione libica in rappresentanza l’uomo forte della Cirenaica. Gianluca Di Feo oggi sul quotidiano diretto da Carlo Verdelli racconta come lunedì scorso un Falcon sia decollato dalla pista di Ciampino con direzione Bengasi. Poche ore prima le forze di Haftar avevano bombardato l’aeroporto di internazionale di Tripoli. Naturalmente non c’è nulla di male – e pure Salvini lo riconosce – nel fatto che Conte cerchi di fare da mediatore tra le due parti. Il nostro Paese ha sempre sostenuto il governo di al-Sarraj (l’unico riconosciuto dall’ONU). Conte ha confermato questo pomeriggio i contatti con Haftar: «in questi mesi sono stato, e sono in questi stessi giorni ed ore tuttora in contatto diretto, con i due principali attori libici, il Presidente Serraj e il Generale Haftar (con quest’ultimo nelle scorse ore ho avuto un contatto attraverso un suo emissario), così come con gli altri protagonisti del panorama politico interno». Ma non sono queste trattative né gli interessi economici francesi – speculari ai nostri va ricordato – a preoccupare Salvini.

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E non solo perché la sfera d’influenza occidentale in Libia si è notevolmente ridotta, a tutto vantaggio dei paesi del arabi. A sostenere Haftar a Bengasi ci sono soprattutto Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Mentre dalla parte di Tripoli c’è il Qatar che già durante la guerra del 2011 era intervenuto militarmente in Libia prendendo parte ai bombardamenti della coalizione internazionale. A Salvini interessa senza dubbio proteggere gli italiani che lavorano nel paese ma non è solo quello il problema. Ed è inutile essere ipocriti sugli interessi francesi: siamo andati in guerra nel 2011 per difendere gli interessi economici italiani e se è il caso ci torneremo di nuovo.

Perché Salvini è un pacifinto

Ma una guerra aperta a Sud del confine naturale rappresentato dal Mediterraneo rischia di sgretolare l’unica grande operazione di propaganda portata avanti dal governo fin dal giorno del suo insediamento. Si tratta della questione dei “porti chiusi” che – è il caso di tenerlo a mente – non è altro che la prosecuzione delle strategie impostate dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti che per primo aveva iniziato a stringere accordi con al-Serraj per il pattugliamento delle acque internazionali a ridosso della Libia e aveva posto un aut aut alle ONG con il famigerato memoradum sugli interventi di salvataggio in mare.

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L’area SAR gestita dal MRCC di Roma dal 2011 al 2018 Fonte: Ministero dei Trasporti

Come è noto con l’avvento del governo giallo-verde le cose hanno subito una brusca accelerazione. Non tanto dal punto di vista strettamente normativo, perché è noto che non sia mai stato emanata un’ordinanza scritta (né da parte di Salvini né da parte di Toninelli) per l’effettiva chiusura dei porti. Molto di più hanno fatto invece la guerra alle ONG e soprattutto il “ritiro” del MRCC di Roma (il centro che coordina gli eventi SAR per il nostro Paese) conseguente all’istituzione di una zona SAR libica sotto il controllo di un centro di comando libico. Dal 2011 fino a questo autunno infatti era l’Italia a farsi carico delle richieste di soccorso provenienti da quella che prima erano le acque di competenza libica. Il rischio è che con lo sgretolarsi della catena di comando la già di per sé precaria (in fondo al-Sarraj non ha mai avuto il controllo del Paese) zona SAR libica e il relativo coordinamento dei soccorsi non siano più operativi.

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Salvini lo sa, e teme che si torni alla situazione precedente. E se è il MRCC di Roma a dover gestire i soccorsi a causa di una rinnovata sostanziale inadeguatezza degli assetti della Guardia Costiera libica questo significa che le persone soccorse dovranno per forza essere sbarcate in Italia. La guerra poi comporta un’ulteriore complicazione: la Libia non può più essere considerata un porto sicuro. O meglio, già prima dell’attacco di Haftar su Tripoli non poteva esserlo ma ora che c’è un conflitto aperto come farà Salvini a raccontare che i migranti soccorsi in mare possono essere tranquillamente riportati in Libia, dove c’è la guerra? Infine può succedere che alcuni cittadini libici decidano – assieme a coloro che sono rinchiusi nei campi di detenzione – di scappare dalla guerraOvvero di fare proprio quello che per Salvini stesso è indispensabile per essere accolti in Italia. Sommando queste tre condizioni – coordinamento italiano dei soccorsi, guerra in Libia, profughi in fuga – non è peregrino ipotizzare un aumento delle partenze e degli sbarchi (o dei morti in mare). Se così fosse assisteremo da una parte ad un nuovo dramma umanitario, dall’altro al fallimento della strategia dei Porti Chiusi. Perché la pacchia non è finita per merito di Salvini, è finita perché qualcuno a Sud del confine blocca le partenze e riporta i migranti nei lager libici. Forse è la volta buona che Salvini fa qualcosa per la pace, per davvero.

Leggi sull’argomento: Le balle di Toninelli sullo “sblocco” del cantiere della Asti-Cuneo

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