Economia
«Lascia stare l’euro, ti conviene»
Alessandro D'Amato 04/06/2018
Il “consiglio” di Maroni e Salvini e le mire della Lega sulla valuta unica da abbandonare lasciate indietro per la reazione degli imprenditori del Nord. Che piuttosto che mollare l’euro potrebbero mollare la Lega
I giornali raccontano che il vecchio saggio Roberto Maroni, ex barbaro sognante di grande esperienza nelle navigazioni della politica nazionale, abbia suggerito la strada al giovane Matteo Salvini: «Lascia stare l’euro, ti conviene».
Italexit delle mie brame
E questo non solo e non tanto perché sull’uscita dall’euro i sondaggi danno una risposta unica ed univoca e dicono che gli italiani non sono a favore dell’uscita dalla moneta unica e persino chi vota Salvini non è del tutto convinto, ma perché dal lato delle imprese la ricetta di usare la svalutazione competitiva della moneta, tornando sostanzialmente al periodo in cui la competitività del sistema Italia era data dal prezzo, non è più tanto valida proprio a causa della crisi. Spiega oggi Dario Di Vico sul Corriere della Sera:
Molte cose sono cambiate in questi anni e la Grande Crisi ha ridisegnato la piramide delle imprese italiane che oggi somiglia a un trapezio. Non c’è più un vertice fatto di molte grandi imprese e il lato superiore è rappresentato dalle multinazionali tascabili che si sono ristrutturate (in corsa) dal punto di vista dei costi, si sono allungate adottando lo schema delle filiere e hanno così recuperato molti gradi di flessibilità.
Tutto ciò è stato speso per «salire di gamma», come si dice in gergo, ovvero per conquistare una posizione competitiva centrata sulla qualità del prodotto. E meno interessata quindi alla vecchia svalutazione competitiva. In più nel Nord si è estesa, grazie alle catene del valore, l’integrazione di una buona fetta del nostro sistema delle imprese con l’industria tedesca e la stessa adozione del format 4.0 — inventato da loro — ha ancor di più stretto i legami.
Da qui la totale freddezza degli imprenditori nei confronti dell’ipotesi salviniana di uscita dall’euro e le reazioni negative che si sono avute nel test dell’assemblea confindustriale di Varese di sette giorni fa.
Euro, la strategia abortita
Insomma, il tessuto di piccoli imprenditori che per anni hanno costituito il serbatoio di voti più interessante per la Lega e ha anche resistito ai disastri di Bossi & Co. segue Salvini nel suo progetto di italianizzazione della Lega, ma avrebbe qualche (?) difficoltà nel portare fino in fondo la strategia che nemmeno un anno fa Giancarlo Giorgetti e Claudio Borghi disegnavano per l’Italia e per l’Europa:
Gli altri Stati Europei sono partner naturali e fondamentali per l’Italia ma l’Unione Europea dopo Maastricht è diventata un mostro che danneggia tutti e soprattutto noi. Quindi noi vogliamo riscrivere tutti i trattati con l’obiettivo di tornare allo status di cooperazione pre-Maastricht che ha imposto moneta, parametri inventati di finanza pubblica e che col fiscal compact è diventato ancora più assurdo. Pensiamo che uno smantellamento controllato e concordato di Euro e trattati capestro sia nell’interesse di tutti. Se però dovessero dirci di no, non ci faremo umiliare come invece capita al Pd in ogni situazione, vedi beffa dei migranti.
Proprio nell’ottica di questa ritirata strategica autorevoli esponenti della Lega oggi disegnano una strategia in cui l’uscita dall’euro non è più necessaria perché oggi la priorità è la crescita e con la crescita non ci sarà bisogno dell’Italexit.
Il governo Lega-M5S e Mario Draghi
D’altro canto un retroscena della vicenda che ha portato la Lega e il MoVimento 5 Stelle al governo del paese racconta come è avvenuto il cambio di strategia che ha fatto arrivare Salvini al Viminale. Il protagonista è proprio quel Giorgetti che qualche tempo fa sull’euro sosteneva tutt’altro:
Mercoledì sera, per esempio, la sera che ha cambiato il corso della legislatura, è entrato nella stanza dove c’era lo stato maggiore leghista ed è stato netto. «Ho parlato con il demonio», ha esordito sorridendo. Poi si è fatto serio: «Il governo va fatto, troviamo una soluzione su Savona e chiudiamo». «Chi è il demonio?», gli è stato chiesto. «È un italiano che non sta in Italia. È un mio amico».
Di amici Giorgetti ne ha tantissimi, una rete di relazioni che coltiva con riservatezza. Maroni, negli anni in cui era al Viminale, si rivolse a lui per conoscere Draghi, che all’epoca stava a Bankitalia. Alla fine del colloquio il titolare dell’Interno volle capire: «Ma gli dai del tu?». E l’altro: «Certo, è un mio amico». Insieme ad altre centinaia di amici, che stanno ai vertici dei maggiori istituti di credito, delle potenti fondazioni bancarie, delle maggiori aziende pubbliche e private.
Nei giorni scorsi anche Augusto Minzolini sul Giornale aveva raccontato che Berlusconi nei giorni caldi ha telefonato a Draghi che gli ha prospettato un quadro drammatico per i titoli a breve. Se lo spread va su – gli ha spiegato – e le agenzie abbassano il rating dell’ Italia, la BCE non può comprare i titoli italiani. Ecco perché oggi l’Italexit rimarrà forse nelle brame di qualcuno ma è una carta che Salvini ha rinunciato a giocare sul tavolo della sostenibilità economica e finanziaria dei programmi di governo. Almeno finché non si arriverà a un punto di rottura e bisognerà addossare a qualcuno la colpa.