Perché Renzi ha cambiato verso sul voto nel 2018

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-03-07

Oggi due segnali inequivocabili certificano che l’ex premier ha cambiato idea sul voto a settembre. E per le urne si avvicina la scadenza naturale della fine della legislatura. Per due motivi: la scissione e l’inchiesta Consip

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Matteo Renzi ha cambiato idea sul voto a settembre. Dopo aver provocatoriamente proposto di aprire le urne ad aprile e poi aver indicato in più occasioni la via delle elezioni anticipate per chiudere la legislatura, adesso l’ex presidente del Consiglio si è rassegnato a vedere nel 2018 come data per il voto. Lo fa tornando a proporre una commissione d’inchiesta con dodici mesi d’indagine all’orizzonte per le banche che dovrebbe indagare per i prossimi dodici mesi sui tanti scandali e scandaletti finanziari che hanno travolto il sistema del credito popolare in questi anni e minato la credibilità del suo governo con la faccenda del bail in e quella di Banca Etruria. Ma soprattutto lo si evince dall’articolo che Maria Teresa Meli pubblica oggi sul Corriere della Sera.

Perché Matteo Renzi ha cambiato idea sul voto a settembre

Un articolo nel quale si mettono in fila tutti i momenti in cui Matteo Renzi cambia atteggiamento nei confronti del governo di Gentiloni elogiandolo per le sue uscite televisive e si segnala che la scissione e il caso Consip stanno mettendo in difficoltà il Partito Democratico, tra l’altro oggi attaccato con accuse di “furbizia e spregiudicatezza” nell’editoriale che Antonio Polito ha firmato per lo stesso giornale:

E infatti nella sua e-news lo spiega chiaramente, in un capitolo intitolato ironicamente «Pubblicità progresso»: «Gentiloni ha fatto un ottimo intervento a Domenica in, evidenziando, tra le altre cose, come l’obiettivo da perseguire tutti insieme sia continuare l’opera di riduzione delle tasse. Noi ci siamo». Dunque Renzi vuole «cambiare verso» al destino del Pd, fossilizzato nelle polemiche interne e mediaticamente azzoppato dal caso Consip.
Ancora ieri girava voce di un litigio con la Boschi che lo avrebbe criticato per l’eccesso di difesa nei confronti di Lotti. Litigio smentito (peraltro Boschi è stata la prima, l’altro giorno, a rilanciare il post del ministro dello Sport) e che però la dice lunga sul clima di veleni che circonda il Pd, dove i seminatori di zizzania ormai abbondano. A tutto questo Renzi dice «basta». E si appresta a una nuova battaglia per rilanciare la commissione d’inchiesta sulle banche.

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L’articolo di Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera

Renzi ha cambiato verso, quindi, ed è impossibile non notare che nel frattempo sia scomparsa dall’orizzonte della politica la legge elettorale: ai primi di febbraio il Partito Democratico pareva orientato a votare la proposta del MoVimento 5 Stelle sull’estensione dell’Italicum, che avrebbe avvantaggiato i grillini nella contesa. Ora, nonostante siano da tempo arrivate le motivazioni della Corte Costituzionale sulla bocciatura della sua legge elettorale, tutto tace e nulla si muove. Il motivo è facile da comprendere: una volta approvata la legge la corsa alle urne si accelererebbe. Ma qui nessuno ha fretta. Anche perché c’è da scalare la montagna dei sondaggi, che nelle ultime settimane hanno visto un calo del Partito democratico e certificato il sorpasso dei grillini nel totale delle preferenze per il voto alla Camera.

Matteo Renzi e il voto nel 2018

È evidente che alla decisione di Renzi non sono estranei poi i motivi di opportunità. Anche se è chiaro che l’inchiesta Consip, per quanto è emerso finora, contiene molti punti deboli che potrebbero affossarla ben più della fuga di notizie misteriosa che ha messo in allerta gli indagati e sulla quale c’è ancora molta oscurità, il rischio (soprattutto mediatico) di affrontare una campagna elettorale parlando degli atti dei magistrati è consistente. Mentre è da escludere che la lettera aperta di Sala e Chiamparino in cui il sindaco di Milano e il governatore del Piemonte gli chiedono di abbandonare i “gruppi ristretti” e di avere maggiore “capacità inclusiva” avrà un qualche risultato, se non altro perché Matteo Renzi in tv ha difeso a spada tratta il suo braccio destro Lotti e ha tagliato i ponti con gli scissionisti del PD che oggi i due vorrebbero in qualche modo recuperare. Anche perché un’alleanza preelettorale potrebbe essere presa in considerazione soltanto nel caso in cui si cambiasse la legge e si facesse spazio alle coalizioni. Una cosa che per adesso non sembra essere in programma.

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Il sondaggio di Masia sul Tg La7 di ieri

Quindi per adesso lo sguardo rimane al 30 aprile, quando si terranno le primarie per eleggere il segretario del Pd e dove l’ex premier dovrebbe avere gioco facile nel garantirsi una riconferma che non è mai stata messa in discussione dai numeri. Anche se, secondo le regole, se nessuno dei candidati supera il 50% dei voti, toccherà ai delegati dell’Assemblea scegliere il nuovo leader e questo potrebbe, incidentalmente, dare qualche pensiero a Renzi in caso di (improbabilissima) alleanza tra Michele Emiliano e Andrea Orlando. Ma il margine di voti per adesso lo tranquillizza e gli fornisce la possibilità di prepararsi alle elezioni del 2018. Dove si gioca non solo la presidenza del consiglio ma anche il suo avvenire politico.

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