Lo strano fenomeno di quelli che «è un problema se Facebook oscura CasaPound»

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-09-10

Dopo l’oscuramento delle pagine dei due partiti neofascisti arrivano quelli che dopo aver scoperto che Facebook è una società privata con delle sue regole (discutibili o meno) parlano di grave danno per la democrazia, chiedono di nazionalizzare il social network e prevedono tempi bui. Ma non si chiedono come mai si è dovuto aspettare l’intervento del social network. Per fortuna che possono esprimere le loro opinioni, su Facebook

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«Prima di tutto vennero a prendere quelli di Forza Nuova, e fui contento, perché odiavano gli omosessuali e gli stranieri. Poi vennero a prendere quelli di Casa Pound, e stetti zitto, perché erano letteralmente i fascisti del Terzo Millennio…». Come dite? Non era così il celebre sermone di Martin Niemöller? Esatto, però c’è qualcuno che da ieri si sforza di spiegarci che è praticamente la stessa cosa e che le conseguenze saranno le stesse. Oggi Facebook “censura” organizzazioni neofasciste con la scusa che diffondono odio. Domani potrebbe toccare a noi perché abbiamo condiviso un numero eccessivo di foto delle nostre vacanze alle Maldive e generiamo invidia sociale.

Nessuno si aspetta la dittatura di Zuckerberg!

È la classica fallacia della china pericolosa, qui ben rappresentata da un post di Vittorio Zambardino – ex giornalista di Repubblica esperto di tecnologia – che immagina un futuro prossimo a tinte fosche in cui una società afghana (la reductio ad hitlerum non va più di moda in certi ambienti) riesce ad acquistare Facebook, Instagram e Twitter (si noti che Twitter non appartiene alla società di Zuckerberg) e impedisce alle donne di pubblicare contenuti e obbliga gli uomini a parlare solo della sharia. Il che è interessante perché nemmeno delle società musulmane più integraliste gli uomini sono obbligati a parlare esclusivamente di legge coranica. Il tutto dimenticando invece che libertà di espressione e fascismo non possono stare nella stessa frase.casapound forza nuova facebook - 2

Ma l’aspetto più interessante di questa visione apocalittica è che assolutamente improbabile. Tanto varrebbe discutere di un futuro in cui Giuseppe Conte distrugge il Parlamento mettendo a ferro e fuoco Roma svolazzando a cavalcioni di un immenso drago mentre un esercito di eunuchi fa strage di innocenti nelle strade della Capitale. La realtà dei fatti è questa: Facebook – che oggi come dodici anni fa è una società privata – ieri ha deciso di oscurare le pagine di CasaPound Italia e Forza Nuova e di molti dirigenti dei due partiti. Lo ha fatto non tanto perché sono partiti che si richiamano al fascismo ma perché hanno violato le regole che tutti gli utenti di Facebook accettano all’atto dell’iscrizione. Questo non significa che Facebook sia la vestale della libertà o della difesa dei diritti civili: non lo è. Anzi fino a ieri ha lasciato che CasaPound, Forza Nuova e schiere di odiatori seriali che si radunano sotto i post di Matteo Salvini o Giorgia Meloni agissero indisturbati. A proposito, a quando una presa di posizione contro quel politico che se la prende con le “zingaracce” e i poveri cristi? 

Il vero problema è che Facebook si è mosso troppo tardi

A Facebook non interessa che in Italia ci siano delle leggi specifiche sul reato di “tentata ricostituzione del partito fascista” o altre riguardanti i saluti romani. È sufficiente leggere il comunicato del social network: «le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono non trovano posto su Facebook e Instagram. Per questo motivo abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose, che vieta a coloro che sono impegnati nell’odio organizzato di utilizzare i nostri servizi». Non è una valutazione giuridica sulla legittimità o meno di questi partiti, è una valutazione che sana un’anomalia. Invece di chiederci come mai Facebook ha cancellato CasaPound e Forza Nuova ci si dovrebbe chiedere (ed eventualmente indignare, se siete propensi a farlo) come mai non lo abbia fatto prima, visto che quelle regole non sono state scritte ieri.

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Non è “una legge privata, opaca e sovranazionale” che “troneggia sulla legge dello Stato” come scrive oggi sulla Stampa Mattia Feltri. Sono delle regole molto chiare, scritte qui, che si applicano a tutti gli utenti del social network di Mark Zuckerberg. Se diffami qualcuno su Facebook puoi ancora essere querelato presso un tribunale italiano. Ed è curioso che nessuno di quelli che oggi si strappano le vesti perché è stata arbitrariamente limitata la libertà di espressione di alcune persone non stia protestando scrivendo “negro”, “frocio”, “zingaro”, “terrone” o quant’altro (e naturalmente ci sono degli escamotage per aggirare i divieti e continuare ad essere antisemiti). Tutte parole vietate su Facebook perché diffondono odio. E se le scrivete guai a voi, perché verrete segnalati o bloccati per qualche giorno. Ma come, non c’è il sacrosanto diritto di dire “sporco negro”? Che fine ha fatto la libertà di parola? Ebbene, su Facebook la libertà di parola è consentita fino al limite che decide il gestore. Provate ad andare a giocare a carte al circolo parrocchiale e a bestemmiare, a volte succede che vi chiedono di andarvene.

Come mai lo Stato e la politica non fanno nulla contro chi diffonde odio online?

Nessuno vuole dire che Facebook è il migliore dei mondi possibili né che sia un baluardo di libertà. Ci sono tante cose che non vanno. Ma per anni abbiamo combattuto contro l’hate speech online chiedendo a Facebook – non ai giudici italiani o ai nostri politici – di fare qualcosa perché riconosciamo che su Facebook sono i gestori del social ad avere l’autorità. Un’autorità che non viene esercitata in maniera eclatante, anzi in modo piuttosto nascosto ma che c’è. E quel contratto che abbiamo firmato all’iscrizione è lì per ricordarcelo. Non c’è nessun obbligo di usare Facebook per fare attività politica. I partiti politici hanno visto che era comodo e conveniente. E Facebook senza dubbio ha avuto un bel ritorno della decisione di un’infinità di partiti e partitini di scegliere di usare quella piattaforma. Una win-win situation, finché Facebook si è ricordato che ha anche delle regole. E non è la prima volta che succede. Ad aprile proprio Casa Pound era stata tolta da Fb. E anche in Canada e negli USA il social aveva deciso di bannare account di suprematisti bianchi e istigatori all’odio.

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Ma gente come Vittorio Bertola, un ex consigliere comunale del M5S, pensa invece che sia tutto un piano perché il nuovo governo ha “cominciato a parlare di tassare e regolamentare le piattaforme Web“. Non stupisce che Bertola sia un ex del MoVimento 5 Stelle, gente che si è bevuta la storia della democrazia diretta su una piattaforma privata (ma ehi, almeno non è una multinazionale americana). Siamo nelle mani di una multinazionale? Sì, lo siamo dal giorno in cui ci siamo iscritti. E lo sono soprattutto i nostri dati, le nostre interazioni e così via. Serviva una discussione politica prima che Facebook potesse procedere? No. Ma se giudici e politici ora vogliono aprire una discussione sull’argomento nessuno glielo vieta. In fondo non è che sono andati a casa di Iannone o Fiore di notte e hanno sprangato la sede di CPI in via Napoleone III. Nel mondo reale tutto è come prima.

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Ed è questo il problema. Perché invece che prendersela contro la “censura” di Facebook non ce la prendiamo con chi ha lasciato che certe organizzazioni proliferassero nel mondo reale? Perché lo Stato, in tutte le sue articolazioni, non agisce contro chi diffonde odio e fake news? Queste sono le domande cui dovete trovare risposta, soprattutto se siete tra coloro che sostengono che Facebook sia un “servizio pubblico” e che quindi debba essere nazionalizzato. Ovvero diventare di proprietà pubblica dello stesso Stato che non ha fatto nulla contro chi semina odio. Geniale vero? E non finisce qui. Perché forse se chiedete la nazionalizzazione di un social network nel mondo reale ci vivete davvero poco e non vi rendete conto di come funzionino i servizi pubblici in Italia e soprattutto del rischio – quello sì molto più reale – che il governo di turno decida arbitrariamente di cambiare le regole per censurare certi contenuti. Ve lo vede un Facebook lottizzato come la RAI con tanto di commissioni di vigilanza? Perché altro che discussioni sulla sharia. Ad un “social di Stato” non ci sono alternative. A Facebook ce ne sono, se proprio volete continuare ad odiare andate lì.

Leggi sull’argomento: Come disinnescare il decreto sicurezza

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