Attualità
L’indagine sugli eletti di Fratelli d’Italia per le foto dei citofoni delle case popolari (smentita dalla Digos)
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2019-11-16
Gli agenti della Digos hanno acquisito il materiale, che domenica era stato rimosso da Facebook dai due diretti interessati anche se sia Bignami che Giorgia Meloni avevano sostenuto di aver ragione
Il video-gogna di Fratelli d’Italia sui citofoni delle case popolari finisce in un’indagine della questura di Bologna. L’edizione locale di Repubblica scrive che gli agenti della Digos hanno acquisito il materiale, che domenica era stato rimosso da Facebook dai due diretti interessati anche se sia Bignami che Giorgia Meloni avevano sostenuto di aver ragione. Ma la Digos smentisce, si veda edit alla fine dell’articolo.
L’indagine sugli eletti di Fratelli d’Italia per le foto dei citofoni delle case popolari
L’attenzione delle forze dell’ordine si concentra su un caso che è arrivato a far parlare anche la politica nazionale con una segnalazione al Garante della Privacy della sottosegretaria dem Alessia Morani e con un’interrogazione parlamentare diretta al ministro degli Interni, Luciana Lamorgese. Ma soprattutto, Lisei e Bignami sono entrambi avvocati e il tema della violazione della privacy è stato sollevato formalmente da un’altra avvocata, Cathy La Torre, con una segnalazione per la violazione degli articoli 6, 13 e 35 del regolamento europeo sui dati personali. La tesi che i due esponenti del partito di Giorgia Meloni volevano dimostrare è quella dell’invasione degli stranieri, della massiccia presenza nelle case popolari «che invece sono state costruite dai nostri nonni e quindi adesso devono essere per noi». Nel video si mostrava tutto: indirizzo, numero civico, l’elenco dei nomi degli inquilini stranieri, con tanto di inquadratura dei campanelli. «Ci diranno che stiamo violando la privacy – diceva Bignami nel filmato – ma non ce ne frega assolutamente niente. Perché se stai in un alloggio popolare e c’è il tuo nome sul campanello, bisogna che ti metta nell’ottica che poi qualcuno può andare a vedere». Si tratta ovviamente di una bufala.
Partiamo dall’inizio, nel video vengono inquadrati i citofoni e letti ad alta voce i nomi dei cittadini stranieri (sul fatto che lo siano effettivamente però non c’è alcuna certezza) che vivono negli alloggi dell’ACER (Azienda Casa Emilia Romagna) di Bologna. Bignami dice i nomi e i cognomi dei beneficiari sono già pubblici ma dimentica di ricordare che sui campanelli non c’è solo il nome dell’assegnatario ma anche quello del coniuge, che invece non è pubblico. Per quanto riguarda l’ACER poi basta leggere la graduatoria pubblicata sul sito per scoprire che i dati sono anonimizzati: l’identificativo è il numero di domanda dal quale non è possibile risalire all’identità dell’eventuale assegnatario.
Le bufale di Fratelli d’Italia sulle case popolari a Bologna
Il Garante nelle linee guida in materia di trattamento di dati personali per finalità di pubblicazione e diffusione di atti e documenti di enti locali consente (ed alcuni Comuni infatti lo fanno) la pubblicazione dei nominativi degli assegnatari «corredati dalle informazioni necessarie a renderli identificabili (data di nascita, punteggio finale per l´assegnazione)». Il Garante però scrive anche che la graduatoria «non deve quindi contenere ulteriori dati personali contrastanti con il richiamato principio di pertinenza e non eccedenza, fermo restando il divieto di pubblicare dati idonei a rivelare lo stato di salute». Ed è per questo che anche laddove i nomi e i cognomi dei partecipanti al bando vengono pubblicati non viene indicato quale alloggio, a quale indirizzo e quale interno sia stato assegnato. Inutile poi sottolineare come chi presenta la domanda ha dato l’autorizzazione alla diffusione dei propri dati all’azienda che gestisce l’edilizia residenziale pubblica e non a chiunque passi per strada. Bignami ha chiesto «perché a Bologna il 60% degli alloggi popolari viene dato ogni anno a non italiani?». A rispondere a questa domanda sull’edizione bolognese di Repubblica è il presidente dell’ACER Alessandro Alberani che smentisce i numeri dati da Fratelli d’Italia: «Non è vero niente. Attualmente il 78,95% degli assegnatari dei 28 mila edifici di edilizia pubblica sono italiani». Nessun assedio quindi da parte degli stranieri anche perché «per ottenere una casa bisogna avere la residenza da almeno tre anni. E poi si considerano l’Isee e il numero di familiari».
C’è poi da sottolineare, come spiegava LaVoce.info qualche tempo fa, che un conto sono le domande presentate un altro sono gli alloggi effettivamente assegnati. Ed è vero che i residenti di origine straniera presentano più domande, ma la spiegazione è semplice: sono più poveri, hanno un reddito più basso, a differenza degli italiani la percentuale di stranieri con una casa di proprietà è molto basso così come non dispongono di una rete familiare in grado di aiutarli quando sono in difficoltà (e per ottenere un alloggio popolare bisogna essere in difficoltà). Invece che chiedersi come mai ci sono così tanti stranieri (il numero reale è molto più basso di quello che vorrebbero far credere) nelle case popolari FdI potrebbe interrogarsi sul perché i cittadini stranieri siano mediamente più poveri. E non c’è alcun “sopruso” nell’assegnare un appartamento ad uno con il cognome straniero: del resto è la Costituzione a stabilire che la nostra Repubblica tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso , di razza, di lingua, di religione , di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
EDIT: – La Digos della Questura di Bologna ha acquisito il materiale video pubblicato nei giorni scorsi su Facebook, e poi rimosso, dal deputato Galeazzo Bignami, ex Forza Italia passato a Fratelli d’Italia, e da Marco Lisei, consigliere comunale ex Fi e ora anch’egli FdI. Nel filmato i due politici passavano in rassegna nomi e cognomi di famiglie di origine straniera sui citofoni delle case popolari a Bologna. L’acquisizione del video è stata fatta come prassi, a seguito dell’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno sulla vicenda, firmata dall’intero gruppo Pd alla Camera. A quanto risulta, al momento non c’è un’indagine della Digos sul ‘caso’, né d’iniziativa né delegata dalla Procura. Il filmato è stato acquisito in caso di eventuali accertamenti che potrebbero essere disposti in futuro. Oltre all’interrogazione parlamentare, contro il video sono stati presentati anche esposti al garante della privacy. Qualche giorno fa, un collettivo ha imbrattato con le scritte “Qui ci lavorano dei fascisti” e “No alle schedature” i muri all’ingresso dello studio bolognese di Marco Lisei.
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