La guerra delle pensioni tra Lega e M5S

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-08-30

Di Maio si arrabbia con i leghisti che propongono un contributo di solidarietà invece del ricalcolo. Ma intanto i suoi continuano a sbagliare i calcoli

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È ufficialmente scoppiata la guerra delle pensioni tra Lega e M5S: Luigi Di Maio, di solito così felpato e democristiano, se ne è uscito così: “Nel contratto di governo abbiamo scritto che vogliamo tagliare le pensioni d’oro: se qualcuno vuol dire che il contratto non si deve attuare lo dica chiaramente, altrimenti si va avanti”. Di Maio ce l’aveva con Alberto Brambilla, esperto di pensioni della Lega che ambisce alla presidenza dell’INPS, il quale ieri ha demolito la proposta di legge presentata dai capigruppo di Lega e M5S sulle pensioni.

La guerra delle pensioni tra Lega e M5S

Cosa ha detto Brambilla? Una semplice verità già emersa all’epoca dei primi approfondimenti sulla legge:  “qualsiasi ricalcolo contributivo è inattuabile” e farlo sarebbe un danno per “la classe dirigente del Paese”: al massimo, aggiunge, si può pensare a “un contributo di solidarietà per tre anni”, come quello già sperimentato dalla Fornero sopra i 91 mila euro e scaduto a fine 2017. Brambilla ha già spiegato la sua proposta che, in effetti, è di più semplice attuazione rispetto a quanto partorito dalle geniali menti di Molinari e D’Uva: «Sarà un contributo di 3 anni. E per non farci rimbeccare nuovamente dalla Corte costituzionale dovrà essere temporaneo, ragionevole, progressivo e proporzionale. Toccherà alla politica stabilire dove mettere l’asticella. Ma comunque, anche fosse messa su pensioni che valgono 4 volte il minimo, ovvero 2 mila euro lordi, per poi salire il prelievo partirebbe da 5-7 euro/mese».

legge sulle pensioni molinari

Ma allora cosa contesta Di Maio? Nel programma di governo il Movimento 5 stelle e la Lega si sono impegnati a rivedere la riforma Fornero per consentire ai lavoratori di andare in pensione prima. Inoltre, hanno promesso la cosiddetta «pensione di cittadinanza» per un importo minimo di 780 euro al mese e il taglio delle «pensioni d’oro», quelle superiori a 5 mila euro netti al mese. Di Maio vuole usare i soldi delle pensioni d’oro per la pensione di cittadinanza, ma i conti non tornano: i due partiti hanno presentato un disegno di legge alla Camera che in realtà interviene sulle pensioni di importo superiore a 4 mila euro. Che verrebbero tagliate in base all’età in cui si è lasciato il lavoro: più si è andati in pensione da giovani maggiore sarebbe il taglio, con punte del 2025%.

Di Maio e i conti ballerini sulle pensioni

Ricorda oggi Repubblica che Di Maio pensava inizialmente che con questo taglio si potessero ricavare addirittura 12 miliardi: lo dice a Radio Anch’io. Poi quando qualcuno gli fa notare che per tirar su una cifra del genere quelle pensioni dovrebbero sparire, si corregge: «Risparmi ottenibili in più anni». Ma ricalcolare 30 mila pensioni oltre 5 mila euro netti al mese sulla base dei contributi che si sarebbero dovuti versare porterà nelle casse dello Stato non più di 210 milioni. Che non serviranno ad aumentare di un miliardo le pensioni minime. Così a fine giugno Di Maio abbassa la soglia a 4 mila euro. Nella nuova proposta i pensionati coinvolti passano da 30 a 100 mila. Risparmio atteso: 600 milioni (e non il miliardo immaginario rilanciato da Di Maio). Ma c’è un intoppo. L’Inps ricorda al governo che non è possibile ricostruire la carriera contributiva dei dipendenti pubblici, non ci sono i dati. Insomma, il ricalcolo non si può fare.

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I numeri della previdenza (Corriere della Sera, 30 agosto 2018)

Finita qui? No. Con il progetto di legge presentato da Lega e M5S  l’età di uscita considerata per calcolare l’anticipo non è quella vigente all’epoca in cui si è andati in pensione ma quella ridefinita applicando retroattivamente la attuale speranza di vita. Quindi molto più alta, oltre che costituzionalmente discutibile. Spiega ancora Repubblica:

Per una donna costretta negli anni ’90 a lasciare il lavoro a 57 anni, l’età ricalcolata sarebbe di 64 anni. Dunque subirebbe per i sette anni di anticipo un taglio del 20%. Peggio della Fornero. Oltre alle donne, verrebbero penalizzati anche i lavoratori precoci. La Lega comincia a pentirsi di aver apposto la propria firma: il 70% dei tagli colpirebbe proprio il Nord, dove prevalgono le pensioni di anzianità. E poi, dopo aver criminalizzato la riforma Fornero, come si fa a giustificare sacrifici anche maggiori?

Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro che segue il dossier per conto della Lega, in un’intervista rilasciata oggi al Corriere dice che il testo della proposta può essere corretto e non c’è bisogno di ricorrere al contributo di Brambilla. Che però è più semplice e a minor rischio equità.

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