La proposta di legge sulle Fake News non serve a niente

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-02-16

La senatrice ex Cinque Stelle Adele Gambaro ha presentato una bozza di proposta di legge per combattere il fenomeno delle notizie false. Una legge che criminalizza l’Internet e non tocca minimamente l’operato dei giornali e nella migliore delle ipotesi non avrà alcun effetto concreto

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Adele Gambaro non è più una senatrice del MoVimento 5 Stelle (ora è in ALA-Scelta Civica) ma ciononostante ha ancora a cuore l’Internet come quando fu eletta grazie ad una manciata di click alle parlamentarie. Ed è per questo che ha presentato in Senato una proposta di legge recante “Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica” ovvero: una legge contro le fake news.
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Cosa propone Adele Gambaro per combattere le fake news

In molti in questi mesi si sono interrogati su come cercare di arginare il fenomeno delle notizie false create ad arte per disinformare. C’è chi ha pensato di istituire un ente sovranazionale, una sorta di ONU, che si occupi di certificare se una notizia è vera o falsa. Altri hanno chiesto la fine dell’anonimato online mentre al parlamento Europeo è stata votata una risoluzione contro alcune agenzie di stampa russe. In parole povere tutti hanno paura che anche in Europa possa vincere un politico come Trump. Il che è interessante perché l’assunto di partenza di tutto il ragionamento ovvero quello che sostiene che Donald Trump ha vinto le Presidenziali USA grazie alle fake news è tutt’altro che verificato. Fino a quel momento quindi ritenere che fermare le fake news “per legge” possa fermare l’avanzata del populismo (tanto più dopo essersi fatta eleggere in un partito come il M5S) si potrebbe derubricare sotto la voce wishful thinking. Nel nostro piccolo abbiamo sottolineato come istituire un Ministero della Verità che si occupi di giudicare le notizie “dell’Internet” sia se non altro un modo molto curioso di affrontare un problema che a dirla tutta non è così nuovo né specifico della rete e che anzi riguarda autorevoli testate giornalistiche da ben prima che termini come fake news e alternative facts diventassero di uso comune. Il problema principale della bozza di disegno di legge, che è stata presentata in conferenza stampa ieri al Senato è proprio questo: riduce la questione ad una caccia alle streghe nei confronti di siti internet e blog. Anzi: le testate giornalistiche (online e non) sono del tutto escluse dal provvedimento ma questo perché in teoria il loro operato è già normato da altre leggi. Leggi che evidentemente nessuno fa rispettare.
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C’è chi leggende la bozza della proposta di legge ha parlato di un tentativo di censurare Internet e di abolire l’anonimato. Ma se è pur vero che il desiderio implicito di censurare c’è e che il richiamo alla necessità di “ridiscutere il tabù dell’anonimato” è espressamente dichiarata non si può far altro che notare che si tratta di un tentativo alquanto goffo. Certo: ci sono le modifiche al Codice Penale che introducono multe fino a 5.000 euro per chi “pubblica o diffonde attraverso piattaforme informatiche notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o falsi”.
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Pene che si inaspriscono a 10.000 euro di multa e almeno due anni di reclusione nei confronti di chi si rende responsabile di campagne d’odio o di campagne volte a minare il processo democratico, anche a fini politici. Una definizione che sembra davvero molto vasta e volutamente vaga ma soprattutto sarà un’accusa difficile provare in Tribunale. Chi ha scritto la legge non ha evidentemente chiaro il funzionamento del processo della creazione di notizie false che non sono altro che il collettore di sentimenti che già esistono e che spesso sono espressi in maniera appena meno pacata da noti esponenti politici (si vedano ad esempio Matteo Salvini e Giorgia Meloni quando citano il Piano Kalergi). In parole povere certe persone sono già propense a credere a “quella fake news” perché rispecchia un loro modo di sentire o leggere la realtà. Come è possibile quantificare in che modo e una fake news mina il processo democratico? Gambaro ha detto che si tratta di

Una battaglia a tutela dei cittadini che non deve lasciare fuori nessuno. Il provvedimento che ho presentato è un primo passo per aprire un dibattito più ampio che non riguardi solo il mondo politico, ma tutti gli attori della società civile. Non vogliamo mettere un bavaglio al web né sceriffi, ma normare quello che è diffuso e non ha regole.

Eppure non spiega in che modo un intervento legislativo del genere andrebbe a regolamentare e normare quel qualcosa “che è diffuso e non ha regole” e che è la “causa” delle Fake News. La questione diventa ancora più grottesca se si guardano le modalità previste per combattere l’anonimato che prevede che l’amministratore del sito comunichi tramite PEC i suoi dati personali.
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Ed è interessante rilevare come uno dei paesi dove l’anonimato online non esiste è quel preclaro e fulgido esempio di democrazia nonché baluardo delle libertà individuali che è la Repubblica Popolare Cinese dove appunto sono messe in atto misure simili per impedire la diffusione di notizie sgradite. Ma quello che manca in questo apparato repressivo è la definizione (o anche la semplice menzione) del sistema di valutazione e verifica delle fake news. Non serve fantasticare molto per capire dove sta un possibile problema: un utente scrive una sua versione dei dati economici del Jobs Act, un altro utente (o un politico) ritiene che siano una fake news e che quindi siano falsi e vadano corretti. Dal momento che in pochi hanno le competenze per fare un’analisi dei dati chi ha ragione? Chi ha assistito in questi mesi alla battaglia di cifre sull’occupazione e sul successo della riforma sa che non è un’ipotesi poi così peregrina. Ma al di là di questo l’intento censorio è evidente perché quando la bozza parla di rettifiche lo fa imponendo ai gestori dei siti il rispetto di comportamenti che non vengono fatte rispettare nemmeno i giornali, che sono soggetti a regole ben precise. Perché il legislatore dovrebbe pretendere dai singoli utenti quello che non è in grado di far rispettare dalle testate giornalistiche registrate? Nella migliore delle ipotesi questa legge quindi sarà solo “un’altra legge” che non è in grado minimamente di affrontare un problema. Nella peggiore sarà una brutta legge che – partendo da una errata comprensione della questione delle fake news – rischia di mettere un bavaglino a qualche sito. Per il momento però rimane il fatto che chi ha scritto la bozza  che ovviamente verrà – forse, in futuro, chissà – discussa, esaminata ed emendata, non ha capito bene da che parte prendere l’Internet.

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