Italia 5 Stelle a Napoli: la festa dei grillini che non restituiscono e non danno soldi a Rousseau

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-10-12

Non solo uno su cinque non ha dato i 1.500 euro di donazione per Napoli, ma non ha neanche fatto le restituzioni previste a Rousseau. E Di Maio minaccia multe a vanvera

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Oggi è il grande giorno: il MoVimento 5 Stelle festeggia dieci anni di M5S alla Mostra d’Oltremare di Napoli in un clima di scissione e contestazione che raramente i grillini hanno vissuto in questi anni di obbedienza cieca e totale al Verbo grillino chiunque lo pronunciasse.

Italia 5 Stelle a Napoli: la festa dei grillini che non restituiscono più e non danno soldi a Rousseau

Una festa in cui dovrebbero fare rumore le assenze già annunciate, ovvero quella di Alessandro Di Battista per motivi personali e di Barbara Lezzi & Giulia Grillo, il duo di ex ministre che ha improvvisamente scoperto, senza poltrona, che Di Maio è un dittatore oltre a quella di Gianluigi “Parola mia, mi dimetto” Paragone, il senatore che rappresenta la plastica dimostrazione che nel M5S uno vale uno ma qualcuno vale più di qualcun altro, visto che non ha votato la fiducia al governo Conte Bis, esattamente come ha fatto Gregorio De Falco, ma è ancora nel gruppo e nell’associazione mentre il Capitano è stato cacciato. Che nel M5S le regole con alcuni si applichino e con altri si interpretino non serviva certo Bombatomica a provarlo, ma la sua defezione è oggi indicativa di un clima di ribellione conclamato che prima nessuno si sarebbe azzardato a rendere palese.

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E invece a mostrarlo in tutta la sua crudezza è lo stesso sito grillino che tiene conto delle restituzioni, Tirendiconto.it, che mostra come ci siano tanti parlamentari che non restituiscono dal 2018 e tra questi anche molti al secondo mandato e tra questi anche senatori di un certo peso.

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Ma la situazione è molto più grave di come viene mostrata: non solo uno su cinque non ha dato i 1.500 euro di donazione per Napoli, ma non ha neanche fatto le restituzioni previste a Rousseau, scrive oggi il Corriere della Sera.

Le bufale di Di Maio sulle multe

Di Maio invece annuncia non meglio precisate cause legali nei confronti di chi non ha ancora restituito e se n’è andato dal M5S (quelli interni ha paura di toccarli perché nel caso rischierebbe il suo posto) ben sapendo che si tratta di fregnacce: intanto, anche se nessuno gliene ha chiesto conto, ha smesso di chiedere la famosa “multa” da 100mila euro a chi esce dal gruppo che era stata un cavallo di battaglia durante la campagna elettorale. Figuriamoci che all’epoca c’erano addirittura professori universitari che legittimavano la clausola e il mandato imperativo e che oggi che sono diventati improvvisamente dissidenti ne hanno scoperto l’illegittimità.

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In secondo luogo, come ha spiegato ieri l’avvocato Lorenzo Borrè, che ha patrocinato (e vinto) molte cause sulle espulsioni illegittime dei grillini, “l’evocazione delle sanzioni pecuniarie (e dei pignoramenti) non ha maggior consistenza del pericolo che il bau bau venga di notte a portarvi via perché non avete finito la cena”.

1) la sanzione di 100.000,00 euro per il caso di espulsioni è anticostituzionale e il Tribunale di Roma ha osservato che la consolidata prassi di non richiedere il pagamento di tale sanzione comporta per facta concludentia che il partito abbia comunque rinunciato ad esigerla;

2) l’indennizzo di (altri) 100.000,00 euro previsto per il caso di abbandono del partito e/o del gruppo è sinallagmaticamente collegato ad un esborso per la campagna elettorale che il Partito delle stelle avrebbe dovuto sostenere e che invece, giusto il bilancio 2018 liberamente consultabile, non ha sostenuto, di talchè viene a mancare la prestazione corrispettiva su cui si dovrebbe fondare l’eventuale richiesta della “buonuscita”;

3) le restituzioni non sono collegate ad alcuna prestazione del beneficiario delle stesse e quindi sono da considerarsi, come insegnato dalla giurisprudenza, liberalità rientranti nel novero delle obbligazioni naturali, come tali incoercibili, o, secondo altri, nella fattispecie della donazione diretta, per cui dovrebbero ricorrere i requisiti di forma di cui all’art. 782 c.c. , ferma la non configurabilità di un obbligo a donare: “Per queste ragioni giusta era la valutazione compiuta dalla Commissione provinciale di Verbania e deve, perciò, essere respinto l’appello incidentale dell’Ufficio, giacché non vi dubbio che nella lettera e nello spirito delle modifiche introdotte dal legislatore – siano condivisibili o meno le scelte politiche sottese – si è inteso equiparare i versamenti ai partiti o movimenti politici contraddistinti da spirito di liberalità ovvero in ossequio ad una donazione rispondente alle norme statutarie (ma non ovviamente connessi sinallagmaticamente ad una prestazione) alle erogazioni liberali dell’art. 15 comma 1 bis TUIR con l’effetto di poterli portare in detrazione.” (Commissione Tributaria regionale PIEMONTE – Torino Sezione 3, Sentenza 26 febbraio 2018, n. 441)

Quindi chi non rispetta i patti può stare tranquillo. O meglio, può tranquillamente appellarsi al motto preferito della democrazia diretta da Grillo (e Di Maio): uno vale l’altro.

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